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Angelologia

Nel Credo professiamo la fede in Dio «Creatore del Cielo e della Terra, di tutte le cose, visibili e invisibili». Dopo aver visto come Dio ha creato il mondo e le creature corporee (le cose visibili), ora passiamo ad analizzare la creazione delle creature spirituali, gli angeli (le cose invisibili).

All’interno del trattato sulla creazione, cui si è fatto riferimento nell’articolo precedente, San Tommaso inserisce il trattato sui puri spiriti, o creature spirituali. Essi sono definiti in genere, dal volgo, angeli, anche se tra i puri spiriti vi sono nove cori, dei quali uno solo è costituito dagli angeli propriamente detti.

Il trattato sugli angeli, che costituisce il ramo della teologia dogmatica definito angelologia, è fondato dal Dottore Angelico non solo sulle riflessioni aprioristiche della teologia scolastica, bensì soprattutto «su quanto afferma la Sacra Scrittura sull’esistenza degli angeli, sulla loro intelligenza, sul loro numero, sulla bontà degli uni, sulla malvagità degli altri e sui loro rapporti con gli uomini» (Lagrange, 179). Nell’Antico Testamento, infatti, sono numerosissimi i riferimenti ai puri spiriti e in modo particolare in Genesi, in Giobbe, in Tobia, in Isaia, in Daniele e nei Salmi. Nel Nuovo Testamento, poi, si ha la conferma delle testimonianze antiche e si nota la descrizione di diversi interventi angelici sia nella vita di Gesù Cristo sia nel ministero degli Apostoli. In base alle testimonianze bibliche e alla riflessione tommasiana, p. Garrigou-Lagrange propone la seguente definizione: «Gli angeli sono creature superiori all’uomo, che appaiono talvolta sotto forma sensibile, ma che generalmente sono chiamati spiritus, per cui si può affermare che sono creature puramente spirituali» (Lagrange, 179).

Terminata l’esposizione sulla creazione delle sostanze composte, San Tommaso afferma che è necessario «indagare sulla distinzione della creatura corporea da quella spirituale. E per primo, sulla creatura puramente spirituale, che nella Sacra Scrittura è chiamata angelo. Per secondo, sulla creatura puramente corporea. Per terzo, sulla creatura composta di spirito e di corpo, qual è l’uomo» (STh, I, q.50). All’interno del trattato sugli angeli, poi, il Dottore Angelico si interroga sulla loro sostanza (qq.50, 51, 52 e 53), sul loro intelletto (qq.54, 55, 56, 57 e 58), sulla loro volontà (qq.59 e 60) e sulla loro creazione (q.61). La riflessione passa, poi, a indagare la bontà e la malizia dei puri spiriti, aprendo il discorso alla cosiddetta demonologia (qq.62, 63 e 64).

Innanzitutto, è necessario riflettere sulla natura degli angeli. Ci si chiede: che cos’è un angelo? Si può sintetizzare il pensiero di San Tommaso, affermando che «gli angeli sono creature puramente spirituali e forme sussistenti senza alcuna materia» (Lagrange, 181). Infatti, gli angeli sono creature del tutto incorporee e, di conseguenza, spirituali. Ciò è dimostrato dal fatto che, avendo Dio creato l’universo per mezzo dell’intelletto e della volontà, è necessario alla perfezione dell’universo, che esistano delle creature puramente intellettuali. Esse sono gli angeli, i quali sono tanto più vicini alla natura di Dio, quanto l’effetto deve essere vicino alla causa (Cfr. STh I, q.50, a.1). Ciò implica anche che gli angeli siano enti formati solamente da forma e non da materia. Scrive il Dottore Angelico: «È impossibile che la sostanza intellettuale abbia una materia quale che sia. Infatti, l’operazione di ciascuna cosa è effettuata secondo il modo di essere della sua sostanza. Ora, l’atto dell’intendere è un’operazione completamente immateriale» (STh I, q.50, a.2). Si conclude, quindi, che gli angeli, creature intellettuali, sono pura forma, senza materia.

