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La perdita del fondamento metafisico

La metafisica è la scienza che studia l’ente in quanto ente, che si occupa delle cause prime e dei fini ultimi delle cose. Detta anche “filosofia dell’essere” questa è stata, anche grazie all’adozione da parte del cristianesimo, la corrente filosofica che ha caratterizzato il pensiero occidentale fino al XV secolo. Dalla filosofia di Cartesio in avanti, però, inizierà quello che è il vero e proprio abbandono della metafisica, le cui conseguenze affliggono l’epoca moderna e contemporanea.
Introduzione: nascita della metafisica 

Nel IV secolo a.C. all’interno del mondo greco antico prende piede rapidamente, specialmente all’interno di ambienti intellettuali, la corrente del relativismo. Questa sostiene l’assoluta indifferenza nell’affermare una cosa rispetto ad un’altra, rendendo la scelta e la libertà totalmente inutili e non necessarie: tutto è relativo. Aristotele, nel suo IV libro della Metafisica intende combattere questa corrente di pensiero, formulando il principio di non contraddizione: questo sostiene l’impossibilità di affermare, di un ente, una proposizione e il suo opposto nello stesso momento; Socrate non può essere contemporaneamente seduto e in piedi: o Socrate è seduto, oppure Socrate è in piedi. 

Il principio di non contraddizione è il primo di quelli che vengono chiamati “principi primi”: proposizioni che possono essere conosciute da tutti, perché alla base della realtà; questi principi, infatti, non richiedono alcun concetto per essere comprese, ma unicamente l’evidenza della realtà. 

È su questi principi che si basa quella che è la metafisica, o scienza che studia l’ente (o essere) in quanto ente, che ricerca i fini ultimi e le cause prime delle cose. Colui che può essere definito il padre della metafisica è proprio Aristotele che, prendendo a piene mani dal pensiero di Platone, suo maestro, e di Socrate prima di lui, dà vita a quella che è la corrente filosofica più influente mai arrivata nel mondo Occidentale. Il nome deriva proprio da una delle sue opere più celebri, la Metafisica, chiamata così in vista della sua ricerca di ogni fondamento della realtà nell’essere, ovvero in una dimensione spirituale che trascende la materia (dal greco “metà tà physiká”, “dopo le cose fisiche”). 

Sviluppo della metafisica: dal mondo greco alla Scolastica 

I meriti del fruttuoso sviluppo e della rapida diffusione della metafisica all’interno del mondo occidentale dagli inizi del primo millennio dopo la venuta di Cristo sono da attribuire specialmente al cristianesimo. Questo ha trovato nella filosofia dell’essere una degna alleata per la progressione e la difesa del messaggio cristiano, in particolar modo dal punto di vista razionale. Il pensiero greco (specialmente platonico e aristotelico) riguardo la concezione del Principio primo, che è Causa incausata ed è Motore immobile, infatti, trova un perfetto connubio con la concezione di Dio appartenente alla tradizione ebraico-cristiana. 

È grazie ai Padri della Chiesa -ricordiamo in particolare Agostino di Ippona- che la metafisica è sempre stata associata a quella che viene detta “filosofia cristiana” [1]. Sempre nei primi secoli dell’era cristiana troviamo anche pensatori come Plotino che, nonostante la loro non appartenenza alla fede cristiana, diedero un grande contributo all’evoluzione della metafisica.
Meritevoli di essere citati sono anche i pensatori appartenenti alla scolastica musulmana: fra gli esponenti più importanti troviamo Al-Ghazali, Averroè e Avicenna il cui pensiero di avvicina molto a quello di Plotino. 

È, però, con la Scolastica cristiana che la metafisica raggiunge il suo picco più alto. In questi secoli, per mano dei grandi santi come Tommaso d’Aquino, la metafisica raggiungerà il suo massimo grado per quanto riguarda lo sviluppo della dottrina filosofica. 

