Intervista a don Gianandrea Di Donna, responsabile per la Liturgia della Diocesi di Padova
Eh, sì che è strano. Che è uno schiaffo, un bagno, un’immersione, un marchio a fuoco, una tempesta, una brezza. Quando entri in Cattedrale a Padova, la domenica alle 11.30, l’ora in cui celebra don Gianandrea Di Donna (teologo e responsabile dell’ufficio per la Liturgia della Diocesi), è la Gerusalemme celeste.
I movimenti: bellezza e gerarchia. I gesti, incarnati con il massimo della disciplina e il minimo del peso. Le sue parole: infuocate, forti, coltissime, severe, sospese in un sospiro più loquace di tante invenzioni intellettuali. E quel “così sia” finale, un soffio. Quasi elegiaco.
L’organo. Il canto. Gli inchini.
Tutto dice: Dio, non l’uomo. E dice: non credete a chi giura che la verità, la pace del nostro cercare e pensare, è impossibile. Non credete a chi giudica con il metro dell’oggi e si sente a disagio nella chiesa di Francesco. Non credete ai nostalgici di non si sa bene cosa, agli imboscati. Non credete all’amarezza dei ragazzi che non vanno a messa e trascinano i piedi verso un futuro virtuale. Non credete agli scienziati, nuovi gnostici, che promettono che, se non oggi, domani, spiegheranno tutto e rimetteranno ordine tra l’ultima galassia e il più piccolo frammento di dna.
E cercate di non credere nemmeno che quel capolavoro sia solo “la cosa più bella sulla terra nera”.
Don Gianandrea, quest’anno Gesù nascerà un paio d’ore prima?
La scelta di celebrare a mezzanotte si capisce rileggendo un passo del libro della Sapienza.
“Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile.”
Ecco perché la Chiesa osa compiere, vegliando, un atto di ribellione all’ordinarietà del tempo notturno, fatto per dormire.
La mezzanotte è il cosmo che ruota intorno all’ingresso del Verbo nel mondo e si apre come l’utero di Maria perché quella spada tagliente e affilata si incunei dentro la nostra carne. Nel momento che divide come spartiacque il giorno e le tenebre, c’è l’ingresso dell’ordine di Dio, di questo guerriero implacabile che altro non è che il Verbo incarnato, che altro non è che quel bambino tenerissimo tra le braccia di Maria.
Il senso del toglierci il riposo è di dare voce alla nostra adesione a lui, che ci disturba santamente spaccando la notte in due. Non è fare gli auguri a Gesù bambino, che ha fatto uèuè a mezzanotte. Tra l’altro, per ragioni pastorali, la chiesa ha cominciato già da anni a celebrare le messe alle 23, alle 22, alle 21, preoccupata dei bambini che hanno sonno.
Come mai le messe sono sempre meno frequentate?
Finché nelle nostre chiese ascoltiamo delle chiamate generiche a trovarci tutti insieme, a stare tutti insieme in cerchio…Domenica facciamo comunità… Oddio. Sarebbe la stessa ragione per la quale la gente va al golf, perché si fa comunità con quelli che giocano a golf.
Quando si va in un vecchio monastero medievale, dove i monaci cantano la messa in gregoriano, non hanno strumenti musicali, non hanno il riscaldamento, si comincia a capire qualcosa della liturgia.
Per esempio?
Il Figlio di Dio che si è fatto uomo non ha voluto che gli uomini sapessero come salvarsi, ma ha dato loro la possibilità di riprendere vita.
L’eucarestia è come l’effetto stranissimo di quando prendiamo una cosa calda e ristoratrice nell’inverno. Sembra che il calore ridia energia.
A messa non si viene ad ascoltare una riflessione. O per essere rincuorati a proposito di valori umani, civili, relazionali. A messa si viene per bruciare. Si viene per essere investiti. È uno schiaffo. È un bagno. È un’immersione. È un marchio a fuoco. È una tempesta. È una brezza.
Sta echeggiando il libro dei Re?
Il Dio di Gesù Cristo è il Dio del tuono del Sinai, non della meditazione.
