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Come è Dio? Quali sono i principali attributi della sua essenza? Con San Tommaso ci avviciniamo in punta di piedi a Dio e ne scopriamo la semplicità, l’infinità, l’eternità, l’immutabilità, l’unità, la bontà.
De Deo uno – Gli attributi del Dio uno
All’inizio della quaestio 3 della Pars prima della Summa theologica San Tommaso afferma che «dopo aver conosciuto che Dio esiste, bisogna indagare in che modo esista, per sapere di Dio che cosa sia». Nel precedente articolo di questa rubrica, si è visto che tramite la ragione è possibile arrivare a conoscere l’esistenza di Dio. Ora si tratta di avvicinarci in punta di piedi, per conoscere qualche attributo della sua essenza. San Tommaso ci guida in questa riflessione, indicandoci innanzitutto la via della teologia negativa: «Ora, poiché non possiamo sapere di Dio che cosa sia, ma che cosa non sia, non possiamo considerare di Dio in che modo sia, ma piuttosto in che modo non sia». Di fronte all’eminenza del mistero, le tenebre del nostro intelletto umano iniziano a diradarsi, se partiamo dal considerare come Dio non è.
Innanzitutto, è possibile affermare che Dio non è una sostanza composta, ma semplice. Di conseguenza, il primo attributo dell’essenza divina è la semplicità (quaestio 3). Si dice sostanza semplice, l’ente non composto di materia, ma di sola forma. Scrive il Dottore angelico che «non è possibile che in Dio ci sia la materia». Questa realtà è necessitata da tre motivi. Innanzitutto, in Dio non vi può essere materia, perché Dio è atto puro, mentre «la materia è ciò che è in potenza». In secondo luogo, non vi può essere materia, perché Dio è sommamente perfetto, mentre la materia è perfetta solo per partecipazione della forma. Infine, Dio è una sostanza semplice, perché Egli è il sommo agente, la causa efficiente di ogni cosa, ma «ogni agente agisce in virtù della sua forma». Parlare di semplicità di Dio, però, significa anche affermare che in Dio l’essenza e l’essere coincidono. Infatti, spiega San Tommaso: «Come ciò che ha fuoco e non è fuoco, è infuocato per partecipazione, così ciò che ha l’essere e non è l’essere, è ente per partecipazione. Allora, se non fosse il suo essere, sarebbe un ente per partecipazione e non per essenza. Quindi, non sarebbe il primo ente, cosa che è assurdo affermare. Dio, allora, è il suo essere e non solo la sua essenza».
Il secondo attributo di Dio è, poi, la perfezione (quaestio 4). Tale attributo anticipa quello della bontà (quaestio 6), secondo quanto afferma il Dottore angelico: «Poiché ciascun essere si dice buono nella misura in cui è perfetto, bisogna trattare per primo della perfezione divina, per secondo della sua bontà». Per quanto riguarda, quindi, la perfezione di Dio, essa è propria del Principio Primo, in quanto atto puro. Se da un lato, «alcuni antichi filosofi, cioè i Pitagorici ed anche Speusippo, non attribuirono al primo principio ciò che è ottimo e perfettissimo», dall’altro è necessario affermare che Dio è perfettissimo, poiché «occorre che il primo principio agente sia massimamente in atto e, conseguentemente, massimamente perfetto». Dio, infatti, in quanto principio immateriale, non può essere legato al divenire e all’imperfezione della materia. Alla perfezione di Dio è collegata, come si è visto, la sua bontà (quaestio 6). San Tommaso afferma chiaramente che «essere buono spetta soprattutto a Dio». Egli è il bene sommo, da cui deriva per partecipazione il bene di tutte le creature. Infatti, si attribuisce a Dio l’attributo della bontà, perché «tutte le perfezioni desiderate scaturiscono da lui come dalla prima causa».
