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San Vincenzo de Paoli – Da guardiano di maiali a ministro di una nazione

Una santità progressista e illuminata. Fare del bene facendolo bene.

Peregrinando nella conoscenza di questa figura di santo, non tra quelli maggiormente appariscenti nel panorama della fede cattolica, mi sono imbattuto in questa definizione curiosa: «San Vincenzo de Paoli – Da guardiano di maiali a ministro di una nazione». Impossibile rimanere indifferenti quando,solitamente, la figura di un santo viene identificata subito con la sua profonda identità teologica, facendo così emergere il proprio legame vitale con il mistero di Dio. 

Nel caso di San Vincenzo, invece, siamo davanti a una definizione di elevata pragmaticità. È inevitabile non pensare immediatamente alle varie citazioni bibliche – e non – dove compare la figura del maiale: da san Francesco, alla legione di demoni cacciati nella mandria di porci, fino alla vicenda del figliol prodigo. Dunque, anche dalla sozzura  di un recinto di porci può emergere e manifestarsi il desiderio di Dio. 

Torniamo però al nostro Vincenzo, e proviamo a comprendere come in questa curiosa definizione si celi proprio il progetto che Dio aveva in serbo per lui fin dalla sua giovinezza.

Vincent-de-Paul è un giovincello della Guascogna (una regione della Francia), giunto nel mondo nel 1581 in una famiglia semplice e al contempo povera. La sua mansione fino ai 15 anni non si discosta molto dal badare ai campi e occuparsi dei porci. Ma ecco che la mano di Dio comincia a tracciare segni sulle pagine della vita del giovane Vincenzo: un ricco avvocato della zona lo nota e rimane colpito del suo spiccato acume, il quale si discosta dalla sporcizia nella quale è costretto a lavorare. E così decide di occuparsi di lui, permettendogli di poter studiare fino ad essere ordinato sacerdote all’età di soli 19 anni, una possibilità che non avrebbe mai potuto immaginare per sé, date le modestissime origini della sua famiglia. Dopo l’ordinazione conseguì la laurea in teologia.

I primi tempi del suo ministero non furono semplici e lineari, anzi, furono alquanto travagliati. Anch’essi, però, gli furono di aiuto per riconoscere e intraprendere il sentiero tracciato per lui dal Signore. Una volta tornato a Parigi, dopo molteplici peregrinazioni, riesce finalmente a ottenere la nomina di parroco, un desiderio non spinto da motivazioni materiali e/o economiche. Lasciò da parte le preoccupazioni materiali e di carriera e prese ad insegnare il catechismo, visitare gli infermi ed aiutare i poveri. Cominciò a mettere a fuoco il punto di arrivo, il luogo del mondo nel quale poter ricominciare a costruire la Chiesa, un percorso non immediato, ma al quale giungere tappa dopo tappa.

Nel frattempo,  su richiesta del suo mecenate, si occupò anche di fungere da precettore per alcuni figli di famiglie ricche. Fu qui che si rese conto di una verità sconcertante: i ricchi, a cui non mancava niente, erano altresì speranzosi di godere nell’altra vita dei beni celesti, mentre i poveri, dopo una vita stentata e disgraziata, credevano di trovare la porta del cielo chiusa a causa della loro ignoranza e dei vizi a cui la miseria li condannava.

Allora, ecco che a partire da questa constatazione si prodiga affinché ciascun povero non debba più trovarsi in condizioni di miseria e cadere in forme di peccato derivanti da necessità impellenti. Tutto questo non intende assolutamente viverlo solo a parole, ma praticarlo in modo concreto, in prima persona. Le opere di Vincenzo de Paoli, non scaturirono mai da piani prestabiliti o da considerazioni, bensì da necessità contingenti in un clima di perfetta aderenza alla realtà.

Tornando però alla nostra frase introduttiva, è bene cominciare a mettere in risalto un aspetto molto importante della sua personalità: nel vivere a stretto contatto con le povertà del genere umano econstatando il divario materiale e spirituale tra ricchi e poveri, si rese conto di alcuni punti fermi imprescindibili che avrebbero connotato la sua visione della realtà. Questi punti, insieme alle conseguenti soluzioni, erano notevolmente progressisti per la mentalità limitata dell’epoca e del contesto che viveva. Aiutare un povero con un gesto saltuario significava che dopo tre giorni quella stessa persona si ritrovava nelle medesime condizioni e ad avere nuovamente bisogno di aiuto. Si era fornito un palliativo, ma non si interveniva sulla vera necessitàe sulla causa del problema. 

Fondò così una congregazione di fedeli laici che si “consacravano” a questa causa, prendendosi cura in modo permanente di coloro che erano costretti alla povertà. Cominciò questo suo esperimento nella parrocchia di campagna che gli era stata affidata, per poi estendere la sua esperienza anche nella città di Parigi. Non dimenticò mai, però, la dimensione cristiana nella sua iniziativa, vero punto di origine della sua opera fondata sulla carità cristiana escaturita dal legame profondo con Dio. 

Il suo carisma attrasse persino donne provenienti dalla borghesia e dall’aristocrazia parigina, le quali contribuirono economicamente e culturalmente al suo progetto in maniera sostanziale.

Fu proprio una di loro ad incitare San Vincenzo a dare impulso a un nuovo ramo della sua opera dedicato all’apostolato delle genti: coinvolgere e formare sempre più persone in questo compito, anche tramite la consacrazione. In questo impegno di dedicarsi totalmente alla povertà secondo uno stile nuovo, le persone coinvolte avrebbero vissuto in comunità, praticando la vita di comunità, rinunciando a benefici economici ed eventuali cariche ecclesiastiche che contrastavano dall’apostolato intrapreso. 

Questo stile così pragmatico non sfuggì, in prima istanza, alla Chiesa francese, la quale lo volle come figura chiave nella formazione dei sacerdoti affinché ad annunziare il vangelo vi fossero persone preparate, non solo su basi teologiche, bensì umanee spirituali, il tutto in un’ottica di carità. Arrivò perfino ad essere ingaggiato dallo stesso re di Francia, Luigi XIII, il quale lo volle come suo consigliere nella scelta di alcune figure chiave del regno. Infine, divenne ministro della carità sotto la reggente Anna d’Austria, affinché la beneficenza potesse essere organizzata, strutturata, finalizzata e non dispersa. Si dice che passò più denaro tra le sue mani che da quelle del ministro delle finanze. Fu, inoltre, riformatore della predicazione, fino allora barocca, introducendo una semplice tecnica oratoria: per la virtù scelta come argomento, ne ricercava la natura, i motivi di praticarla ed i mezzi più opportuni per farlo.

Volendo condensare la sua spiritualità in un riepilogo generale, possiamo dire che lui si rifaceva allegrandi figure del suo tempo che lui stesso frequentava: la spiritualità contemplativa del cardinalde Bérulle, sotto la cui direzione egli rimase per oltre un decennio; l’umanesimo devoto di san Francesco di Sales, suo grande amico, del quale lesse più volte le opere spirituali; l’ascetismo di sant’Ignazio di Loyola, del quale assimilò il temperamento pratico. Le virtù caratteristiche dello spirito vincenziano sono le “cinque pietre di Davide”: la semplicità, l’umiltà, la mansuetudine, la mortificazione e lo zelo per la salvezza delle anime. 

Il grande apostolo della Carità, si spense a Parigi la mattina del 27 settembre 1660, all’età di 79 anni.

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