Il Simbolo di S.Atanasio, attribuito dalla tradizione della Chiesa al Santo di Alessandria, combattente instancabile dell’eresia ariana assieme a S.Ambrogio di Milano, rappresenta uno dei testi più dottrinalmente completi e sintetici che un vescovo abbia potuto produrre, per la maggior Gloria di Dio e per la Salvezza delle anime.
Lo sapeva bene S.Atanasio, il quale decise di condannare gli errori dei suoi tempi, incarnati principalmente nella eresia ariana, ovvero quella eresia cristologica che pretendeva di negare la divinità di Cristo, riconoscendo in esso si una sola persona, ma non due nature unite ipostaticamente.
“L’arianesimo […] era disposto a garantire a Nostro Signore ogni tipo di onore e maestà, tranne la piena natura della divinità.1“
Occorre infatti ricordare che, nonostante non sia facile stabilire il momento esatto dopo il quale la religione ufficiale dello Stato romano, o anche dell’Impero, diventi quella cristiana, possiamo con certezza granitica affermare che al tempo della diffusione della eresia ariana, il cattolicesimo aveva attecchito presso la società come religione privilegiata (tradizionalmente, si assegna a Teodosio il merito di aver rottamato definitivamente il paganesimo)
“[…] Numerosissime antiche famiglie nobili erano riluttanti ad accettare la rivoluzione sociale implicata dal trionfo della Chiesa cristiana. Sostenevano naturalmente un movimento che percepivano, d’istinto, essere spiritualmente opposto alla vita e alla sopravvivenza di quella Chiesa e che portava seco una atmosfera di superiorità sociale nei confronti del popolo. La Chiesa poteva contare sulle masse e, alla fine, fu sostenuta da queste. Uomini di antica tradizione familiare e ricchezza trovarono gli ariani ppiù comprensivi rispetto ai comuni cattolici e li considerarono un miglior alleato per dei gentiluomini. Molti intellettuali si trovavano nella stessa posizione: non avevano alcun orgoglio di famiglia nè antiche tradizioni sociali del passato, ma avevano l’orgoglio della cultura. Ricordavano con rimpianto l’antico prestigio di cui godevano i filosofi pagani.2“
Lavorando infaticabilmente, Ario, di religione ebrea (come dimostrano tanti scrittori giudei come lo storico Graetz, anche lui ebreo di confessione religiosa), prese a compilare opuscoli e persino libri, tra cui si annovera il libro di testo Thalia, per convincere capi religiosi, governanti civili e singole persone dell’impero romano. Un primo importante appoggio egli trovò nel Vescovo Eusebio di Nicomedia il quale, data la sua grande amicizia con l’imperatore, ebbe l’audacia di tentare di attrarlo verso l’eresia di Ario. L’intento si concluse in un fallimento, tuttavia Costantino decise all’inizio di cercare di far incontrare Ario e S.Atanasio per una riconciliazione. L’imperatore era infatti convinto, sulla base di quello che il vescovo eretico aveva dichiarato, che si trattasse solo di una questione di ortodossia. L’incontro non si verificò: Atanasio, infatti, inamovibile e marmoreo, si rifiutò di incontrare l’avversario.
Cominciò cosi’ una lunga ed estenuante battaglia, perpetrata da Ario e dai vescovi seguaci, dalla nobiltà e dai ceti elevati, contro la Santa Chiesa, contro i sacerdoti e i vescovi zelanti che continuavano a resistere agli errori.
Molte furono le accuse rivolte contro S.Atanasio: egli infatti fu accusato, in ordine cronologico, di aver compiuto i seguenti misfatti:
- Collaborazione con i ribelli all’impero romano
- Tentativi di vessazione del Clero tramite una imposizione di contributi sul lino, per trarne profitto economico (Atanasio era diventato infatti patriarca, dopo la morte di Alessandro)
- Assassinio di uno dei collaboratori vicini al capo dei meleziani (eretici che poi confluirono nell’arianesimo)
- Seduzione di una donna con l’inganno
- Compravendita di grano dagli egiziani per ridurre alla fame Costantinopoli
Nonostante la falsità di tutte queste accuse, che Atanasio dimostrò sempre con estrema efficacia e meticolosità, gli ariani cercavano di convincere l’imperatore che Atanasio fosse nemico dell’unità dell’impero cristiano.
Atanasio, che dal canto suo lavorava incessantemente per la difesa della Santa Chiesa, per custodire la fede cattolica nella sua più totale integrità, potè resistere, anche se solo (tanti vescovi, infatti, appoggiavano Ario), ma alla fine, Satana riusci’ ad avere una vittoria.
