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Santa Giuseppina Bakhita

Santa Giuseppina Bakhita, nacque a Olgossa (Africa) nel 1869. All’età di circa 5 anni viene rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma dimentica il proprio nome così come quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, parola araba che significa “fortunata”. Venduta più volte dai mercanti di schiavi, conosce le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.

Santa Giuseppina Bakhita, nacque a Olgossa (Africa) nel 1869. All’età di circa 5 anni viene rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma dimentica il proprio nome così come quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, parola araba che significa “fortunata”. Venduta più volte dai mercanti di schiavi, conosce le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. Subisce inoltre un tatuaggio, imposto in modo cruento, mentre era al servizio di un generale turco: sul suo petto, sul ventre e sul braccio destro le vengono disegnati oltre cento segni, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale, al fine di creare cicatrici permanenti. A Khartoum, capitale sudanese, viene comprata da Calisto Legnani, console italiano residente in quella città, il proposito è quello di liberarla. Il console già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie. Nel caso di Bakhita il ricongiungimento si rendeva difficile, a causa del vuoto di memoria della bambina riguardo ai nomi dei propri familiari. Bakhita si ferma a vivere nella casa del console per due anni, serenamente, lavorando con gli altri domestici senza che nessuno l’abbia più considerata una schiava. Situazioni politiche costrinsero il signor Calisto a rientrare in Italia. Bakhita chiese e ottenne di partire con lui e un suo amico, Augusto Michieli. Giunti a Genova, il console, pressato dalle richieste della moglie del Michieli, offrì loro Bakhita che seguì i nuovi padroni nell’abitazione di Zianigo (Venezia) e, quando nacque la figlia Alice, chiamata Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l’amica.

8 febbraio, santa Giuseppina Bakhita (M. Bogani)

L’acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. La prima volta portò con sé la piccola e la bambinaia, poi, per suggerimento dell’amministratore della famiglia Michieli, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell’Istituto dei Catecumeni di Venezia. Prima che Bakhita lasciasse casa Michieli, il signor Illuminato, che diventerà il suo “Paron”, il quale desiderava tanto farle conoscere il Signore, le regalò un crocifisso di metallo. Giunta all’Istituto dei Catecumeni, Bakhita chiese e ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina sentiva «in cuore senza sapere chi fosse». Nel novembre del 1889, quando la signora Michieli ritornò dall’Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest’ultima, con coraggio, manifestò la sua volontà di rimanere con le Suore Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato molte prove del suo amore. Il 29 novembre 1889 Bakhita viene dichiarata legalmente libera, così poté rimanere e proseguire il suo cammino che la introduceva nell’esperienza cristiana. Il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette il battesimo con i nomi di Giuseppina, Margherita, Fortunata, Maria Bakhita, la cresima e la prima comunione. Ogni giorno rendeva Bakhita sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva e amava, l’aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano. Bakhita rimase nel Catecumenato, dove si fece sempre più chiara in lei la chiamata a farsi religiosa e l’8 dicembre 1896 si consacrò al suo Signore nell’Istituto di santa Maddalena di Canossa. Nel 1902 da Venezia fu trasferita a Schio (Vicenza), dove visse fino alla morte, prestandosi in diverse occupazioni: cuciniera, ricamatrice, sagrestana, portinaia. Morì l’8 febbraio 1947, dopo una lunga e dolorosa malattia.

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