Due conclusioni sono implicate dal discorso appena fatto. La prima è che ogni angelo è una specie a sé e per ogni specie delle creature spirituali vi è un solo individuo. Infatti, «quelle cose che hanno in comune la specie e si distinguono per il numero, hanno in comune la forma e si distinguono per la materia» (STh I, q.50, a.4). Se gli angeli, come si è detto, sono immateriali, cioè non composti di materia, allora, è necessario concludere che «è impossibile che ci siano due angeli di una sola specie» (Ivi). L’altra conclusione da trarre è che gli angeli sono incorruttibili. Infatti, «nulla si corrompe se non perché la sua forma si separa dalla materia» (STh I, q.50, a.5). Se gli angeli sono forme sussistenti, senza materia, è evidentemente impossibile che la loro sostanza sia corruttibile.

Dopo la quaestio 50, che funge da introduzione e fondamento al discorso, San Tommaso sviluppa tre quaestiones (51, 52 e 53) sul modo, in cui gli angeli operano. Innanzitutto, egli afferma che le creature spirituali non hanno un corpo a loro unito per natura, ma in alcuni casi possono assumere un corpo per una determinata esigenza della loro missione (Cfr. STh I, q.51, aa. 1-2). Ciò è dimostrato dal fatto che nella Sacra Scrittura sono narrati episodi di apparizione di angeli in forma corporea. In modo particolare, va considerata l’apparizione di San Raffaele a Tobia, la quale deve essere necessariamente considerata come un’apparizione corporea e non semplicemente come una visione immaginaria.

Un ulteriore interrogativo si pone circa il rapporto degli angeli con i luoghi (q.52). Anche gli angeli sono presenti in un luogo, ma non allo stesso modo dei corpi. Il corpo, infatti, è presente in un luogo, «perché si applica ad esso tramite il contatto della quantità dimensionata» (STh I, q.52, a.1). Negli angeli non c’è una quantità dimensionata, ma potenziale. Di conseguenza, un angelo è presente in un luogo in quanto «applica a un luogo la sua potenza in un qualsiasi modo» (Ivi). Tuttavia, il fatto che la sua potenza, a differenza della potenza di Dio, è limitata, bisogna dedurre che un angelo non può essere in più luoghi contemporaneamente, ma solo in un determinato luogo (Cfr. STh I, q.52, a.2).

Angelologia

San Tommaso continua, poi, la sua riflessione teologica, interrogandosi sull’intelletto e sulla volontà degli angeli (qq. 54-60). La loro conoscenza è puramente intellettuale e non empirica, come quella umana. Infatti, l’idea umana è astratta dalle cose sensibili tramite un elaborato processo conoscitivo, che ci permette di ricavare l’universale dal particolare. L’idea angelica, invece, «è naturaliter indita, infusa da Dio al momento della creazione dell’angelo come una conseguenza della sua natura spirituale» (Lagrange, 182). Le idee degli angeli, quindi, sono «una partecipazione delle idee divine, secondo le quali Dio produce le cose» (Ivi) e, in conseguenza di ciò, sono universali e concrete. L’angelo non può ingannarsi su ciò che conviene alla natura delle cose, perché sono da lui conosciute per pura intuizione. Tuttavia, può ingannarsi in tutto ciò che supera il suo grado di conoscenza, ovvero circa quello che conviene soprannaturalmente alle cose create o circa il grado di grazia di un’anima umana o circa i futuri contingenti, soprattutto circa quelli legati alla libera volontà dell’anima umana (Cfr. Lagrange, 183-184).