Perdita del fondamento metafisico: “crisi della scolastica” e inizio della filosofia moderna 

Duns Scoto e Guglielmo di Ockham (XIII-XIV secolo) saranno le due figure grazie alle quali inizierà il periodo detto “crisi della scolastica”. Il pensiero dei due frati francescani, infatti, sarà causa del primo di una lunga serie di colpi che andranno a demolire la metafisica: la filosofia inizia ad accantonare l’universale, considerato non conoscibile dalla mente umana, per concentrarsi unicamente sul particolare, sull’individuale.[2]

Sarà, però, con Cartesio (XVI-XVII secolo) che inizierà il vero e proprio abbandono della metafisica. Il suo pensiero può essere ben riassunto da quella che è la sua formula più celebre: “cogito ergo sum, ergo sum res cogitans”, “penso, dunque sono; dunque, sono sostanza pensante”. Analizzandola non è difficile notare come venga tracciata una linea di separazione tra quello che era il “pensiero classico” e quello che sarà il “pensiero moderno-contemporaneo”: il fondamento della realtà sarà il pensiero, non più l’essere.
Cogito ergo sum”: io sono, perché io penso; il pensiero è causa dell’essere. “Ergo sum res cogitans”: dunque, io sono sostanza pensante; il punto di partenza dell’essere non può essere altro che l’io, da cui il pensiero stesso scaturisce. 

La filosofia classica è meritevole, grazie al suo continuo sviluppo metafisico, di aver coniato, grazie a Tommaso d’Aquino, la formula “adaequatio rei et intellectus”: corrispondenza tra realtà e intelletto. Questa sottolinea come la ricerca e scoperta della Verità sia il frutto dell’adeguamento dell’intelletto umano ad una realtà oggettiva, già presente, immutabile e stabile. Cartesio, insoddisfatto dei traguardi raggiunti dalla Scolastica e dalla filosofia classica tutta, inaugura un nuovo metodo di ricerca della verità. La formula scolastica viene trasformata, mutando in un adaequatio intellectus et intellectus: corrispondenza tra intelletto e intelletto. All’uomo non serve più un punto di riferimento a cui guardare, perché egli basta a sé stesso, il pensiero scaturito dall’intelletto basta all’intelletto stesso. 

Conclusione 

La filosofia cartesiana sarà presa come esempio da molte correnti filosofiche appartenenti alla filosofia moderna e contemporanea che eleveranno il Pensiero a fondamento della realtà. Basti pensare a Hegel e all’intera corrente filosofica dell’idealismo tedesco.
La cultura e il pensiero odierni sono fortemente caratterizzati da quello che è uno dei cavalli di battaglia della filosofia cartesiana: l’io è la base dalla quale inizia ogni realtà e non esiste nulla al di fuori dell’io. 

È grazie alla metafisica che la cultura e il pensiero sono fioriti nel corso dei secoli, garantendo uno sviluppo fecondo della civiltà occidentale (e non solo). Non è difficile notare come, in seguito all’abbandono della filosofia dell’essere, la cultura e il pensiero degli ultimi secoli stiano affrontando una vera e propria crisi, caratterizzata da una perenne incertezza esistenziale dell’uomo che, in preda a un vuoto e una sofferenza sempre maggiori, si trova alla costante ricerca di un qualcosa che lo faccia sentire sicuro, un surrogato di quella che è la certezza del trascendente metafisico e cristiano (ideologie, movimenti settari, magia, spiritualità orientale, ecc.). 

Nonostante i diversi tentativi di riscoperta della filosofia dell’essere da parte della neoscolastica del XX secolo, la metafisica non è mai riuscita a spiccare in mezzo alle varie correnti presenti nell’immaginario comune dell’epoca contemporanea. 

La metafisica, in quanto unica disciplina che trova il suo fondamento sull’essere, può essere considerata come vera via efficace di ricerca della Verità. Per intraprenderla è necessario liberarsi di ogni pregiudizio nei confronti di essa, abbandonando il monismo materialista che caratterizza il pensiero occidentale odierno al fine di dare nuovamente fiducia all’intelletto umano e alla sua capacità di comprensione di una dimensione trascendente che, allo stesso tempo, possa comprendere e abbracciare tutta la realtà. 


Note

  1. Dove per filosofia cristiana non si intende ridurre il cristianesimo a una dottrina filosofica, bensì una vera e propria ricerca filosofica che tenga conto, però, dell’esistenza di Dio.
  2. Basti pensare al celebre “rasoio di Ockham”: questo principio metodologico sostiene la necessità di eliminare gli enti superflui al fine di scegliere, tra le varie soluzioni di un problema, quella più semplice.

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