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San Rocco di Montpellier, nacque a Montpellier (Francia) intorno al 1345, da una famiglia di nobili origini. In gioventù venne a contatto con le sofferenze delle epidemie pestilenziali verificatesi nella sua città natale.
San Rocco di Montpellier, nacque a Montpellier (Francia) intorno al 1345, da una famiglia di nobili origini. In gioventù venne a contatto con le sofferenze delle epidemie pestilenziali verificatesi nella sua città natale. In tal modo maturò una forte attenzione e sensibilità sia verso gli appestati e più in generale verso i malati e i sofferenti. Rimasto orfano a 20 anni, con una radicale scelta di fede cristiana, donò tutte le sue eredità ai poveri e si mise in cammino, come pellegrino di penitenza, alla volta di Roma per venerare le tombe dei santi apostoli e martiri. Arrivato in Italia durante un’epidemia di peste che alla metà del XIV secolo devastava tutta l’Europa, andava a soccorrerne i contagiati anziché fuggire i luoghi ammorbati e aveva la consuetudine di tracciare il segno della croce sulla fronte dei malati invocando la Trinità di Dio per la loro guarigione, da ciò l’appellativo di “taumaturgo”. La peste mieteva a migliaia le sue vittime, i colpiti non si contavano più e aumentavano i cadaveri insepolti; i medici non erano in grado di curare gli infermi, i sacerdoti erano insufficienti nel prestar conforto con la fede. In questa immane tragedia si faceva strada Rocco, che nonostante la sua persona debolissima, piccolo di statura, si sentiva ugualmente idoneo ad affrontare il grave pericolo di un lungo viaggio e dedicarsi alla sua vera vocazione: la carità, senza alcun limite di tempo e spazio. Nel suo peregrinare verso Roma, seguendo coraggiosamente lo sviluppo del contagio, ebbe l’occasione di soccorrere l’appestato cardinale Anglico de Grimoard assistendolo sino alla completa guarigione, il prelato lo ricompensò economicamente e lo presentò al fratello, papa Urbano V. Sulla strada del ritorno verso Montpellier, nei pressi di Piacenza, Rocco vi si fermò ma mentre assisteva gli ammalati, probabilmente nell’ospedale di Santa Maria di Betlemme, venne contagiato; per non mettere a rischio altre persone, si trascinò fino ad una grotta lungo il fiume Trebbia.
Come unica compagnia un cane affezionato che quotidianamente gli portava un tozzo di pane prendendolo dalla mensa del suo padrone e signore del luogo. Costui era Gottardo Pallastrelli che insospettito dall’andirivieni del cane lo seguì e in tal modo incontrò Rocco, lo soccorse e lo aiutò a guarire. Gottardo divenne un suo discepolo e seguendo l’esempio del maestro decise di vendere i propri beni donando il ricavato ai poveri. Rocco, ristabilitosi dalla malattia e ripreso il viaggio verso Montpellier con il fedele amico cane al seguito. Quello che sarebbe dovuto essere il ritorno a Montpellier, si interruppe in terra italiana. In quelle regioni funestate dalla guerra giunse Rocco, anelante di ritornare in patria senz’altro chiedere che tranquilla ospitalità. Dalla barba lunga e incolta, avvolto in poveri e polverosi abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste, non sfuggendo né alla curiosità della gente né alla vigilanza delle sentinelle. Nessuno lo riconobbe, pur essendo i suoi parenti per parte di madre di origine lombarda: sospettato per la sua riluttanza a rivelare le sue generalità e scambiato per una spia, fu legato e condotto dinanzi al governatore, suo zio paterno, che non lo riconobbe, e nulla fece Rocco per farsi riconoscere. Non si ribellò quando senza indagini e senza processo finì in carcere restandovi per un lungo periodo dimenticato da tutti. La prigionia fu vissuta da Rocco in un tormentoso silenzio e nel desiderio di essere lasciato in solitudine, non riconosciuto, a vivere quei pochi giorni che gli restavano. Non si lamentava della sua sorte, anzi aumentava i tormenti del carcere castigando la sua persona con molte privazioni, continue veglie e flagellazioni cruente. Nonostante gli innumerevoli sforzi di un sacerdote, insospettitosi dello strano atteggiamento di Rocco durante le sue visite in carcere, di perorare la causa del prigioniero, il governatore non prestò ascolto. Intanto nella cittadina correva la notizia che in carcere un innocente si lasciava morire. Morì il 16 agosto 1377, a 32 anni.