È, infine, necessario riflettere sulla volontà degli angeli per avere chiara la loro natura. La riflessione sulla volontà è necessaria anche per comprendere il motivo e l’origine degli angeli cattivi. La volontà è necessariamente connessa all’intelletto. Infatti, si sceglie con la volontà ciò che si conosce e si considera un bene con l’intelletto. Negli uomini la volontà è inficiata dalla deficienza dell’intelletto, che è limitato nella conoscenza. Negli angeli, invece, l’intelletto conosce intuitivamente e, di conseguenza, la volontà dell’angelo è necessitata dal suo intelletto. Allo stesso tempo, la facoltà dell’intelletto implica il libero arbitrio. Un animale non ha il libero arbitrio, perché non ha l’intelletto e agisce secondo l’istinto naturale. L’uomo ha il libero arbitrio, perché con l’intelletto conosce e distingue il bene dal male. Ciò avviene non senza possibilità di errore. Nell’angelo, invece, oltre ad esserci il libero arbitrio. c’è anche una conoscenza intuitiva della natura delle cose. Di conseguenza nella volontà degli angeli ci sono «alcuni atti che sono necessari a causa del loro oggetto appreso dall’intelligenza come un bene perfetto» (Lagrange, 185). L’angelo, quindi, ama di amore necessario, naturale, non libero, se stesso e Dio, perché conosce senza errore la legge naturale e non può agire contro di essa, in quanto la conosce come bene. Tuttavia, l’angelo può peccare, agendo contro la legge soprannaturale. Tale suo peccato è sempre mortale, in quanto con la sua conoscenza intuitiva conosce perfettamente la legge di Dio. Questo peccato, inoltre, è anche irrevocabile e irremissibile, poiché «l’angelo vuole irrevocabilmente quello che ha scelto con piena avvertenza, cioè dopo aver considerato non in astratto, in maniera discorsiva e progressiva, come facciamo noi, ma intuitivamente e simultaneamente tutto ciò che riguarda la cosa da scegliere» (Lagrange, 186). Da ciò si comprende l’ostinazione del Diavolo, che ha compiuto la sua scelta considerando tutto ciò che essa implicava.

Terminato il discorso sulla natura degli angeli, passiamo ora, brevemente, a riflettere sulla loro creazione, sul loro stato di gloria o di dannazione. Anche gli angeli, come gli altri enti, hanno la loro origine nell’atto creativo di Dio, il quale è l’unico Ente per sé sussistente. Essi sono stati creati nel tempo e non esistono dall’eternità come Dio (Cfr. STh I, q.61, aa. 1-2). La loro creazione, inoltre, avvenne insieme a quella della creatura corporea e non separatamente da essa, poiché «gli angeli sono una parte dell’universo. […] non costituiscono un universo a sé, ma tanto essi quanto la creatura corporea fanno parte della costituzione di un unico universo» (STh I, q.61, a.3).

Nella loro creazione gli angeli furono sin dall’inizio beati, ma ebbero bisogno della grazia per convertirsi a Dio, oggetto della beatitudine (STh I, q.62, a.1). Infatti, la volontà per natura è diretta a ciò che conviene secondo la natura, mentre ha bisogno della grazia per conoscere e amare Dio, somma beatitudine (Ivi, a.2). Si può, inoltre, affermare che essi furono creati nello stato di grazia, in quanto al principio Dio concesse loro il dono della grazia abituale (Ivi, a.3). Lo stato di beatitudine degli angeli, invece, non è stato loro dato per natura, bensì lo hanno meritato. Infatti, spiega San Tommaso che «non appartiene a nessuna creatura essere beata per natura, ma esserlo ne è il fine ultimo» (Ivi, a.4). Si giunge al fine ultimo tramite una qualche operazione. È, quindi, necessario affermare che gli angeli hanno meritato la loro beatitudine, così come gli uomini meritano la loro beatitudine. Tale beatitudine fu meritata dall’angelo con il primo atto di carità. Il motivo di ciò è che «la grazia perfeziona la natura secondo il modo della natura» e «il proprio della natura angelica consiste nel fatto che raggiunge la perfezione naturale non per mezzo del discorso, ma l’ha subito per natura» (Ivi). Per questo motivo, l’angelo subito, dopo il merito, conseguì la beatitudine. Né è possibile che l’angelo beato possa peccare, poiché la beatitudine consiste nel vedere Dio per essenza, il quale è sommo bene. Siccome è impossibile che uno voglia o scelga di fare qualcosa, senza avere come fine il bene, «allora, l’angelo non può volere o fare qualcosa senza aver di mira Dio. Ora, chi vuole o chi agisce in questo modo, non può peccare» (Ivi).

