La chiesa, per un cristiano, è senza dubbio il luogo centrale della propria vita di fede. Per quanto vada ammesso che, oggigiorno, uno dei problemi maggiormente diffusi tra i cattolici è quello di prestare ascolto agli insegnamenti di Cristo solo per quell’ora che si va a Messa (sempre che ci si vada), è altrettanto vero che le cosiddette “chiese domestiche” e gli altri eventuali luoghi di ritrovo organizzati alla bella e buona, seppur animati da buona fede e con la giusta intenzione di portare stralci di cristianesimo nella vita quotidiana, non potranno mai sostituire la chiesa come centro di riferimento della comunità cattolica locale.
Ormai siamo abituati a vedere le più disparate tipologie di chiese: grandi e piccole, antiche e moderne, ricche o scarne, frequentate o semi abbandonate. Qualunque sia la struttura, però, la chiesa conserva sempre la sua funzione essenziale di punto di riferimento per la comunità, sia per la celebrazione dell’Eucarestia, sia per la preghiera personale, sia per cercare semplicemente qualche minuto di dialogo con il Signore.
Purtroppo, può succedere che una comunità venga privata del proprio luogo di culto; in questo caso, non ci stiamo riferendo a calamità o ad altri impedimenti fisici, bensì al fatto che alla chiesa possa essere sottratto il carattere sacrale: ciò succede quando in essa si commette una profanazione.
Domus enim mea, dicit Dominus, domus orationis vocabitur. In chiesa, pertanto, devono svolgersi soltanto eventi legati alla preghiera e al culto. Ovviamente, possono essere autorizzate altre manifestazioni di carattere culturale come concerti di musica sacra, poiché non siano di impedimento allo svolgimento della vita liturgica. Ciò che, invece, va evitata è ogni attività completamente profana. Ricordiamo tutti la reazione di Nostro Signore quando ha incrociato i cambiavalute nel Tempio: potremmo affermare che ogni volta che in una chiesa compiamo azioni non legate al culto stiamo iterando quel comportamento.
Ovviamente, però, determinati eventi sono peggiori di altri e costituiscono vere e proprie profanazioni, più o meno volontarie. Si spazia infatti dalla banale occorrenza di una rissa, alla comparsa di qualche persona disturbata spesso in atteggiamenti o costumi inopportuni, alla vera e propria profanazione volontaria della SS. Eucaristia da parte di gruppi fanatici o settari. Per tutti questi casi, esiste un apposito formulario “di riconciliazione della chiesa”, che deve essere celebrato affinché essa torni ad assumere il carattere di sacralità che aveva prima della profanazione.
Un simile rituale, tendenzialmente poco noto, è di recente tornato all’attenzione mediatica quando, poche settimane fa, una persona con evidenti problemi psichici è salita priva di vestiti sull’Altare della Confessione della Basilica di San Pietro e si è messa a urlare e mostrate una scritta sulla schiena, presumibilmente un atto di protesta per la guerra in Ucraina. Senza voler additare colpe alla gestione della Basilica o a chi era preposto a sorvegliare, era chiaro ormai che un atto del genere rientrava nella fattispecie prevista dal Ceremoniale Episcoporum al n.1070: «Una chiesa viene profanata se in essa si compiono con scandalo dei fedeli azioni gravemente ingiuriose, che, a giudizio dell’ordinario del luogo, sono tanto gravi e contrarie alla santità del luogo da non essere più lecito esercitare in essa il culto finché l’ingiuria non venga riparata con un rito penitenziale». Pertanto, si è svolto un rito di riconciliazione celebrato da Sua Eminenza il Cardinale Gambetti in qualità di Arciprete della Basilica Vaticana. Per quanto le norme prevedano anche la partecipazione dei fedeli a simili riti, si è scelto di svolgere la celebrazione a porte chiuse, cosicché di essa ci è giunta soltanto qualche immagine.
Per capire meglio la struttura e il significato di simili celebrazioni dobbiamo ricondurci a quanto troviamo sul Pontificale Romanum, poiché ovviamente, come si può facilmente immaginare, il rito di riconciliazione di una chiesa è uno degli atti propri del vescovo. L’ordine della liturgia nella forma ordinaria è piuttosto semplice e senza particolari differenze rispetto a una celebrazione normale della S. Messa o della Liturgia della Parola. Gli unici elementi distintivi, infatti, sono l’ingresso in forma processionale, durante il quale si cantano possibilmente le litanie dei santi, e l’aspersione con l’acqua benedetta dell’altare profanato, delle pareti della chiesa e, se presente, del popolo. Terminati questi passaggi, il vescovo recita la colletta e inizia la Messa (o la celebrazione) come al solito, secondo i testi previsti per le occasioni penitenziali. Altro elemento da sottolineare è la copertura dell’altare con la tovaglia e i candelieri che viene fatta all’inizio della liturgia eucaristica: durante i riti di ingresso, infatti, esso rimane spoglio, non viene incensato e non si fa nemmeno la riverenza.
Un po’ più complesso è, invece, il rituale prescritto dal Pontificale Romanum secondo la forma straordinaria. Gli elementi della liturgia sono essenzialmente gli stessi, ma i testi e le rubriche sono decisamente più ricchi e più densi di significato. Una menzione merita sicuramente il fatto che, nel Pontificale, il rito per la riconciliazione di una chiesa è unito a quello di un cimitero, sia per le frequenti profanazioni che in passato potevano subire le sepolture, sia per la prassi di adibire a cimitero il terreno immediatamente antistante la chiesa.
Il rito iniziava all’esterno della chiesa, dove il vescovo, seduto in faldistorio, benediceva l’acqua mista col sale. Durante il canto dell’Asperges, il vescovo faceva il giro attorno alla chiesa aspergendo alternativamente sia le pareti, sia la terra su cui le stesse poggiavano la quale era verosimilmente, come si è detto, terra cimiteriale. Finita l’aspersione, si entrava processionalmente in chiesa al canto delle litanie dei santi e il vescovo sedeva sul faldistorio posto di fronte all’altare maggiore. Verso la conclusione delle litanie, venivano inserite le intenzioni per la purificazione, la riconciliazione, la santificazione e la consacrazione del luogo. Recitata poi un’orazione, il vescovo benediceva nuovamente l’acqua, alla quale questa volta venivano aggiunti non solo il sale, ma anche le ceneri e del vino. Iniziava così il canto del Salmo 67, durante il quale il vescovo compiva il giro della chiesa dall’interno per tre volte, la prima per benedire la parte superiore delle pareti, la seconda per la parte inferiore, la terza per benedire il pavimento. Qualora la profanazione fosse avvenuta in un punto preciso, si poteva indugiare particolarmente in quel luogo. A questo punto, dopo un’orazione, il vescovo recitava un lungo prefazio di supplica affinché la chiesa venisse purificata da ogni macchia e risorgesse candida e immacolata. Infine, si recitava l’Introibo ad altare Dei e il vescovo concludeva la liturgia con la benedizione dei presenti. Aveva così inizio la celebrazione della Messa, che poteva essere presieduta direttamente dal vescovo medesimo o, in alternativa, da un altro sacerdote.
In conclusione, possiamo quindi comprendere come i riti di riconciliazione di una chiesa, per quanto poco conosciuti, rivestano un’importanza primaria nel preservare la purezza di una terra o di un edificio consacrato. Per tale ragione, non solo i sacerdoti ma tutti i fedeli sono tenuti a vigilare attentamente e a riferire eventuali atti che possano configurare una profanazione di una chiesa in modo tale che non si abbia a celebrare l’Eucarestia dove un evento profanatorio ha disperso la sacralità del luogo.