«In te Domine speravi, non confundar in eternum». Questo è il verso conclusivo dell’inno del Te Deum, ricco del profumo di incenso che si eleva con grande solennità l’ultimo giorno dell’anno civile nei primi vespri della solennità di Maria SS. Madre di Dio, e tratto dall’incipit del salmo 71 «In te ho posto, o Signore, la mia speranza, non resti io confuso in eterno; salvami tu che sei giusto».
Più che essere inserito in un contesto di ringraziamento, Re Davide nel comporre il salmo riversa in una terribile condizione. Egli, circondato e oppresso da ogni lato dai suoi nemici, abbandonato dai suoi amici ai tempi della persecuzione di Saul o di Assalonne, prega Dio di venire in suo soccorso nel pericolo estremo in cui si trova. È una immagine che la Chiesa applica a Gesù Cristo in croce. Non a caso il Venerdì Santo, durante l’atto di Adorazione e venerazione della Croce, il salmo 71 risuona nel canto delle lamentazioni.
Senza speranza, la vita perde il suo significato e quindi vi è morte. Nella Bibbia la speranza assume diverse accezioni. Nell’antico testamento leggiamo più volte che il giusto, il quale nutre una speranza fiduciosa in Dio, in generale è certo della Sua protezione e del Suo aiuto di Dio ed è libero da paura ed ansietà senza temere di rimanere confuso, svergognato, o deluso. Nel nuovo testamento si configura con una speranza radicata nella fede per la salvezza divina in Cristo ed assume l’immagine di Virtù Teologale.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 1817 così afferma:
«La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo».
Nella storia dell’arte non mancano le rappresentazioni. Giotto di Bondone ricorre alla figura di una giovane donna alata che si libra elevando le braccia verso il cielo per ricevere la corona della gloria offertale da un angelo. Per Raffaello Sanzio è una donna in preghiera che invita a vincere la tentazione del “pensiero corto” con la consapevolezza che tutto è nelle mani di Dio. Giuseppe Sanmartino nella scultura rappresenta una donna che pone la mano sinistra sul petto elevando il suo sguardo verso il Crocifisso mentre reca nella mano destra l’ancora. Questo emblema in realtà è propriamente il simbolo della Speranza sin dall’arte paleocristiana. L’ancora infatti assume la forma di croce ed esprime che la speranza è salda in Cristo.
Chi possiede saldamente questa virtù non viene scoraggiato da nulla quando intende operare per la gloria di Dio. Le contrarietà e gli ostacoli, invece di indebolire la virtù la confermano. Insieme alla fede e alla carità, la speranza è una virtù costante della vita cristiana rivolta al ritorno di Cristo alla fine dei tempi.