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Una lezione da Oltremanica

L’articolo presenta una serie di riflessioni sull’incoronazione di Re Carlo III, trattando temi di cattolicità, simbolismo, patria, tradizione, senso del bello e dell’estetica. L’Inghilterra, con questo rito, ha mostrato che il mondo ha ancora bisogno di tradizione e di sacralità.

La recentissima incoronazione di Re Carlo III del Regno Unito e della sua consorte, la Regina Camilla, sono ancora fresche nelle menti e nei cuori di tutti noi. Sabato 6 maggio 2023 tutto il mondo si è letteralmente fermato di fronte alle televisioni, ai maxischermi, alle dirette streaming, per ammirare una delle cerimonie più auliche, sacre e trascendentali della storia dell’uomo e attualmente ancora in vigore (sebbene in una forma ahinoi edulcorata). Questo accoramento, questa vicinanza, questa curiosità e passione mondiali per l’incoronazione non del proprio capo di stato, ma di un sovrano di una nazione estera non può che manifestarsi come particolarissimo spunto per profonde e significative riflessioni a cui l’uomo contemporaneo, e nella fattispecie particolare l’uomo cattolico, è chiamato a riflettere.

La prima, trasversale per ogni nazione di questo mondo globalizzato, è che l’uomo ha atavicamente necessità del simbolismo. L’era della post modernità ha imbevuto l’uomo dell’illusione di potersi sganciare dalla storia, ha corrotto gli animi dell’opinione pubblica con le menzogne più turpi, a partire dall’imperativo secondo cui solo scienza ed efficienza contano per davvero, sino alle manfrine di un progresso alla cui base vi è l’espoliazione da ogni forma di simbolismo a matrice sacra, poiché sostanzialmente considerato nemico di quella laicità che concorre fortemente all’omogeneizzazione degli uomini e delle società. A che serve un’incoronazione quando per divenire nuovo capo di stato potrebbe essere sufficiente firmare un foglio? Ecco lo abbiamo visto in questi giorni. Per quanto si possa ubriacare l’uomo di mediocrità, di asetticità di una vita ridotta al binomio lavoro-consumo in cui gli unici simboli permessi sono i marchi di vestiti o i loghi di quelle società che fatturano miliardi facendo tirare al pallone undici ragazzoni, l’uomo va alla ricerca spasmodica di quegli elementi che gli facciano fremere l’anima, che appaghino quella sete di “ermetismo” a carattere sacrale, e laddove non lo trovano in casa propria, lo cercano inconsciamente altrove. Probabilmente molti non sono nemmeno consapevoli di questa attrazione verso il simbolismo, è chiaro tuttavia che non è semplice curiosità, essa non sarebbe in grado di giustificare tali livelli di viva partecipazione, anche emotiva, all’evento.

A tali pensieri ben si accoda una seconda riflessione, sui valori di Tradizione e di Patria, ormai non solo caduti in disuso, dimenticati, anzi sotterrati, ma addirittura osteggiati. E lo vediamo bene noi italiani e noi cattolici! Viviamo in un paese dove essere orgogliosi della propria identità significa incappare in ostracismi, polemiche, accuse anche pesanti e disprezzo da parte di quella maggioranza che brama il cosmopolitismo nichilista totale. La patria è morta, ciò che conta oggi sono queste sovra istituzioni fluide a carattere lobbistico come UE, ONU, Fondo Monetario Internazionale, ove tutti possono sentirsi uguali, ovvero standardizzati, ovvero aderenti a una infinita serie di carte varie su diritti, ambiente, inquinamenti, firmate e rifirmate ogni x anni sulla base degli allarmismi di moda in quel momento e nulla più. Il massimo che riescono a fare è mummificare qualche tradizione locale o qualche bene architettonico che può fruttare economicamente un buon indotto al comparto turistico. I cattolici poi ne sanno anche qualcosa di più, dal ’65 è iniziata una guerra il cui obiettivo è la deflagrazione totale della Tradizione cattolica, focalizzata non solo sul rito, culmine santo della Chiesa e del sacerdozio, ma anche su tutto il corollario, a partire dall’abbigliamento e dai parati sacri, sino alle cose più spicce come le formule di cortesia da utilizzarsi negli scambi epistolari. Ut Sive Sollicite, di papa Montini è stato particolarmente devastatore in tal senso, ma è la prassi dell’ultimo pontificato ad aver dato il colpo di grazia. Il motu proprio bergogliano Traditionis Custodes, ma che forse sarebbe meglio chiamare Traditionis Destroyers, rappresenta la traduzione ecclesiastica dello stesso pensiero nichilista presente nel mondo laico: chiudere definitivamente con un passato che si detesta nella finzione di adattarlo al mondo moderno. Reprimere con ogni efferatezza concedibile qualsiasi slancio d’amore e d’orgoglio verso l’attaccamento alle proprie radici, al proprio culto, alla propria identità, e in somma sintesi alla Verità. E cosa fanno i poveri patrioti italiani e/o tradizionalisti cattolici? Si trovano a guardare con commozione all’incoronazione di un’altra nazione, di un altro capo di stato, pure apice di una chiesa eretica e scismatica peraltro (e con una celebrazione che è stata comunque in tono molto minore rispetto a quelle degli avi Elisabetta II, Giorgio VI e via a ritroso). In questo gioco al ribasso, alla cesura indottrinante è tuttavia buffo notare che per quanto ci si sforzi di distruggere le tradizioni l’uomo alla fine volge sempre lo sguardo là dove anche un solo barlume di esse viene conservato, se non altro offre una piccolissima, se non misera ma comunque presente, speranza che un giorno l’umanità si risvegli e si liberi dal torpore suicida di una società che nega Dio, nega la Patria, nega ormai persino la sua stessa identità umana.

