28 giugno 1914: durante una parata dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, capitale regionale bosniaca all’interno dell’Impero, l’attentatore Gavrilo Princip riesce ad eludere i soldati di scorta e ad uccidere l’erede al trono Austro-Ungarico. Partono le indagini: il 23 luglio l’Austria invia un ultimatum alla Serbia, nazione indipendente confinante trovata colpevole di aver organizzato l’attentato, la quale rifiuta le condizioni imposte: l’Austria dichiarerà guerra alla Serbia il 28 luglio. Per via dei vari trattati di alleanza già esistenti, al 4 agosto Germania, Russia, Francia e Inghilterra avevano aperto le ostilità, dando inizio alla Grande Guerra. Lascio giudicare al lettore quanto “ingiusto ed inaccettabile” fosse l’ultimatum austriaco; sappiamo da fonti certe che l’attentato sia stato supportato dalla Russia e che la Serbia fosse da questa difesa: la Serbia fu solo una marionetta, manovrata dalla geopolitica delle grandi potente dell’epoca.
L’Italia era legata agli Imperi Centrali da un’alleanza a scopo difensivo e fu invitata a partecipare alla guerra, ma negò il suo intervento. L’Austria nutriva una grande diffidenza per l’alleato italiano, memore degli scontri avvenuti 50 anni prima durante il Risorgimento, e conosceva la propaganda italiana delle “terre irredente”: l’Italia desiderava annettere alcuni territori austro-ungarici, tra cui la città di Trieste e il Trentino. Gli altri terreni considerati irredenti facevano parte dell’Istria, della Dalmazia e dell’Albania: si trattava degli antichi possedimenti appartenuti alla Serenissima Repubblica di Venezia. La città di Trieste fu storicamente e culturalmente affine all’Impero Asburgico per più di 600 anni, non fu controllata da Venezia e non partecipò ai moti rivoluzionari del 1848, mantenendosi fedele ai suoi governatori austriaci: l’Italia non poteva esercitare alcun diritto di natura storica o culturale su questa città. Francesco Giuseppe offrì spontaneamente buona parte di queste terre all’Italia, a patto che questa fosse rimasta all’interno della Triplice Allenza, anche se in veste neutrale. Alla fine, nel maggio 1915, l’Italia entrò in guerra contro il suo precedente alleato, nella speranza di ottenere di più rispetto a quanto promesso dall’Austria.
Dal giorno in cui l’Italia seppe della dichiarazione di guerra austriaca si scatenarono grandi dibattiti politici interni; gli intellettuali si divisero in due schieramenti: la maggioranza fu neutralista, rappresentata dai liberali giolittiani, dai cattolici e dai socialisti, e la minoranza fu interventista, rappresentata dai nazionalisti, dalla destra conservatrice dell’epoca e dal centro-sinistra repubblicano. Gli interventisti utilizzarono grandemente la retorica delle “terre irredente”, che dovevano essere conquistare per portare a compimento l’opera Risorgimentale. Date queste premesse e sapendo chi utilizzò precedentemente questo tipo di retorica, possiamo immaginare la presenza della Massoneria nelle file degli interventisti: in effetti questo è confermato da loro stessi nelle pubblicazioni del loro giornalino «MassonicaMente»; vi rimando al numero 1 del 2014, pagina 11, e al numero 4 del 2015, pagina 47.
Le logge massoniche italiane erano divise al loro interno esattamente come la politica nazionale. Alcuni massoni, seguendo l’ideale della fratellanza universale, si dichiararono neutralisti. Non vedevano di buon occhio, inoltre, l’alleanza politica che si sarebbe formata tra l’Italia e la Russia autocratica e monarchica in caso di guerra contro gli Imperi centrali. Altri massoni furono interventisti, affermando che la guerra avrebbe fornito alla Massoneria l’occasione per ottenere quei terreni mancanti strappandoli alle odiate monarchie cristiane e per creare l’agognata unità culturale del popolo italiano, come disse Massimo D’Azeglio a suo tempo. Gli interventisti desideravano la distruzione delle monarchie per sostituirle con dei governi democratici, cercando un cambio politico non solo a livello continentale, ma addirittura planetario. Tra di loro vi erano anche gli affiliati alle logge di Trento e Trieste, i quali spingevano perché il Regno d’Italia “liberasse” le città occupate. La loggia massonica locale di Trieste si dichiarò pronta a organizzare un colpo di mano militare o un attentato nella città, dando al governo italiano il casus belli necessario per dichiarare guerra all’Austria. Guglielmo Oberdan fu il primo di questi massoni irredentisti: cercò di compiere un attentato a Trieste già nel 1882 e per questo fu catturato e giustiziato dagli austriaci. Cesare Battisti agì a Trento dal 1911 al 1916, anno in cui morì per mano austriaca insieme a Fabio Filzi e Damiano Chiesa, con l’accusa di alto tradimento.
