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Silentium habete! Riflessioni sul silenzio nelle chiese e su alcune manifestazioni caotiche

Riflessioni sul silenzio nelle chiese e su alcune manifestazioni caotiche

“Parcite fabulis, silentium habete! Habete silentium!”

Questa frase è tratta da un antico rito ambrosiano, che si svolgeva nel Duomo di Milano, secondo il quale, prima della proclamazione del Vangelo, così come avviene per la Liturgia Bizantina, il diacono invitava il popolo di Dio a fare silenzio per prestare attenzione e predisporsi all’ascolto della Parola.

Ed è un po’ da questo invito che vogliamo partire per avviare una riflessione sull’importanza del silenzio all’interno delle chiese durante le celebrazioni liturgiche, una sana abitudine ormai dimenticata.

Secondo il teologo Romano Guardini “la vita liturgica inizia con il silenzio, senza di esso tutto appare inutile e vano”, esso “è il primo presupposto di ogni azione sacra”.

Anche la Institutio Generalis Missalis Romani precisa che “è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione”.

Il silenzio in chiesa viene dunque ribadito più volte e in diversi modi, perché esso ci prepara all’incontro reale, face to face per intenderci, con Cristo Signore. Perché la Messa è il momento in cui, medianto l’azione dello Spirito, Cristo torna vivo in mezzo a noi nel pane e nel vino.

E all’incontro con lo sposo che viene (Mt 25,1-13) non possiamo farci trovare impreparati. E questa preparazione avviene in diversi modi, sotto diverse forme, tra cui proprio quella del silenzio.

Il silenzio ci predispone alla preghiera e all’ascolto. Aiuta, specialmente nelle celebrazioni comunitarie, al raccoglimento personale (spesso vacillante a causa delle tante distrazioni), a creare un clima che abbia in sé il sacro.

Ovviamente, le celebrazioni non sono fatte solo di silenzi. Ci sono i canti, le preghiere, le letture. Ma ognuno di questi momenti ha una sua collocazione apposita. E anche in questi momenti, pur non accorgendocene, il silenzio resta la chiave fondamentale sia per prepararsi alla celebrazione, sia come forma personale, privata, di ringraziamento.

E anche e soprattutto la celebrazione stessa deve essere caratterizzata dal silenzio del sacerdote e dell’assemblea che, anche nel dialogo, nella lettura, nel canto, devono, e voglio sottolineare questo dovere, mantenere un clima di assoluto rispetto e profonda riverenza verso il luogo, certo, e verso il Signore stesso.

Ma questo articolo non vuole essere solo una spiegazione al perché del silenzio da rispettare in chiesa, no. Al contrario vuole fornirvi anche degli esempi concreti. Perché, purtroppo, i primi ad “aizzare” le folle e a trasformare chiese, parrocchie e basiliche in veri e propri stadi o teatri sono proprio i sacerdoti.

A 60 anni dalla Sacrosanctum Concilium, ancora crediamo che dal 1965 ognuno sia libero di sfogare ogni sua fantasia a discapito della liturgia.

Tornando al silenzio, chi non ha presente il prete che dall’altare urla “Forza Napoli”, quell’altro che fa cantare all’assemblea i cori da stadio, un altro ancora che, esibendosi in un vero e proprio spogliarello, mostra la divisa della sua squadra del cuore indossata sotto la talare. 

Un altro ancora, di recente, in camice e piviale, per la commemorazione di qualche caduto di guerra, che cantava, come fosse il Te Deum laudamus, “La leggenda del piave”.

Qualcuno adesso griderebbe a squarciagola che sono cambiati i tempi. Certo che sono cambiati! Ma queste cose in Chiesa non andavano bene prima e non vanno bene adesso. Non lo dico io, non lo diciamo noi. Lo dice la liturgia, lo dicono i libri liturgici, lo dice il Magistero.

Anche perché se ci si comporta così per quelli che “se ci fossero più preti così sarei sempre a messa”, non abbiamo capito che certi soggetti scrivono solo, ma poi nei fatti… 

E allora, se bisogna dare “a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21) lasciamo alle chiese la loro funzione originaria. Concediamo ancora loro quella sacralità, quella quiete, quella pace che dovrebbero essere loro proprie e affidiamo ad altri luoghi e ad altri momenti queste manifestazioni di caos.

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