Una riflessione en passant, velata ma non troppo, non può inoltre escludere il lettore cattolico dal binomio Monarchia – Repubblica. Dove volgiamo lo sguardo? Verso un Re, Unto del Signore, cattolico, che presta il proprio giuramento a vita di servizio al popolo e a Dio, che viene consacrato in chiesa ponendo la propria mano sulla Bibbia, mentre regge la Spada della Giustizia, l’Orbe cristianissimo e lo Scettro della regalità, vestendo i sacri manti dei suoi padri ed educando i suoi figli alla vocazione sacrale del servizio cui sono stati chiamati, oppure ci volgiamo verso l’ominicchio politico in completo blu e cravattina grigia che dopo aver firmato un foglio di nomina esito di qualche litigio parlamentare imposta il suo cronometro su 7 anni e si siede a siglare scartoffie senza abbracciare nessun simbolo e offrire alcuna empatia e men che meno sacralità?

L’ultima ma non meno importante riflessione concerne il valore fondante della Bellezza e dell’Estetica quali fondamentali veicoli per la trasmissione dei valori. Con Carlo e Camilla si è visto, sebbene come si è detto in tono minore rispetto alla precedente incoronazione, il tripudio del Bello, l’uso di molteplici manti regali a seconda del momento rituale, gli abiti cavallereschi in pompa magna dei vari ordini britannici, i piviali di broccato, gli abiti bianchi e rossi del coro, le divise militari tirate a lustro, i nobili nei loro costumi tradizionali, tutto ciò che una liturgia millenaria è capace di offrire. Il valore stimato dei gioielli della Corona utilizzati durante la cerimonia pare essere intorno ai 3,9 miliardi di dollari, che in questa occasione sono stati mostrati nella loro magnificenza integrale, perché vivi! Utilizzati, e non barricati in qualche vetrinetta a godimento dei turisti e ad ossessione di chi tale passato lo teme o ne trae spunto per polemicucce da Twitter. Questa bellezza ha dato il meglio di sé nell’ammirazione stupefatta che si leggeva nei volti delle persone, nei commenti dei giornalisti e della gente, nelle fotografie stupende che sono rimbalzate ovunque sui social network. Quale magnificenza vedere queste due rege figure affacciarsi alla balconata del palazzo reale cinte da manti purpurei e corone diamantate mentre il popolo esultante rendeva loro omaggio, le Red Arrows incensavano i cieli di Londra con i colori nazionali e l’esercito sfilava in alta uniforme. Anche questo concorre nell’uomo alla formazione di un immaginario ideale, inarrivabile, e per questo stupendo; un legame divino fra cielo e terra, umano e sovrumano, dove passato, presente e futuro si abbracciano e mostrano quanto ancora si può offrire di buono, bello e giusto ad una società occidentale traviata, che troppo spesso di se stessa vuol ricordare solo le scarne pagine più oscure. La bellezza salverà il mondo si è soliti dire, ed è vero, la bellezza unisce, affascina, agevola il sacro, favorisce la preghiera, in somma sintesi: edifica. Occorrerebbe che lo si apprendesse anche in Vaticano, dove da 50 anni a questa parte, e con grave peggioramento negli ultimi 10, il senso della bellezza e dell’estetica è stato violentato al pari del simbolismo. Non ci si può lamentare delle chiese vuote e della tiepidezza dei fedeli se si fanno delle celebrazioni che definire sciatte sarebbe un complimento, se cardinali e vescovi girano in clergy grigio topo come fossero ometti qualunque del centro anziani, se taluni pontefici indossano casule più simili a dei poncho multicolore che non abiti pronti a mostrare la magnificenza di Dio e la sacralità dell’istituzione petrina, se si sostituiscono i canti gregoriani con le schitarrate da oratorio durante i pontificali, se i rocchetti di pizzo si trasformano in cottine di gigliuccio utilizzabili tanto in quaresima quanto a Pasqua, se al posto del calice piano dell’Immacolata si usano brocche di legno (magari con qualche bel geroglifico azteco). In ossequio a un perniciosissimo pauperismo malcelato sotto le mentite spoglie di una presunta umiltà si è ceduto tutto ciò che si poteva cedere, dalla capacità di trasmettere la sacralità simbolica del rito fino all’esaltazione di Dio per mezzo di tutta la bellezza che si ha a disposizione (anche gratuitamente), omaggiandoLo al meglio che si può. E in questa emorragia di valori, la Chiesa sopravvissuta per ora al disastro, ormai esangue non può che sentir lontanamente riecheggiare quelle parole che il Santo Padre Benedetto XVI (Dio lo abbia in gloria) pronunziò nella Cattedrale di Notre Dame:

La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita.

E dunque, magari fra una messa rock, un incontro ecumenista ed eterodosso di Assisi e una seduta del sinodo sulla sinodalità si spera che qualcuno rifletta su ciò che un tempo era Chiesa e oggi è “Fratelli Tutti”, su riti un tempo gremiti di fedeli contriti ed oggi frequentati da allegri merenderos da bancone intonanti l’alleluia delle lampadine… e magari butti uno sguardo Oltremanica dove magari nel 2023, seppur con tutti i loro difetti, hanno ancora qualcosa da insegnarci.Alla fine, anche per noi, alla luce di tutto ciò, l’unica cosa che può sovvenirci è quella di farci partecipi al coro unanime degli inglesi e del mondo intero: LUNGA VITA A RE CARLO… purché si converta però 😉

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