Dio è l’essere perfettissimo, il sommo bene, ma ha anche un altro attributo: l’infinità (quaestio 7). Infatti, è comune sentenza l’affermare che «Dio sia dappertutto e in tutte le cose, in quanto è un essere non circoscrivibile e infinito». Per comprendere tale infinità, bisogna partire dalle sostanze composte. In esse, infatti, «la materia è resa finita dalla forma e la forma dalla materia». Innanzitutto, bisogna dire che nelle sostanze coposte la materia è resa finita dalla forma, poiché prima di essere informata, essa «è in potenza a molte forme, ma quando ne riceve una, è delimitata da essa». Ora, una materia senza forma non esiste. Di conseguenza, non esistono sostanze composte infinite. In secondo luogo, la forma è resa finita dalla materia, poiché, prima di essere ricevuta dalla materia, essa «in sé considerata, è comune a molte cose, ma in quanto è ricevuta nella materia, diventa forma di una determinata cosa». Si può comprendere, allora, che dal punto di vista della materia, ciò che è infinito, in quanto privo di forma, sarebbe qualcosa di massimamente imperfetto, mentre dal punto di vista della forma, assume la perfezione. Abbiamo già parlato di Dio, considerandone l’attributo della semplicità, come di sostanza semplice, composto di pura forma, senza materia. Si può concludere, quindi, che è richiesto dalla perfezione stessa di Dio il suo essere infinito, proprio perché, dal punto di vista della forma, ciò che è infinito è massimamente perfetto.
È sentenza comune che Dio sia atto puro, senza mescolanza di potenza. Siccome la mutazione, il divenire è il continuo passaggio di ciò che è in potenza in ciò che è in atto, ne consegue che un ulteriore attributo di Dio è l’immutabilità (quaestio 9). Il Dottore Angelico afferma subito che «solo Dio è del tutto immutabile; invece ogni creatura è in qualche modo mutevole». Dall’immutabilità consegue anche un altro attributo divino, che è l’eternità (quaestio 10). Il tempo è, per definizione, la «numerazione di ciò che è prima e di ciò che è dopo nel moto», mentre l’eternità «consiste nell’apprensione dell’uniformità di ciò che è del tutto oltre il moto». Siccome Dio è atto puro, immutabile, del tutto estraneo al moto e al divenire, ne consegue il suo essere eterno dall’attributo stesso della sua immutabilità. Anzi, si deve affermare che «l’eternità esiste veramente e propriamente soltanto in Dio», poiché solo Dio è in sé immutabile, mentre tutta la creazione è soggetta al mutamento.
L’ultimo attributo fondamentale di Dio è, infine, l’unità (quaestio 11). Tale attributo è fondamentale per la teologia cristiana, poiché l’unità di Dio è fondata, prima che nella ragione, nella rivelazione divina. Dio si è rivelato come uno solo sin dall’Antico Testamento: «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Dt 6,4), e la Chiesa ha continuato a professare fede monoteistica. Dal punto di vista della ragione, invece, si può dimostrare che Dio è uno in tre modi. Innanzitutto, Dio è uno per la sua semplicità: in Lui essenza ed essere coincidono. Se ne deduce che l’essenza divina non può essere attribuita a più enti, poiché coincide con l’Essere in sé sussistente, mentre se fosse attribuita a più enti, essi non sarebbero in sé sussistenti, ma lo sarebbero per partecipazione. In secondo luogo, Dio è uno, perché è perfezione infinita. Se ci fossero più dei, le perfezioni non coinciderebbero tutte in un uno solo, ma sarebbero divise tra più enti, i quali non risulterebbero perfettissimi, ma privi di qualche perfezione. Infine, Dio è uno per l’unità del mondo. Se tutte le cose, che esistono, sono ordinate tra loro, poiché sono di utilità reciproca, ne deduce San Tommaso che «le cose che sono diverse tra loro, non rientrerebbero in uno stesso ordine, se non fossero ordinate da un unico essere». Dio, quindi, è uno solo.