Al Sinodo di Tiro, i vescovi corrotti, in netta maggioranza, decisero di far deliberare la destituzione di S.Atanasio quale Patriarca di Alessandria: venne inviata una circolare a tutti i vescovi del mondo conosciuto, nella quale si proibiva di coltivare relazioni con questo vescovo.
Con la mente dell’imperatore corrotta, con la sorella Costanza e il nucleo imperiale vicine all’arianesimo, con l’appoggio dei 4/5 dei vescovi, Ario aveva la vittoria in pugno. Costantino decretò il ritorno dall’esilio di Ario, e volle che tale ritorno si svolgesse a Costantinopoli. Questo ritorno avrebbe rappresentato forse il trionfo dell’eresia. Occorre infatti ricordare che un ruolo chiave, nella vicenda ariana, fu giocata dall’impero.
Nel primo secolo di vita della Chiesa, l’esercito romano imperiale era costituito, per ovvie ragioni, da soldati prevalentemente italiani. Con il passare del tempo, l’esercito imperiale divenne di costituzione prettamente eterogenea. Truppe ausiliarie, combattenti che seguivano capi-tribù locali affiliati al sistema militare romano, truppe regolari di provincia. Per sommi capi, attorno al IV secolo d.C., l’esercito contava su soldati barbari, ispanici, italiani, Galli, francesi etc. Esso divenne saldamente ariano per le ragioni che mossero anche gli intellettuali: vedevano nella eresia un mezzo per distinguersi dalle masse popolari. Sicuramente con promesse di denaro esose e di benessere derivante dalla ‘novità’ sul mercato religioso, e abituati a ordini di ufficiali intransigenti, i militari decisero progressivamente di dare seguito a tale eresia. Il picco si ebbe con la “conversione” di Costantino.
Ario non aveva più barriere. Avrebbe potuto controllare tutto, forse raggiungere anche il Papato.
Dio decise, in quel momento, che per i bambini era terminata la ricreazione.
Ario rientrò trionfante a Costantinopoli, ma sulla via, mori’ fulminato da un malessere intestinale, molto probabilmente un attacco di appendicite acuta.
Era la fine di Ario. Ma non la fine dell’arianesimo.
Seguirà infatti una seconda persecuzione: Costanzo, figlio e futuro imperatore dopo Costantino, deciderà di battagliare nuovamente Atanasio, dopo che gli ariani gli avranno riferito falsamente che Atanasio stava tramando contro di lui.
Papa Liberio decise di indire un concilio, nella città di Arles: correva l’anno 353. I vescovi ariani, capeggiati da Valente e Ursazio, entrambi ebrei e eredi di Ario, decisero di scagliarsi ancora contro Atanasio.
I delegati Papali accettarono tale decisione e non si opposero.
Liberio, triste e deciso nel difendere Atanasio, convocò un secondo concilio, a Milano, nel 355.
Più di trecento vescovi furono radunati, tutti quasi all’unisono condannarono S.Atanasio, che venne esiliato nuovamente.
Come non lodare la pazienza, la fermezza di questo Santo vescovo. Basta recitare il suo Symbolum, che immediatamente si percepisce una idea ben chiara dello zelo, dell’amore che provava per il cattolicesimo, della difesa che esercitò sempre per difendere il dogma della Santissima Trinità, contro l’eresia cristologica ariana, che negava la divinità di Cristo, come la nega di fatto il giudaismo, ovvero l’ebraismo. Ragione per cui, il Catechismo di S.Pio X, che essendo dottrina della Chiesa è tradizione passiva, perciò Fonte Infallibile di Rivelazione, pone l’ebraismo fuori dalla comunione dei santi. Arianesimo ed Ebraismo, infatti, non riconoscono la Divinità di Cristo: negano perciò la Presenza Reale di Cristo nella Eucaristia, negano l’Incarnazione, negano la Trinità, che è dogma centrale e necessario per essere salvati.
Ovviamente, la cattolicità di S.Atanasio non poteva essere tollerata. Il messaggio del cattolicesimo doveva essere ribadito, altrimenti l’eresia avrebbe vinto sicuramente.
Lo sapeva bene S.Atanasio, che proprio nel simbolo scrive:
“Quicumque vult salvus esse: ante omnia opus est, ut teneat catholicam fidem. Quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit: absque dubio in aeternum peribit. Fides autem catholica haec est: ut unum Deum in Trinitate, et Trinitatem in Unitate veneremur […] Haec est fides catholicae: quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit, salvus esse non poterit.”
Bibliografia
- Hilaire Belloc, “Le Grandi Eresie“, p.30.
- Ibidem, p.32.