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Una cum e Donatismo

Il donatismo fu un movimento scismatico, eretico, sviluppatosi in Africa attorno al IV secolo d.C. e che portò alla separazione di alcuni vescovi da Roma. Questa situazione di non-comunione con Roma e di eresia si è sviluppata, successivamente, anche ai giorni nostri, quando alcuni gruppi, a causa dell’ignoranza e della mancata adeguata informazione, hanno iniziato a sviluppare teorie fantascientifiche-complottiste sulla validità del pontificato di Francesco.

Il Donatismo fu un movimento scismatico, eretico, sviluppatosi in Africa attorno al IV secolo d.C., più precisamente nel 311, che deve il suo nome al vescovo Donato di Casae Nigrae (Case Nere), corrispondente all’oasi di Negrine nell’attuale Algeria.

Questa dottrina prese le mosse da una critica aspra e intransigente nei confronti di quei vescovi che non avevano resistito alle persecuzioni di Diocleziano e che avevano, quindi, ceduto consegnando loro oggetti e testi sacri. Secondo i donatisti, i sacramenti amministrati da questi vescovi, detti traditores poiché avevano compiuto una traditio, cioè una consegna, non potevano essere ritenuti validi.

Sant’Ottato di Milevi, vescovo della diocesi di Milevi, affermava che molti cristiani in Africa avevano ceduto alle persecuzioni (venivano indicati con il termine latino lapsi, cioè caduti, scivolati) e che solo coloro che si nascondevano riuscivano ad avere salva la vita.

Allo stesso tempo, molti si consegnavano volontariamente al martirio, vantandosi di avere copie delle Sacre Scritture alle quali non volevano rinunciare. Mensorio, vescovo di Cartagine, in una lettera al vescovo Secondo di Tigisi, dichiara di aver vietato di venerare come martiri tutti questi che si erano, per propria volontà, consegnati al “martirio” perché spesso briganti e debitori nei confronti dello stato che speravano, forse, di avere una fine degna o che i crimini da loro commessi fossero così dimenticati. Le successive vicende che videro poi coinvolti i Circoncellioni, banda di briganti i cui membri si facevano chiamare “i soldati di Cristo”, dimostrarono che le tesi di Mensorio erano valide.

Le persecuzioni in Africa videro un attimo di tregua nel 305, dopo l’abdicazione di Massimiliano: solo allora fu possibile riunire i vescovi a Cirta per scegliere il successore di Paolo. 

Il sinodo fu presieduto da Secondo, primate di Numidia, il quale cercò di esaminare il comportamento dei suoi colleghi senza un particolare successo. Sotto la minaccia di uno scisma, Secondo, confrontatosi con quei pochi vescovi che non erano stati accusati di traditio, ritenne che gli altri suoi fratelli nell’episcopato dovessero rendere conto solo a Dio delle proprie azioni.

Fu poi eletto, come Vescovo di Cartagine, Ceciliano, un diacono, il quale aveva adottato un comportamento deplorevole nei confronti dei martiri. Alcuni contestavano la sua elezione, avvenuta ad opera del vescovo Aptonga, Felice.

Secondo, quale primate più vicino, si recò a giudicare personalmente la situazione e, di fronte ad un sinodo di settanta vescovi, dichiarò invalida la consacrazione perché eseguita da un traditor.

Roma e l’Italia rimasero in comunione con Ceciliano e la Chiesa cartaginese non riteneva che la consacrazione da parte di un traditor non fosse valida se questi era ancora in carica della sua legittima sede. Il concilio di Secondo, invece, aveva stabilito che un traditor non avrebbe potuto agire come vescovo, e che chiunque fosse in comunione con i traditores era fuori dalla Chiesa. 

Costoro si definirono Chiesa dei martiri e dichiararono che tutti coloro che erano in comunione con i pubblici peccatori come Ceciliano e Felice dovevano essere scomunicati.

Costantino, diventato nuovo imperatore, dopo aver ordinato al proconsole Anulino di restituire tutte le chiese ai cristiani, scrisse a Ceciliano inviandogli del denaro e ordinandogli di rivolgersi al proconsole in caso di disordini.

La fazione donatista chiese però un giudizio da parte di Roma che convocò Ceciliano insieme a dieci vescovi della sua fazione e dieci di quella avversaria, mentre Papa Milziade si fece aiutare da quindici vescovi italiani.

