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Beato Marco d’Aviano

Un ritratto di una grande figura della storia della cristianità.

Predicatore cappuccino della Provincia Veneta, tra le personalità (religiose e non) più importanti del XVII secolo, padre spirituale e consigliere di diversi sovrani tra cui l’augusto imperatore Leopoldo I, Marco d’Aviano, al secolo Carlo Domenico, nasce ad Aviano il 17 novembre 1631 da Marco Pasquale Cristofori e Rosa Zanoni, appartenenti alla ricca borghesia del paese e dal cui matrimonio nacquero altri dieci figli.

Giovane promettente, fu mandato dalla famiglia nella vicina Gorizia per studiare nel prestigioso collegio gesuita ove, negli anni che intercorsero tra il 1643 ed il 1647, ebbe modo di ampliare le basi della sua cultura classica e scientifica e di approfondire la sua vita di pietà, resa più incisiva dall’ appartenenza alle congregazioni mariane.

Nel clima epico e romantico determinato dall’eroica resistenza veneziana sull’isola di Candia, oggi Creta, anch’essa colpita dal flagello ottomano, il futuro beato sentì pulsare, forse per la prima volta, dentro di sé il desiderio ardente di ‘servire’ e ‘donarsi’.

Con la determinazione e l’amore che caratterizzarono tutta la sua pia esistenza, e con cuore impavido, partì alla volta di Capodistria, snodo marittimo di primaria importanza per La Serenissima e punto di partenza per le isole dello Stato da Mar.

Tuttavia, stremato ed affamato dal lungo viaggio, chiese ed ottenne ospitalità ai cappuccini del posto, i quali lo accolsero all’interno delle loro mura per offrire lui un dignitoso ristoro. Il superiore del convento, probabilmente una volta ascoltate le vicissitudini dell’avianese, nonché le motivazioni ed i sentimenti che lo chiamavano verso un martirio sotto le armi, gli consigliò di tornare a casa dai genitori e di terminare gli studi presso il collegio gesuita dal nostro lasciato prima della partenza.

Ostinato, ma illuminato dalla Grazia dello Spirito, il beato Marco non decise di tornare indietro, bensì di rimanere nel convento. Un qualcosa in lui si era smosso. Lungi dall’aver cambiato opinioni relativamente alla necessità di una difesa ad oltranza della Fede e dei luoghi della cristianità, scelse ‘solamente’ di cambiare armatura, preferendo al ferro dell’armatura seicentesca ed al legno delle galee veneziane l’abito da frate cappuccino ed il Rosario, conscio che in tale ‘uniforme’ avrebbe meglio ottemperato ai piani del Signore e meglio camminato sulla strada che conduce alla Gloria.

Nel mese di settembre del 1648 fu ricevuto nel noviziato di Conegliano e un anno dopo, il 21 novembre 1649, emetteva i voti religiosi con il nome di Marco d’Aviano. Compì in seguito il corso regolare degli studi, fissato tra i cappuccini in un triennio di filosofia e un quadriennio di teologia, durante il quale, il 18 settembre 1655, fu ordinato sacerdote a Chioggia. Nel 1664 ottenne la ‘patente di predicazione’ e nel 1672 fu eletto superiore del convento di Belluno, per poi essere ‘infine’ chiamato a dirigere la fraternità di Oderzo nel 1674.

Nella sua vita ricca di opere pie e di impegno costante nella preghiera e nella vita comune, vissuta nell’umiltà, nel nascondimento e animata dallo zelo e dall’intransigenza, fu l’episodio avvenuto nel monastero padovano di San Prosdocimo a portare a conoscenza del popolo il frate avianese: inviato a predicare nel suddetto monastero, tramite la sua preghiera e la sua benedizione fu istantaneamente guarita la monaca Vincenza Francesconi, malata e costretta a letto da circa 13 anni.

La fama delle inspiegabili guarigioni che oramai accompagnava le predicazioni del frate, adesso seguito ed omaggiato dalle genti in festa per la sua presenza, non turbò mai il Servo di Dio, nonostante fosse arrivata anche all’orecchio dei più importanti sovrani e governatori al Beato contemporanei. Tra i più illustri personaggi della politica e della nobiltà europea del tempo, che chiesero ed ottennero la visita del frate, al quale erano ormai attribuite facoltà e capacità taumaturgiche, vi erano: il governatore del Tirolo Carlo V di Lorena e sua moglie Eleonora, il duca di Neuburg Filippo Guglielmo e suo figlio Giovanni Guglielmo, l’elettore di Baviera Massimiliano Emanuele e lo zio Massimiliano Filippo, la principessa di Vaudemont Anna Elisabetta, la delfina di Francia Maria Anna Cristina Vittoria, il re di Spagna Carlo II e la sua seconda moglie Marianna di Neuburg, e in modo particolare il re di Polonia Giovanni Sobieski e l’Imperatore del Sacro Romano Impero Leopoldo I, di quest’ultimo divenne amico, confidente, consigliere, confessore e padre spirituale.

