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La castità non è una virtù che ha unicamente attinenza con la pratica sessuale, ma coinvolge la persona intera e ne esprime la visione globale della vita.
La castità non è una virtù che ha unicamente attinenza con la pratica sessuale, ma coinvolge la persona intera e ne esprime la visione globale della vita. La castità non soltanto lascia trasparire la verità della sessualità (e non invece il suo rifiuto o la sua paura), ma la verità sull’amore di Dio e dell’uomo. Per questo la castità aderisce alla persona e l’accompagna in tutte le situazioni in cui questa è chiamata a vivere. Certo la castità assume differenti modalità nei diversi stati di vita: nell’adolescenza e nell’età matura, nel fidanzamento e nel matrimonio, nella vedovanza, nell’eventualità di un matrimonio che conosce la separazione, nella scelta della verginità. Modalità anche profondamente diverse, ma sempre espressive della medesima logica. La castità è una virtù che tocca la struttura dell’uomo, non semplicemente lo stato in cui vive. La parola castità dice subito e bene l’austerità e il dominio di sé. Ma non consiste solo nel governare le proprie passioni con la forza. Il dominio di sé evangelico sta nel consegnarsi con fiducia a Colui che mi ha creato, mi ama e mi conosce meglio di me stesso. È fare spazio dentro se stessi alla Signoria di Cristo, cioè sentirsi amati da Lui e desiderare di crederGli e di ricambiarLo osservando quanto ci chiede.
La conversione, cioè il governo ordinato della mia persona, è l’atteggiamento che assumo quando mi sento amato da Dio! Questa concezione evangelica del dominio di sé – ma potremmo anche dire dell’ascesi, della penitenza, della mortificazione – è una profonda novità, e segna la differenza fra il pensiero del Vangelo e quello del mondo. Sappiamo che l’uomo non può realmente incontrare l’altro se non attraverso il corpo: ogni relazione, da quella sociale a quella intima e affettiva, si esprime nella fisicità del corpo. Questo non può essere usato dalla persona come un elettrodomestico o un’automobile, perché questi mezzi sono esterni alla persona e la nostra intima natura ne rimane estranea. Io non “possiedo” il mio corpo, io “sono” (anche) il mio corpo. Ecco perché Gesù ci ricorda che se guardiamo una donna desiderandola, abbiamo già commesso il peccato nel nostro cuore: perché così facendo abbiamo separato quel corpo dalla persona, rendendolo schiavo ai nostri desideri disordinati. Ora dovrebbe esserci più chiaro che la castità è uno stile di vita della persona non riducibile ad una fredda elencazione di atti permessi e atti proibiti, bensì rispettoso della verità di tutto l’essere umano. La castità va ricondotta alla concreta necessità di riconoscere quelle azioni che sono oggettivamente contrarie alla dignità dell’uomo, creato per riflettere Dio. Come segno del primato di Dio, Gesù ha scelto per sè il “segno” del celibato. Un segno che si colloca nella realtà più delicata dell’uomo, che è la sua capacità di amare. Dopo aver puntualizzato che il matrimonio è monogamico e indissolubile (Mt 19,3-12), Gesù prospetta anche una scelta di continenza volontaria e irreversibile per la dedizione alla sua causa. Sì, non sposarsi per il Regno di Dio può essere una scelta buona! Egli non invita tutti alla totale rinuncia, ma tutti sono invitati ad ammettere nel loro cuore che questa è una chiamata di Dio. Gesù non vede il matrimonio (e l’uso lecito della sessualità ad esso inerente) come un valore assoluto se paragonato al servizio da prestare alla Sua Persona.
Seguire Gesù può chiedere la disponibilità a rinunciare a tutto: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie […]” (Lc 14,26). Per il credente il fatto che Gesù – che certo non poteva fare tutte le scelte vocazionali storiche possibili – abbia scelto fra tutte il celibato, non è privo di significato, come lo sono le sue scelte di povertà, di non-violenza e di croce. Egli ha certamente fatto le sue scelte per svelare nel modo più trasparente possibile il volto di Dio e la verità dell’uomo. Tanto più che, soprattutto per quanto riguarda il celibato, non si può parlare di scelta culturale, dettata o condizionata dai costumi del tempo. È stata, anzi, una scelta del tutto innovativa e contro il pensare comune. Per la sua scelta di celibe Gesù è stato probabilmente deriso, di certo incompreso. La fede comune sosteneva, infatti, l’obbligo di sposarsi per obbedire al comandamento del Dio creatore: «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,28). Se Gesù ha scelto la verginità, è perché questa provoca una trasparenza formidabile: quella di lasciare vedere la presenza e forza di Dio attraverso la rinuncia consapevole a ciò che sembra irrinunciabile. Chi sceglie la verginità sceglie di donarsi e di amare totalmente Dio e gli uomini, ma al tempo stesso sceglie di farsi da parte. Di fronte a chi lo ama e vorrebbe porlo al centro, egli ricorda: «Non sono io il tuo centro, ma Dio». E si fa da parte, perché chi lo ama si volga a Dio. E se qualcuno vuole inserirsi nel centro della sua vita, quasi vantando una priorità nel suo amore, egli ricorda: «Non tu sei il centro della mia vita, ma Dio».
