Peccato non dirlo: tra i tanti segni dei tempi, uno, questa volta, ci invita alla speranza. L’elezione di Papa Leone XIV, avvenuta nel cuore della Pasqua, è un richiamo potente, quasi sorprendente, al cuore pulsante della fede cattolica: Cristo stesso. E il modo con cui il nuovo Pontefice ha iniziato il suo ministero petrino non lascia spazio a fraintendimenti. Il ritorno alla centralità del Signore Gesù – non come icona culturale o figura “ispiratrice”, ma come Figlio del Dio vivente, Redentore e Giudice – è il primo, inequivocabile segnale di un cambiamento di rotta.
Lo ha detto con forza e chiarezza fin dalla sua omelia nella Cappella Sistina: oggi la fede cristiana è spesso vissuta come un’etichetta, uno sfondo folkloristico o sentimentale, ma in realtà – parole sue – molti battezzati vivono in un ateismo di fatto. E lo ha ribadito davanti ai cardinali, affermando che «il Papa è un umile servitore di Dio e dei fratelli, non altro che questo». Non una figura mediatica, non un manager, non un sociologo: un servo di Cristo.
Papa Leone XIV, con sorprendente semplicità e fermezza, ha indicato la via da seguire: riconoscere il primato di Dio, confessare il nome di Gesù, camminare nella verità della fede. E lo ha fatto senza cedere ai riflessi condizionati del linguaggio contemporaneo, evitando le parole d’ordine ormai inflazionate che hanno troppo spesso svuotato la predicazione della Chiesa. Nessun compiacimento nel parlare del “dialogo” come fine a sé stesso, nessun entusiasmo ideologico per la “sinodalità”, ma piuttosto una visione limpida e umile del compito affidato alla Chiesa: essere faro nelle notti del mondo, come ha detto con una bellissima espressione.
Nel mondo di oggi, dove il nome di Cristo è spesso ignorato, disprezzato o deformato, il nuovo Papa non si è rifugiato nel linguaggio diplomatico. Ha avuto il coraggio – raro – di porre la domanda centrale: Chi è Gesù per il mondo di oggi? Una domanda che, per molti, non ha più senso. E invece è proprio da lì che si riparte: dalla confessione di Pietro, «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Non un profeta tra tanti, non un simbolo etico, ma il Signore della storia e il Salvatore del mondo.
Questo Papa, che ha scelto il nome di Leone – e non è difficile vedere il rimando simbolico alla fortezza della fede e alla dottrina sociale della Chiesa – pare indicare una strada diversa: non la Chiesa che si confonde con il mondo, ma la Chiesa che converte il mondo. Non una pastorale che rincorre i criteri dell’efficienza o del consenso, ma un ministero che parte dalla verità di Dio e dalla santità della vita cristiana.
In un tempo di smarrimento dottrinale e di confusione liturgica, le prime parole e i primi gesti di Leone XIV appaiono come un segnale provvidenziale. Non è questione di restaurazione – parola ormai troppo abusata – ma di restaurare ciò che non può mutare: la fede cattolica, la presenza reale di Cristo, la bellezza della liturgia, la necessità della salvezza.
Peccato non dirlo: c’è oggi un Papa che parla come parlavano i Papi. Che crede come credeva la Chiesa. Che spera in ciò che ci è stato promesso. E questo, oggi, è un dono che non possiamo sprecare.