Nel primo istante della loro creazione gli angeli furono tutti buoni, poiché creati da Dio, sommo bene. Il Diavolo e gli altri angeli cattivi (demòni) furono creati buoni e nel bene, ma subito dopo il primo istante della loro creazione, come gli altri angeli meritarono con un atto di carità la loro beatitudine, così essi meritarono con un atto di superbia e di invidia la loro dannazione. Infatti, specifica San Tommaso: «Poiché gli angeli pervengono alla beatitudine tramite un solo atto meritorio […], se il diavolo, creato in grazia, avesse meritato nel primo istante, dopo quel primo istante avrebbe subito conseguito la beatitudine, qualora non vi avesse posto subito un impedimento peccando» (STh I, q.63, a.6). Il loro peccato, inoltre, fu un peccato di superbia ed invidia e non un altro, poiché «negli angeli cattivi ci possono essere solo quei peccati, verso i quali capita che la loro natura spirituale abbia l’affezione» (STh I, q.63, a.2). La natura degli angeli, in quanto creature spirituali, non può avere affezione verso i beni propri del corpo, ma verso le cose spirituali. In esse, inoltre, non ci può essere peccato se non andando contro la regola di un superiore. Quindi, il peccato degli angeli cattivi fu di superbia, perché non si sottomisero a Dio. Alla superbia si aggiunge l’invidia, poiché il Diavolo e gli angeli ribelli si dolsero per il bene dell’uomo e per l’eccellenza di Dio, senza che né l’uno né l’altro cagionassero danno al loro bene (Cfr. ivi).

San Tommaso continua, poi, la sua riflessione teologica, interrogandosi sull’intelletto e sulla volontà degli angeli (qq. 54-60). La loro conoscenza è puramente intellettuale e non empirica, come quella umana. Infatti, l’idea umana è astratta dalle cose sensibili tramite un elaborato processo conoscitivo, che ci permette di ricavare l’universale dal particolare. L’idea angelica, invece, «è naturaliter indita, infusa da Dio al momento della creazione dell’angelo come una conseguenza della sua natura spirituale» (Lagrange, 182). Le idee degli angeli, quindi, sono «una partecipazione delle idee divine, secondo le quali Dio produce le cose» (Ivi) e, in conseguenza di ciò, sono universali e concrete. L’angelo non può ingannarsi su ciò che conviene alla natura delle cose, perché sono da lui conosciute per pura intuizione. Tuttavia, può ingannarsi in tutto ciò che supera il suo grado di conoscenza, ovvero circa quello che conviene soprannaturalmente alle cose create o circa il grado di grazia di un’anima umana o circa i futuri contingenti, soprattutto circa quelli legati alla libera volontà dell’anima umana (Cfr. Lagrange, 183-184).

È, infine, necessario riflettere sulla volontà degli angeli per avere chiara la loro natura. La riflessione sulla volontà è necessaria anche per comprendere il motivo e l’origine degli angeli cattivi. La volontà è necessariamente connessa all’intelletto. Infatti, si sceglie con la volontà ciò che si conosce e si considera un bene con l’intelletto. Negli uomini la volontà è inficiata dalla deficienza dell’intelletto, che è limitato nella conoscenza. Negli angeli, invece, l’intelletto conosce intuitivamente e, di conseguenza, la volontà dell’angelo è necessitata dal suo intelletto. Allo stesso tempo, la facoltà dell’intelletto implica il libero arbitrio. Un animale non ha il libero arbitrio, perché non ha l’intelletto e agisce secondo l’istinto naturale. L’uomo ha il libero arbitrio, perché con l’intelletto conosce e distingue il bene dal male. Ciò avviene non senza possibilità di errore. Nell’angelo, invece, oltre ad esserci il libero arbitrio. c’è anche una conoscenza intuitiva della natura delle cose. Di conseguenza nella volontà degli angeli ci sono «alcuni atti che sono necessari a causa del loro oggetto appreso dall’intelligenza come un bene perfetto» (Lagrange, 185). L’angelo, quindi, ama di amore necessario, naturale, non libero, se stesso e Dio, perché conosce senza errore la legge naturale e non può agire contro di essa, in quanto la conosce come bene. Tuttavia, l’angelo può peccare, agendo contro la legge soprannaturale. Tale suo peccato è sempre mortale, in quanto con la sua conoscenza intuitiva conosce perfettamente la legge di Dio. Questo peccato, inoltre, è anche irrevocabile e irremissibile, poiché «l’angelo vuole irrevocabilmente quello che ha scelto con piena avvertenza, cioè dopo aver considerato non in astratto, in maniera discorsiva e progressiva, come facciamo noi, ma intuitivamente e simultaneamente tutto ciò che riguarda la cosa da scegliere» (Lagrange, 186). Da ciò si comprende l’ostinazione del Diavolo, che ha compiuto la sua scelta considerando tutto ciò che essa implicava.