È il Dio della voce soave di Gesù di Nazareth con i bambini. È il Dio del terremoto e del filo di luce all’alba del mattino di Pasqua, del profumo che le donne hanno portato al sepolcro. È il Dio della passione, del tumulto degli affetti.
Siamo accesi da qualcosa nella vita? Abbiamo fatto l’esperienza dell’essere accesi?
Ecco, la forza pastorale del rito cristiano è proprio il permettere di essere attraversati da questo fuoco divino.
Ma come si fa a spiegarlo?
Non si spiega: si vive. Si celebra. Si vede. Avviene. Siamo pieni di passioni, di fuochi che ci accendono.
L’amore di Dio…
Come si può spiegare un amore? Come si può spiegare una tempesta, un vulcano che erutta, un terremoto, un maremoto? Come si possono spiegare gli abissi del mare? Come si possono spiegare i colori dei pesci, dei fiori? Come si può spiegare che sarebbe bene fare questa cosa, che produrrà quest’altra cosa?
Quando si celebra, si entra dentro una silenziosa tempesta. Di un amato, di un amante, che è Dio.
Non ho spiegato niente…
Lei è capace, nel celebrare, di straordinaria bellezza.
Non faccio più di quello che è scritto nel Messale. È il rito che è un capolavoro.
È molto bello sapere, e credere, che dentro al bisogno di bellezza che abbiamo si nasconde l’insita tensione dell’uomo a superare la finitudine.
Quella cristiana non è un’estetica appagante. Ti chiede di passare attraverso lo iato della morte, perché la bellezza che qui hai gustato, pre-gustato, ti porti alla bellezza del mistero di Dio vissuto.
Tutte le cose belle si chiudono in un bozzolo gratificatore. La bellezza del cristianesimo passa attraverso il buio della morte. E quindi ti purifica dall’appagamento. Ma te lo fa già gustare.
Per questo i riti non possono che essere belli. Perché sono a metà strada tra la terra e il cielo, come il Sanctus che cantiamo a messa. “E noi con gli angeli, i santi, i troni…” uniamo le nostre umili voci all’inno di lode.
E cominciamo a essere ciò che saremo.
La bellezza come partecipazione alla promessa?
“Non sei lontano dal Regno di Dio”: non vuol dire ti manca un pochino ancora e ce la fai.
Ma: non sei lontano fisicamente.
Ce l’hai davanti, il Regno di Dio. Gesù intendeva questo. Devi togliere la nebbia e accorgerti che il Regno di Dio è colui che ti parla. Per cui la piena gioia e tutte le cose belle nel mondo, cosa sono? Non sei lontano dal Regno di Dio. Sono già divine.
In mezzo a tanta bruttura la voce della promessa rischia di perdersi…
Il Regno di Dio subisce persecuzioni e prove – dicono i Vangeli – fino alla fine del tempo.
La luce è venuta nel mondo, ma le tenebre non l’hanno accolta. Lo stritolamento è in atto sempre.
Le critiche alla chiesa di oggi che effetto le fanno?
È uno strano imprenditore, Dio. La politica della sua azienda è per scelta in perdita.
Nel momento in cui assume la nostra carne e l’annuncio lo mette in mano agli uomini, sceglie la fragilità, la caducità, il fallimento. Ma Gesù, di fronte ai miracoli, cosa diceva? “Perché vedendo non vedano, udendo non odano e ascoltando non si convertano”…
Non posso pensare che non sapesse che poi sarebbe venuto fuori Becciu. O il cardinale Richelieu. Il peccato, gli errori, gli scandali, le incoerenze, i Becciu, i controBecciu sono la manifestazione di quello che Gesù ha permesso fosse il suo mistico corpo, nel momento in cui sceglieva che fosse dato per mezzo della carne caduca e imperfetta degli uomini.
L’annuncio del Regno di Dio doveva passare attraverso una vicenda che oscurasse per scelta ciò che stava annunciando. È molto strano, eh?
Intervista a cura di Anna K. Valerio
Fonte: https://culturaidentita.it/la-bellezza-del-rito-ci-pone-a-meta-strada-tra-la-terra-e-il-cielo/