La propaganda massonica fu intensissima e i numerosi agganci con le alte sfere del governo permisero a questi loschi “intellettuali benpensanti” di forzare la mano al Regno d’Italia verso la dichiarazione di guerra all’Impero Austro-Ungarico. Per conseguire questo obiettivo vennero avviate una serie di trattative segrete con le potenze della Triplice Intesa: i Patti di Londra, firmati dall’Italia il 26 aprile 1915. Questi accordi prevedevano l’acquisto dei “territori irredenti” da parte dell’Italia a prezzo di combattere contro gli imperi centrali e dichiarare guerra entro un mese; includevano anche lo smembramento dell’Impero Ottomano e l’esclusione della Santa Sede dai futuri trattati di pace al termine della guerra. Il governo italiano, specialmente nella persona di Sidney Sonnino, si premurò di evitare la presenza del Papa durante i trattati per impedire a quest’ultimo di portare a livello internazionale la Questione Romana, cioè la dolorosissima frattura tra cattolici e stato italiano generatasi con la conquista di Roma nel 1870 e il seguente Non Expedit di Pio IX. Un altro motivo dietro alla firma dei Patti di Londra furono i prestiti concessi dall’Inghilterra all’Italia durante il Risorgimento: fu fatta leva su questi debiti per obbligare il Regno d’Italia a combattere contro i suoi stessi alleati. Non ci sono fonti storiche (a me conosciute) che confermino questo, ma è un pensiero plausibilissimo: i massoni italiani avevano chiesto aiuto ai loro compagni inglesi precedentemente, i quali ora chiedevano pegno dei soldi concessi. Fu così che il Regno d’Italia dichiarò guerra all’Impero Asburgico il 24 maggio 1915, arruolando tra le fila del suo esercito un gran numero di contadini ed operai, specialmente veneti, i quali erano ancora fortemente cattolici, esattamente come i loro avversari. I soldati non capirono assolutamente i motivi della guerra, tanto che nel giorno di Natale del 1915 si registrarono tregue in alcune zone del fronte carsico: i fanti italiani e austriaci smisero di combattere e si incontrarono nella terra di nessuno per parlare, scambiarsi regali, sigarette e cibo.
La Grande Guerra si rivelò il conflitto più mostruoso mai combattuto fino ad allora: pochissimi soldati sopravvivevano agli assalti, svolti ancora con le vecchie concezioni napoleoniche. I fanti saltavano fuori dalla trincea per costruire una linea dritta e ordinata, che doveva camminare e avanzare fin sotto le linee nemiche per assaltarle. Gran parte dei sopravvissuti tornarono a casa con devastanti sindromi post-traumatiche da stress. Il Regno d’Italia registrò 651.000 perdite militari e 589.000 vittime civili; per confronto, il totale delle perdite italiane dell’intera Seconda Guerra Mondiale si aggira sui 472.000 morti. Papa Benedetto XV definì la Grande Guerra come “L’inutile strage”, durante i suoi numerosi e inascoltati appelli alla pace. Solamente un uomo tra le nazioni belligeranti cercò in tutti i modi di ascoltare il Papa: Beato Carlo I, l’ultimo imperatore d’Austria-Ungheria, succeduto a Francesco Giuseppe nel 1916.
L’Italia terminò la Grande Guerra dal lato dei vincitori, avendo abbandonato i suoi alleati, nella speranza di ottenere delle condizioni migliori rispetto a quelle offerte da Francesco Giuseppe per la neutralità italiana. I nuovi alleati degli italiani non mantennero la parola e concessero al Regno più o meno gli stessi territori che si sarebbero ottenuti gratuitamente dall’Austria-Ungheria; da questo punto di vista è innegabile che l’affare fu peggio che pessimo. Da un punto di vista strategico-militare, invece, la partecipazione dell’Italia fu fondamentale: l’Impero Asburgico dovette allocare risorse sul fronte carsico piuttosto che in Russia o nei Balcani, fronti di maggiore importanza per l’Impero. La situazione interna dell’Austria era molto critica già prima dello scoppio della guerra e l’attrito con l’Italia accelerò la sua autodistruzione. Anche in Italia si ebbero grandi problemi interni: i reduci italiani non furono trattati con giustizia e vennero abbandonati a sé stessi, il giorno prima acclamati eroi e il giorno successivo trattati come un peso per la società, perché mutilati o malati mentalmente per via delle inenarrabili atrocità viste e commesse durante le battaglie. Fu così che Mussolini fondò i fasci di combattimento, raggruppando gli Arditi e tutti i reduci ancora sani e li portò in politica, dove esercitarono il potere nell’unico modo appreso durante quei quattro anni di guerra, proprio per costrizione statale: con la violenza.
La Massoneria, vista come organizzazione internazionale, raggiunse i propri obiettivi: distruggere l’ultima grande monarchia cattolica e unificare le nazioni in una singola società mondiale. L’Impero Austro-Ungarico fu smembrato senza ascoltare minimamente il parere dei popoli che lo componevano e dalle sue ceneri venne costituita a tavolino la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, di chiara ispirazione Marxista e cioè, in ultima istanza, figlia degli ideali giacobini. La Società delle Nazioni fu una creazione tutta massonica, che cercò di democratizzare il mondo intero e legarlo insieme nella fratellanza universale; tale esperimento fallì nel suo tentativo, non essendo riuscito ad evitare il secondo conflitto mondiale, che sarebbe scoppiato solo 20 anni dopo.
La Grande Guerra fu figlia degli ideali nazionalisti e delle connesse rivendicazioni territoriali dei vari neonati stati nazionali; fu il passaggio di Napoleone e dei suoi soldati per tutta l’Europa a diffondere le idee giacobine, creando le basi per la fondazione dello stato-nazione. Prima delle guerre napoleoniche del 1800 l’Europa era frazionata in tantissimi staterelli che mai avrebbero pensato di scatenare conflitti di proporzioni mondiali. La gente comune ignorava totalmente queste idee e probabilmente non ne aveva nemmeno mai sentito parlare; le élite approfittarono dei fiumi di sangue della Grande Guerra per diffondere sempre più il loro pensiero tra i contadini e gli operai, tutti ammassati al fronte e ora attaccabili in modo facile dalla propaganda. A partire dal 1918 cominciò la corruzione dei semplici. Contro questi servi volontari di Satana risuonano forti le parole di Gesù: «E chiunque scandalizzerà uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse legata intorno al collo una pietra da mulino e che fosse gettato in mare.»