Terminato il discorso sulla natura degli angeli, passiamo ora, brevemente, a riflettere sulla loro creazione, sul loro stato di gloria o di dannazione. Anche gli angeli, come gli altri enti, hanno la loro origine nell’atto creativo di Dio, il quale è l’unico Ente per sé sussistente. Essi sono stati creati nel tempo e non esistono dall’eternità come Dio (Cfr. STh I, q.61, aa. 1-2). La loro creazione, inoltre, avvenne insieme a quella della creatura corporea e non separatamente da essa, poiché «gli angeli sono una parte dell’universo. […] non costituiscono un universo a sé, ma tanto essi quanto la creatura corporea fanno parte della costituzione di un unico universo» (STh I, q.61, a.3).

Nella loro creazione gli angeli furono sin dall’inizio beati, ma ebbero bisogno della grazia per convertirsi a Dio, oggetto della beatitudine (STh I, q.62, a.1). Infatti, la volontà per natura è diretta a ciò che conviene secondo la natura, mentre ha bisogno della grazia per conoscere e amare Dio, somma beatitudine (Ivi, a.2). Si può, inoltre, affermare che essi furono creati nello stato di grazia, in quanto al principio Dio concesse loro il dono della grazia abituale (Ivi, a.3). Lo stato di beatitudine degli angeli, invece, non è stato loro dato per natura, bensì lo hanno meritato. Infatti, spiega San Tommaso che «non appartiene a nessuna creatura essere beata per natura, ma esserlo ne è il fine ultimo» (Ivi, a.4). Si giunge al fine ultimo tramite una qualche operazione. È, quindi, necessario affermare che gli angeli hanno meritato la loro beatitudine, così come gli uomini meritano la loro beatitudine. Tale beatitudine fu meritata dall’angelo con il primo atto di carità. Il motivo di ciò è che «la grazia perfeziona la natura secondo il modo della natura» e «il proprio della natura angelica consiste nel fatto che raggiunge la perfezione naturale non per mezzo del discorso, ma l’ha subito per natura» (Ivi). Per questo motivo, l’angelo subito, dopo il merito, conseguì la beatitudine. Né è possibile che l’angelo beato possa peccare, poiché la beatitudine consiste nel vedere Dio per essenza, il quale è sommo bene. Siccome è impossibile che uno voglia o scelga di fare qualcosa, senza avere come fine il bene, «allora, l’angelo non può volere o fare qualcosa senza aver di mira Dio. Ora, chi vuole o chi agisce in questo modo, non può peccare» (Ivi).

Nel primo istante della loro creazione gli angeli furono tutti buoni, poiché creati da Dio, sommo bene. Il Diavolo e gli altri angeli cattivi (demòni) furono creati buoni e nel bene, ma subito dopo il primo istante della loro creazione, come gli altri angeli meritarono con un atto di carità la loro beatitudine, così essi meritarono con un atto di superbia e di invidia la loro dannazione. Infatti, specifica San Tommaso: «Poiché gli angeli pervengono alla beatitudine tramite un solo atto meritorio […], se il diavolo, creato in grazia, avesse meritato nel primo istante, dopo quel primo istante avrebbe subito conseguito la beatitudine, qualora non vi avesse posto subito un impedimento peccando» (STh I, q.63, a.6). Il loro peccato, inoltre, fu un peccato di superbia ed invidia e non un altro, poiché «negli angeli cattivi ci possono essere solo quei peccati, verso i quali capita che la loro natura spirituale abbia l’affezione» (STh I, q.63, a.2). La natura degli angeli, in quanto creature spirituali, non può avere affezione verso i beni propri del corpo, ma verso le cose spirituali. In esse, inoltre, non ci può essere peccato se non andando contro la regola di un superiore. Quindi, il peccato degli angeli cattivi fu di superbia, perché non si sottomisero a Dio. Alla superbia si aggiunge l’invidia, poiché il Diavolo e gli angeli ribelli si dolsero per il bene dell’uomo e per l’eccellenza di Dio, senza che né l’uno né l’altro cagionassero danno al loro bene (Cfr. ivi).

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