Proprio per via di questa sua speciale vicinanza (ed anche per le sue ormai acclarate doti predicatorie) ai regnanti europei, il sommo Pontefice Innocenzo XI incaricò Marco di sollecitare gli stessi sovrani cattolici ad allearsi in una (nuova) Lega Santa per contrastare ancora una volta il nemico turco. La gigantesca opera di mediazione portata a termine dal frate cappuccino per far sì che i sovrani europei cattolici superassero ancora una volta, proprio come prima di Lepanto, le controversie tra di loro e tornassero nuovamente a fare ‘Fronte comune’ contro l’infedele musulmano andò a buon fine, nonostante il rifiuto di aderire alla Lega ed il tentativo di sabotaggio ad opera dell’allora re francese Luigi XIV, che pure si fregiava ipocritamente del titolo di ‘re cristianissimo’.

Venerabile già ‘solamente’ per la grandezza e l’importanza della sua attività diplomatica, ed ormai divenuto famoso anche tra i soldati per i suoi sermoni belligeranti e traboccanti di amore cristiano, la coalizione cattolica fece in tempo a riunirsi per difendere, e salvare, la capitale dell’Impero: Vienna. Se potessimo a questo punto della storia immaginare la vita e la carriera ‘oratoria’ del protagonista come una piramide, potremmo dire che le ore che precedettero l’assedio e la liberazione di quella che fu chiamata Vindobona rappresentino la cuspide di tale piramide: cuore straripante di amore per Cristo, coraggio e fervido desiderio di difesa dei sacri confini d’Europa condussero il frate a rivolgere ai sovrani ed ai soldati riunitisi sotto le mura dopo la celebrazione della santa Messa, parole d’incitazione alla battaglia, un’inno al sacrificio ed al martirio. L’esercito imperiale, integrato da contingenti provenienti da tutti i territori d’Europa, vinse l’atavico nemico e, anche grazie alle sempre presenti ed incoraggianti parole epiche dell’avianese, si spinse fino alla riconquista di Buda (2 settembre 1686) e di Belgrado (6 settembre 1688), strappate al dominio turco. Negli anni seguenti fu molto viva la sua azione per riportare la pace in Europa, soprattutto tra Francia e Impero, e nel promuovere l’unità delle potenze cattoliche in difesa della fede, sempre minacciata dalla potenza ottomana.

Stremato dagli anni e dalle fatiche, nonché dai numerosi viaggi verso la corte imperiale, il Beato Marco d’Aviano, proprio al termine del suo quattordicesimo ed ultimo viaggio verso Vienna vide peggiorare improvvisamente la sua già cagionevole salute. Oramai pronto a lasciare il secolo, si apprestava a ricevere gli ultimi sacramenti ed a rinnovare la professione religiosa, così come il Nunzio Apostolico Andrea Santa Croce, il quale portò personalmente la benedizione apostolica del Papa Innocenzo XII all’ammalato.

Assistito dal caro amico Leopoldo I, con il quale sviluppò un rapporto fraterno di complementarità, e dalla moglie l’Imperatrice Eleonora, stringendo tra le manu il crocifisso, padre Marco spirava dolcemente per ascendere alla Casa del Padre.

Per permettere alla numerosa popolazione, accorsa da ogni dove, di vedere e venerare per l’ultima volta le spoglie mortali del cappuccino avianese, l’imperatore ordinò che i funerali si celebrassero il giorno 17, e dispose infine che fosse seppellito nel cimitero dei frati, ma in una tomba a parte, non lontana dai sepolcri imperiali. Pensava già di promuoverne la causa di Beatificazione, e a questo proposito quattro anni dopo disponeva la traslazione dei resti mortali del frate di Aviano in una cappella della chiesa dei cappuccini di Vienna, ove tuttora riposano.

Del messaggio del frate cappuccino risuona nell’eco della storia il suo amore per Dio, ed in particolare la declinazione che tale amore assunse (ed al quale assurse) nelle contingenze di luogo e di tempo del XVII secolo. Innamorato del Signore e della Fede non poteva che esserlo anche dei popoli che tale Fede la professavano e dei luoghi in cui la stessa veniva professata. Lontano ancora circa qualche secolo dalle eresie mondialiste, dell’accettazione perpetua del peccato quanto dell’invasore, il Beato, con parole ricche di significato entrate oramai nel mito e nella leggenda, incitò re e soldati alla battaglia spirituale e militare con il nemico dell’Uomo, vincendo. Un esempio, un monito, una guida, che nei tempi bui di oggi andrebbe riscoperta e seguita nei campi della lotta secolare.

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