Santa Martina vergine e martire

«Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il Giudice Giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la Sua manifestazione»

Santa Martina vergine e martire

«Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il Giudice Giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la Sua manifestazione»

Santo, dal latino “sanctus” participio passato di “sancire” è attribuito a persona, cosa o manifestazione consacrata alla divinità, perciò stesso inviolabile. Santità significa “purezza religiosa, sacralità”. Inoltre,l’originale ebraico “qòdhesh” dà l’idea di qualcosa di separato, esclusivo o santificato a Dio, che è Santo.  

Per la Fede cattolica, “santo” è colui che sull’esempio di Gesù Cristo, animato dall’amore, vive e muore in Grazia di Dio; in senso particolare è colui che in vita si è distinto per l’esercizio delle virtù cristiane in forma eroica o per aver dato la vita a causa della Fede, i martiri. Il loro sacrificio cruento, nella comunione dei Santi, arricchisce il tesoro spirituale della Chiesa, a vantaggio di tutte le anime, esortando il Cuore Stesso di Dio all’indulgenza, per merito di chi, con il sangue, rende onore e gloria all’Agnello immolato sulla Croce, a Colui che toglie i peccati del mondo. 

Martire (dal greco μάρτυς – testimone) è colui che è morto o è stato sottoposto a pene corporali per avere testimoniato la propria Fede, nonostante una persecuzione, senza abiurarli. Nello specifico del cristianesimo è il caso di fedeli che hanno sacrificato la propria vita per testimoniare la propria appartenenza a Cristo. Si tratta in genere di cristiani vissuti in un contesto sociale ostile, che furono messi a morte in odio alla Fede, dalle autorità, dai tribunali, o uccisi da persone private. Il “martire” è il “santo per eccellenza” nella concezione della Chiesa antica e solo in seguito altre categorie di santi si sono aggiunte ai martiri. 

Quando la Liturgia romana comincia a caratterizzarsi e assume alcune sue proprie linee di diversificazione dalle altre Liturgie, l’era dei martiri non era ancora compiuta. I cristiani seppellivano con il dovuto onore non solo i propri defunti, ma soprattutto coloro che avevano testimoniato, fino a subire la morte, la propria Fede. Di un vero culto dei martiri non si trovano che scarse testimonianze fino al terzo secolo. Questo culto si sviluppa a partire dalle normali usanze funerarie locali, purificate alla luce

della Fede cristiana, e matura alla luce della riflessione relativa al ruolo ecclesiale del martirio e dei martiri. 

Vergine, dal latino “virgo”, si riferisce allo stato di verginità e sta ad indicare una condizione di purezza,considerata come un valore positivo spirituale, religioso e morale nelle culture dove i rapporti sessuali pre-matrimoniali non sono incoraggiati o vengono osteggiati per motivi religiosi, etici o sociali. La scelta della verginità per il Regno dei Cieli consiste nell’amare Dio, nostro Padre e Creatore, al di sopra di tutte le creature con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze prima di tutto e tutti! Ma non solo Dio, anche ogni creatura col cuore e la libertà dei figli di Dio, dunque con un amore totalmente umano e totalmente divino. 

Santa Martina, vergine e martire del III secolo, visse in periodo storico contrassegnato dalla fine della cosiddetta“pax romana” e l’inizio di una crisi economica, sociale e demografica dell’impero romano, in un secolo che annoverò, tra l’altro, le due più violente persecuzioni scatenate contro i cristiani. Infatti «Decio e Valeriano perseguitarono in maniera sistematica i cristiani di tutto l’impero romano. Molti andarono incontro con grande coraggio al martirio ma ci furono anche altri che per evitare il martirio rinnegarono la propria Fede. Questi ultimi i cosiddetti “Lapsi” rinnegarono la loro religione accettando di fare sacrifici all’imperatore. Ma questi sono anche i secoli nei quali nacquero all’interno delle comunità cristiane le prime forme di eresie: il montanismo dal nome del profeta Montano apparve alla fine del II secolo d.C, mentre poco dopo fu la volta del donatismo dal nome del vescovo Donato».  

