San Lazzaro mendicante

San Lazzaro mendicante, nome di origine ebraica e significa “colui che è assistito da Dio”. Lazzaro è il mendicante lebbroso protagonista della parabola di Gesù: Lazzaro e il ricco Epulone, riportata solo dal Vangelo di Luca (16, 19-31).

San Lazzaro mendicante

San Lazzaro mendicante, nome di origine ebraica e significa “colui che è assistito da Dio”. Lazzaro è il mendicante lebbroso protagonista della parabola di Gesù: Lazzaro e il ricco Epulone, riportata solo dal Vangelo di Luca (16, 19-31).

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San Lazzaro mendicante, nome di origine ebraica e significa “colui che è assistito da Dio”. Lazzaro è il mendicante lebbroso protagonista della parabola di Gesù: Lazzaro e il ricco Epulone, riportata solo dal Vangelo di Luca (16, 19-31).

21 giugno, san Lazzaro mendicante (Antonio Bresciani)

San Lazzaro mendicante, nome di origine ebraica e significa “colui che è assistito da Dio”. Lazzaro è il mendicante lebbroso protagonista della parabola di Gesù: Lazzaro e il ricco Epulone, riportata solo dal Vangelo di Luca (16, 19-31). Non va confuso con san Lazzaro di Betania, fratello di Maria e Marta e amico, resuscitato da Gesù. Nonostante sia un personaggio di fantasia, la tradizione della Chiesa Cattolica lo venera come santo; anche perché, essendo l’unico personaggio delle parabole di Gesù ad essere indicato con un nome proprio, molti ritengono che il racconto si riferisca a una persona realmente esistita. I lazzaretti devono a lui il proprio nome, e molti paesi sorti attorno a questi antichi ospedali hanno Lazzaro come patrono. È chiaro che la parabola di Gesù, contiene in sé un insegnamento universale e molto sentito, specie in quei tempi; essa è raccontata per mostrare ai farisei ed a tutti gli avari, dove portano le ricchezze usate per soddisfare il proprio egoismo. «Vi era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno faceva splendidi banchetti. Un mendicante di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco e nessuno gliene dava; perfino i cani venivano a leccargli le piaghe.

Ora avvenne che il povero Lazzaro morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco epulone e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del suo dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura”. Ma Abramo rispose: “Figlio ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato, mentre tu sei tormentato e per di più fra noi e voi è stato fissato per sempre un grande abisso, di modo che quelli che volessero di qui passare e venire a voi non possono, né da lì si può attraversare fino a noi». La parabola, riportata solo da Luca del ricco epulone e del misero Lazzaro, è un’antitesi che da sociale diventa anche religiosa, esaltando la povertà come modello di protezione divina. In essa si considera riguardo la figura di Lazzaro, che egli nel suo umiliante e penoso stato di mendicante ed ammalato, ha pazienza, anche davanti allo sprezzante trattamento che riceve dal ricco gaudente, pensando al Paradiso (seno di Abramo), che Gesù ha promesso ai poveri di spirito. Perciò il Signore, che vede l’animo, lo fa trasportare appena morto, in trionfo dagli angeli, nella beatitudine eterna. Ora questo rivela come egli sopportava il suo stato, con rassegnazione unita alla speranza del Paradiso, fiducioso in Dio, Padre di tutti, che premia i buoni, anche se poveri e mendicanti; patrono dei malati di lebbra.

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