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Spe salvi, la speranza secondo Benedetto XVI 

Spe salvi di Benedetto XVI: premesse e struttura

Joseph Ratzinger, tra il 19 aprile 2005 e il 28 febbraio 2013, cioè nell’arco degli otto anni durante i quali fu duecentosessantacinquesimo Papa della Chiesa cattolica con il nome di Benedetto XVI, pubblicò tre Encicliche: nella solennità del Natale del Signore del primo anno di Pontificato fu resa nota Deus caritas est (25 dicembre 2005), Spe salvi fu pubblicata nel terzo anno di Pontificato, in occasione della festa di Sant’Andrea Apostolo (30 novembre 2007) e, infine, il 29 giugno 2009, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nell’anno quinto di Pontificato, fu diffusa Caritas in veritate. Concentriamo la nostra attenzione sul secondo di questi tre importantissimi atti di magistero pontificio, sul tema, com’è semplice arguire dal titolo, della speranza cristiana. Da Platone allo stoicismo, da Pierre Bayle e Bernard De Mandeville a Immanuel Kant e Friedrich Schelling, il concetto di virtù, vale a dire una disposizione d’animo volta al bene, è sempre stato al centro della storia del pensiero occidentale e ovviamente anche il cristianesimo ha elaborato, per merito soprattutto dello pseudo Dionigi l’areopagita, di Sant’Agostino d’Ippona e di San Tommaso d’Aquino, una propria dottrina sulle virtù, distinguendo le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, dalle tre virtù teologali, fede, speranza e carità. Già nell’Antico Testamento sono numerosi i passi in cui l’argomento centrale è proprio la speranza: per fare un esempio tra i molti possibili, si vedano due versetti, l’undicesimo e il quattordicesimo, del capitolo settimo del Secondo libro dei Maccabei, là dove, rispettivamente, si legge «la speranza di riavere di nuovo da Dio queste membra» e «la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati».

Tra i padri della Chiesa che hanno scritto sul tema della speranza si ricordino almeno i santi Ambrogio e Agostino, oltre al vescovo e scrittore greco Eusebio di Cesarea. L’enciclica, come avviene per ogni importante documento pubblicato dalla Sala Stampa della Santa Sede, fu presentata nel corso di una conferenza stampa svoltasi alle ore 11:30 del 30 novembre 2007 nell’Aula Giovanni Paolo II, con gli interventi del cardinale gesuita Albert Vanhoye, Rettore emerito del Pontificio Istituto Biblico e già Segretario della Pontificia Commissione Biblica (Hazebrouck, 24 luglio 1923 – Roma, 26 luglio 2021), e del cardinale Georges Marie Martin Cottier (Carouge, 25 aprile 1922 – Roma, 31 marzo 2016), frate predicatore e Teologo della Casa Pontificia dal 1989 al 2005. 

Entrambi i relatori hanno sottolineato, rispettivamente all’inizio e alla fine dei loro interventi, una felicissima e davvero provvidenziale coincidenza, che cioè l’Enciclica sulla speranza cristiana è resa pubblica in coincidenza con l’inizio del tempo liturgico dell’Avvento, quattro settimane di speranzosa attesa in preparazione alle solennità natalizie; le due presentazioni divergono tuttavia nell’impostazione del discorso: il cardinale Vanhoye, da buon docente di materie bibliche, sottolinea il costante riferirsi di Benedetto XVI a pagine della Sacra Scrittura e alla testimonianza di grandissime figure del Cattolicesimo di ieri e di oggi, da sant’Agostino a santa Giuseppina Bakhita, senza dimenticare il venerabile cardinale vietnamita Francois Xavier Nguyen Van Thuan, mentre il cardinale Cottier, esimio filosofo cattolico del nostro tempo, sottolinea i vari numeri in cui il discorso è condotto in dialogo critico con le più importanti pagine del pensiero occidentale, dall’inglese Francis al tedesco Karl Marx, da Max Horkheimer a Theodor Adorno, esponenti di spicco della Scuola di Francoforte.

L’Enciclica è così suddivisa: il primo paragrafo funge da Introduzione all’intero documento; i paragrafi due e tre, sotto il titolo La fede è speranza, sono ricchi di riferimenti alla Prima lettera di Pietro e alle epistole paoline agli Ebrei, agli Efesini e ai Tessalonicesi e alla figura di santa Giuseppina Bakhita, vergine dell’Istituto delle Figlie della carità Canossiane, nata in Africa nel 1867, per molti anni schiava e vittima di violenza e successivamente battezzata e divenuta religiosa, e morta a Schio, in provincia di Vicenza, nel 1947; il terzo capitolo, Il concetto di speranza basata sulla fede nel Nuovo Testamento e nella Chiesa primitiva, comprende i paragrafi dal quarto al nono e discute in particolare la traduzione del termine greco hypostasis nel contesto del primo versetto dell’undicesimo capitolo della Lettera agli Ebrei («La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono»), evidenziando la dicotomia tra oggettività e soggettività dell’atto credente, passaggio dall’oggettivo al soggettivo legato alla transizione tra filosofia scolastica medievale e filosofia moderna, da Tommaso d’Aquino a Martin Lutero; La vita eterna – che cos’è? è il quarto capitolo, dal paragrafo dieci al dodici, forse uno dei più attuali dell’intero scritto, sul rapporto tra vita eterna così come predicata dalla Chiesa cattolica e aspettative del mondo sul futuro della vita dell’uomo, che cerca non la vita eterna intesa in modo ortodosso, ma solamente un lanciare sempre più in là morte, un toglierla sempre più dalla propria prospettiva esistenzialista; i paragrafi tredici, quattordici e quindici rispondono negativamente al quesito La speranza cristiana è individualistica?, sulla base dello studio della teologia dei Padri della Chiesa portato avanti dal cardinale francese Henri Marie de Lubac (Cambrai, 20 febbraio 1896 – Parigi, 4 settembre 1991), teologo tra i più influenti del passato secolo e figura di primo piano nella preparazione e nello svolgimento del Concilio Vaticano II; il sesto capitolo, di otto paragrafi, dal sedicesimo al ventitreesimo, intitolato La trasformazione della fede-speranza cristiana nel tempo moderno, ha carattere eminentemente filosofico e si concentra sulla riflessione di Bacone, Kant, Marx e Adorno, in un rapporto ancora strettissimo sulla speranza da intendersi individualmente o collettivamente, come nel capitolo precedente, sottolineando come l’individualismo sia tipico dell’uomo moderno, che ha abbandonato il concetto cristiano di redenzione, base autentica della vita in una societas christiana, per rivolgersi alle categorie, fallaci se non rettamente intese, della ragione e della libertà; il settimo capitolo, La vera fisionomia della speranza cristiana, dal paragrafo ventiquattro al trentuno, può essere considerato pars costruens, su che cos’è veramente la speranza, sulla sua retta comprensione, rispetto alle aporie, alle deviazioni dal giusto pensiero tipiche di gran parte della filosofia moderna e contemporanea; con l’ottavo e ultimo capitolo, «Luoghi» di apprendimento e di esercizio della speranza, dal paragrafo trentaduesimo al quarantatottesimo, il focus del discorso passa dalla teologia alla spiritualità, in una tripartizione che parte da La preghiera come scuola della speranza, passa ad Agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza, per arrivare infine a Il Giudizio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza; l’Enciclica è conclusa dal quarantanovesimo e cinquantesimo paragrafo, sotto il titolo Maria, stella della speranza, sulla base dell’antichissimo inno mariano Ave maris stella.

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