La storia di questa giovane Santa comincia a ritroso, dalla sua tomba, 1.400 anni dopo il suo martirio, quando nel 1634 l’attivissimo Urbano VIII, impegnato sul fronte spirituale nella Controriforma cattolica, e su quello materiale nella restaurazione di celebri chiese romane, scoprì le reliquie della martire, ripropose ai romani la devozione di Santa Martina, e fissò la celebrazione al 30 gennaio. Maffeo Vincenzo Barberini, 235° Papa della Chiesa cattolica, impegnato in manovre importanti nel governare la Barca di Pietro, fu uno dei papi che contrassegnò il successo della Controriforma, movimento teso a dare nuovo slancio alla Chiesa Cattolica, dopo il doloroso scisma con l’ala protestante di Martin Lutero. 

Quando, nel fervore del proprio operato, il pontefice si imbattè nelle reliquie della Santa, tra le rovine dell’antica chiesa, a Roma, non esitò a ripresentare alla devozione dei fedeli tutti, come esempio ancor vivo di santità, la quasi dimenticata fanciulla, figlia di un console romano, rimasta orfana ed erede di un ricco patrimonio. Papa Urbano ne esaltò la figura con un inno composto di sua mano, essendo stato non solo un grande pontefice, ma anche un poeta colto e garbato. 

«Martinae celebri plaudite nomini, 
Cives Romulei, plaudite gloriae: 
insigne meriti dicite virginem, 
Christi dicite martyrem» 

In questo elogio alla Santa, Papa Urbano VIII volle far risaltare l’immacolatezza della sua vita, l’esemplare carità, l’indomito coraggio nella confessione della propria Fede nel suo martirio e infine nella sua elevazione al Cielo, nella gloria degli Angeli e dei Santi.Il pontefice, che stava lavorando anche ad un riordino della sacra liturgia, istituì il giorno della memoria liturgica della giovane martire cristiana il 30 gennaio, inserendo nel breviario romano le preghiere a lei dedicate in questo giorno. 

Accedendo alle notizie di una Passio leggendaria, apprendiamo che Martina era una diaconessa, figlia di un nobile romano. Rimasta orfana in tenera età si dedicò alle opere di carità cristiana, distribuendo soprattutto ai poveri le ricchezze ereditate dalla sua famiglia. Arrestata per la sua aperta professione di Fede, venne condotta al tribunale dell’imperatore Alessandro Severo (222-235).Subito dopo, le statue di Apollo, di Diana e di Giove vennero distrutte da un terremoto di origine divina. Si decise quindi di farla fustigare, per poi scarnificarla con uncini di ferro, gettarla nel grasso bollente e farla sbranare dalle belve affamate. Però gli animali affamati,che le vennero scagliati contro, improvvisamente si ammansirono e si accucciarono al suo fianco. Non ancora paghi, i suoi carnefici la issarono su una grande pira, eppure le fiamme non la raggiunsero mai. Quando il fumo si diradò, era indenne e stava pregando. Alla fine, Martina venne decapitata all’altezza del decimo miglio della via Ostiense. 

«Qui, in seguito, venne eretta una chiesa in memoria del suo martirio, ma successivamente venne abbattuta. Le sue reliquie vennero spostate nella chiesa di Santa Martina insieme ad altri due martiri (Epifanio e Concordio) uccisi nel medesimo luogo. Le prime notizie storiche che la riguardano risalgono al VII secolo. Papa Onorio I decise di dedicarle una chiesa nella zona de l Foro Romano. Si tratta dell’attuale Chiesa dei Santi Luca e Martina. La sua festa viene celebrata dall’VIII secolo, ma la data del 30 gennaio venne scelta da papa Urbano VIII che decise di renderla anche una delle patrone dell’antica Roma. Il culto di Santa Martina oggi è molto sentito soprattutto a Martina Franca, in provincia di Taranto. Nel 1730 il cardinale Caracciolo decise di far dono alla propria città di una reliquia della Santa. La reliquia venne conservata in quella che oggi si chiama Chiesa Matrice Basilica minore Santuario della Parrocchia di San Martino. Per celebrare degnamente la presenza della reliquia si decise di realizzare una statua e un altare in stile barocco all’interno della chiesa». 

Santa Martina fu dichiarata patrona secondaria di Martina Franca, insieme a Santa Comasia e San Martino. 