Le accuse presentate contro Ceciliano non furono considerate perché anonime e non verificate. Donato, invece, fu condannato per aver affermato di aver ribattezzato e di avere imposto le sue mani in segno di penitenza sui vescovi, pratica vietata dal diritto canonico. 

Il terzo giorno Milziade emise la sua sentenza: Ceciliano doveva essere mantenuto in comunione ecclesiastica.

Dopo questa interessante lezione di storia, che vi invito caldamente ad approfondire, passiamo un attimo ai giorni d’oggi e alla “seconda parte” di questo articolo: una cum.

“…in primis, quæ tibi offérimus pro Ecclésia tua sancta cathólica: quam pacificáre, custodíre, adunáre et régere dignéris toto orbe terrárum: una cum fámulo tuo Papa nostro…”

Noi te l’offriamo anzitutto per la tua Chiesa santa e cattolica affinché Tu le dia pace, la protegga, la raduni e la governi su tutta la terra: in unione con il tuo servo, il nostro Papa…

Quando il sacerdote celebra la Santa Messa, lo fa in comunione (che, dal latino, significa proprio comunanza, vicinanza, fratellanza) con i cattolici di tutto il mondo, “e tutti coloro che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli” e, in particolare, con il Sommo Pontefice e il proprio Vescovo diocesano al quale i sacerdoti promettono “filiale rispetto e obbedienza”.

Celebrare in comunione significa celebrare in armonia, celebrare con i fratelli, celebrare avendo in comune, cioè condividendo le stesse cose, la stessa fede, gli stessi precetti, gli stessi insegnamenti, la stessa morale cristiana.

Stiamo andando a paragonare la questione donatista con la situazione odierna per un motivo preciso che ora vi spiego.

L’11 febbraio 2013, con un impressionante discorso in latino, che tutti, con commozione, ricordiamo, Benedetto XVI decide di rinunciare al Soglio Pontificio e a tutto ciò che il suo Ufficio comporta a decorrere dal 28 febbraio dello stesso anno. Nel contempo, comunica che il Sacro Collegio dovrà convocare un conclave per l’elezione del suo successore e il 13 marzo 2013 il cardinale Bergoglio è eletto con il nome di Francesco.

Ad alcuni, anche ignoranti, questa questione non è mai stata proprio chiara. In che senso? Gente che non condivideva alcuni modi di agire del nuovo Pontefice, ha iniziato ad inventare teorie fantascientifiche secondo le quali Ratzinger fosse stato costretto a dimettersi a causa di vari complotti e altre sciocchezze che, sicuramente, già conoscerete forse anche meglio di me, hanno definito il nuovo Papa un apostata, un antipapa, e, in autonomia, hanno iniziato a riconoscere in Benedetto XVI il vero Pontefice, ancora in carica, della Chiesa Cattolica.

Fra questi c’è un personaggio, a noi molto noto e caro, un ex-sacerdote siciliano, di cui non faccio nomi per evitare che gli venga fatta altra pubblicità gratuita, che ha iniziato, pubblicamente, ad accusare pubblicamente il Papa e a celebrare la Santa Messa una cum Benedetto XVI. Il soggetto in questione è stato poi sospeso a divinis, scomunicato latae sententiae per eresia e scisma e, poi, ridotto allo stato laicale.

Il signore portava a sostegno della sua tesi alcuni errori lessicali e grammaticali che ci sarebbero nella dichiarazione delle dimissioni di Benedetto e il fatto che il Papa emerito continuasse a vestire di bianco. (Sotto questo punto di vista devo dire che, però, anche la Santa Sede, visto l’andazzo della situazione, avrebbe potuto disciplinare, o meglio istituire ufficialmente, il ruolo di Papa emerito, anche perché sono ormai passati dieci anni…)

Cos’hanno in comune le due situazioni, quella antica e quella attuale? La non-comunione con Roma, la follia e le manie di protagonismo, di potere, che portano al verificarsi di tali situazioni solo per diventare qualcuno, per essere seguiti e acclamati dalle folle e, ultima cosa, ma non per importanza, l’eresia.

Siamo uomini, come tali non siamo esseri perfetti, come volevano al contrario i donatisti, e non ci troveremo mai d’accordo tutti su tutto, nemmeno su quello che dice il Papa, ma, considerato che c’è sempre, in ogni cosa, lo zampino dello Spirito Santo, anche e soprattutto nell’elezione del Pontefice, non ci resta che affidarci a Lui e pregare.

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