Nell’iconografia, Santa Martina viene rappresentata con un giglio, simbolo della verginità, una palma che rappresenta il martirio e un paio di tenaglie e una spada, strumenti della sua tortura, sofferenza e morte.  

«Martina, che ormai cominciava a farsi conoscere come nuova Santa protettrice contro fulmini e terremoti, capitava a fagiolo nella Martina Franca di quegli anni: scosse di terremoto continue dal 1710 al 1743, una Collegiata medievale mezzo crollata da ricostruire, il campanile svevo puntualmente bersagliato da fulmini, La Santa si diede da fare e, dopo pubbliche preghiere dei martinesi, Suoi freschi devoti, niente più fulmini e terremoti. Per ringraziarla, le diedero un posto sulla facciata della nuova Collegiata rococò. Le fecero un altare tutto per Lei nel transetto destro con una bella statua nuova di zecca e, fino agli anni Trenta, la ricordavano e la invocavano in caso di tempeste e scosse telluriche. Poi, poi, poi….arrivò Don Bosco (31 gennaio) e Martina dovette farsi da parte (ormai avevano inventato il parafulmine); poi, la guerra; poi, gli anni Sessanta. Negli anni intorno al 2000; fu restaurata la Sua statua e il Suo nome fu ancora imposto alle bambine nate in quel lasso di tempo. La vergine e martire, che teneva cielo e terra ai Suoi comandi, sta lì, sul Suo altare, giusto ad incuriosire qualche turista di passaggio. A stento rimane il Suo ricordo in una filastrocca popolare martinese dei tempi andati, che ricorda i Santi festeggiati ad inizio anno: 

‘A Pasca Bufanègghie 
agne fieste pegghie vegghie.
Respuonne ‘a Canulòre: 
“verète ca stoche jegghie angore”; 
respuonne Sande Vlèse: 
“jegghie sckétte agge rummèse”; 
respuonne Sand’Andune: 
“a regghia maje masckere e sune”; 
respuonne Sante Martègghie: 
“verète ca stoche angore jegghie”. 

All’Epifania 
tutte le feste vanno via. 
Risponde la Candelora (2 febbraio): 
“vedete che ci sono io ancora”; 
risponde San Biagio (3 febbraio): 
“solamente io sono rimasto”; 
risponde Sant’Antonio Abate (17 gennaio, inizio del carnevale): 
“il giorno mio, maschere e suoni”; 
risponde santa Martina (30 gennaio): 
“vedete che sono rimasta anch’io»

«Il paradosso è il fatto che i martiri cristiani sono uomini e donne umanamente esemplari. Non sono malfattori o criminali. Non violano né la legge divina né le leggi umane. Sono, anzi, esseri inermi, miti, pacifici, misericordiosi. Sono uomini e donne di concordia e di riconciliazione. Sono uomini e donne che sull’esempio di Gesù pregano per i loro persecutori e perdonano i loro carnefici. La loro unica preoccupazione è la testimonianza della Carità e la loro unica vendetta è il Perdono. Il martirio è vera imitazione della Passione di Cristo. Il martirio è atto eucaristico, manifestazione altissima del sacramentum caritatis, dono ecumenico. Il martire proclama e testimonia Cristo, il suo unico bene. Di fronte a chi lo perseguita e lo uccide, il fedele, al di là di ogni provenienza geografica, culturale e sociale, ha una sola identità e un unico nome: “Sono cristiano!” ripete già nel II secolo uno dei martiri di Lione. Per questo il martire può esclamare con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20)». 

O Signore fa che per l’intercessione dei tuoi Santi, e in particolare di Santa Martina per la sua Fede nel Signore, l’umanità ritorni alla pratica della Fede cristiana per una nuova evangelizzazione di questo terzo millennio a lode e gloria del Tuo Nome ed il trionfo della Chiesa. Amen. 

Diac. Gaetano Lorenzoni

Diac. Gaetano Lorenzoni

Redattore della sezione "Spritualità cristiana". Ha conseguito la laurea triennale in Scienze Religiose presso lSSR San Pietro Martire, Verona, dicembre 2012, con voto finale 101/110. Insegnante supplente scuola primaria, materie comuni e sostegno; Collaboratore dell'Assistente spirituale del Centro Volontari della Sofferenza (CVS), sezione diocesi di Verona
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