Scegliere con la verginità il primato di Dio, significa anzitutto indicare che la verità dell’uomo è l’essere amato da Dio. Ed è proprio della gioia di essere amati da Dio che la verginità è proclamazione. Infine credere al dato biblico non basta, bisogna credere anche al Magistero della Chiesa come espressione dell’amore di Dio che ci guida. Molti argomenti della morale (cioè del comportamento coerente col Vangelo) si trovano solo a livello implicito nelle pagine della Bibbia. Il passaggio dall’implicito all’esplicito si realizza nella storia dei dogmi, che è la storia della Sapienza rivelata. Il Magistero ci insegna quanto Gesù non poteva dirci per intero in poco tempo. Egli stesso lo afferma promettendoci lo Spirito Illuminatore (cfr. Gv 14,25;16,7-13). Esaminiamo ora una di queste catechesi specifiche, per scoprire il vero contenuto e le vere motivazioni cristiane della virtù della purezza. Si tratta del testo di 1Cori 6, 12-20. Pare che i Corinti – forse travisando una frase dell’Apostolo – adducessero il principio «Tutto mi è lecito» per giustificare anche i peccati di impurità. Nella risposta dell’Apostolo è contenuta una motivazione assolutamente nuova della purezza che scaturisce dal mistero di Cristo. «Non è lecito darsi all’impurità, non è lecito vendersi, o disporre di sé a proprio piacimento, per il semplice fatto che noi non ci apparteniamo più, non siamo nostri, ma di Cristo. Non si può disporre di ciò che non è nostro». «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo e che non appartenente a voi stessi?».
La motivazione pagana è, in un certo senso, rovesciata; il valore supremo da salvaguardare non è più la padronanza di sé, ma la “non padronanza di sé”. «Il corpo non è per l’impudicizia ma per il Signore!»: la motivazione ultima della purezza è, dunque, che «Gesù è il Signore!». La purezza cristiana, in altre parole, non consiste tanto nello stabilire il dominio della ragione sugli istinti, quanto nello stabilire il dominio di Cristo su tutta la persona, ragione e istinti.
La cosa più importante non è che io abbia il dominio di me stesso, ma che Gesù abbia il dominio di me stesso.
C’è un salto di qualità pressoché infinito tra le due prospettive; nel primo caso, la purezza è in funzione di me stesso, io sono lo scopo; nel secondo caso, la purezza è in funzione di Gesù, Gesù è lo scopo. Bisogna, sì, sforzarsi di acquistare il dominio di sé, ma solo per cederlo poi a Cristo. Questa ragione “cristologica” della purezza è resa più impellente da quello che San Paolo aggiunge nel medesimo testo: noi non siamo solo genericamente «di» Cristo, come sua proprietà o cosa sua, siamo il corpo stesso di Cristo, le sue membra! Questo rende tutto immensamente più delicato, perché vuol dire che, commettendo l’impurità, io prostituisco il corpo di Cristo, compio una sorta di odioso sacrilegio; “uso violenza” al corpo del Figlio di Dio. «Prenderò dunque le membra di una prostituta?» (1Cor 6,15); basta solo formulare tale ipotesi per rimanere atterriti dalla sua gravità.
L’Apostolo conclude questa sua catechesi sulla purezza con l’appassionato invito: «Glorificate, dunque, Dio nel vostro corpo!». Il corpo umano è dunque per la gloria quando l’uomo vive la propria sessualità e la sua intera corporeità in obbedienza amorosa alla volontà di Dio, che è come dire in obbedienza al senso stesso della sessualità, alla sua natura più intima e originaria che non è quella di vendersi, ma quella di donarsi. Tale glorificazione di Dio attraverso il proprio corpo non esige necessariamente la rinuncia all’esercizio della propria sessualità. Nel capitolo immediatamente successivo, cioè in 1Cor 7, san Paolo spiega, infatti, che tale glorificazione di Dio si esprime in due modi e in due carismi diversi: o attraverso il matrimonio o attraverso la verginità. Glorificano Dio nel loro corpo la vergine e il celibe, ma lo glorifica anche chi si sposa, purché ognuno viva le esigenze del proprio stato. Esaminiamo ora una di queste catechesi specifiche, per scoprire il vero contenuto e le vere motivazioni cristiane della virtù della purezza. Si tratta del testo di 1Cor 6, 12-20. Pare che i Corinti – forse travisando una frase dell’Apostolo – adducessero il principio «Tutto mi è lecito» per giustificare anche i peccati di impurità. Nella risposta dell’Apostolo è contenuta una motivazione assolutamente nuova della purezza che scaturisce dal mistero di Cristo. «Non è lecito – egli dice – darsi all’impurità, non è lecito vendersi, o disporre di sé a proprio piacimento, per il semplice fatto che noi non ci apparteniamo più, non siamo nostri, ma di Cristo. Non si può disporre di ciò che non è nostro». «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo […]e che non appartenente a voi stessi?».
A questa motivazione legata al Signore Gesù Cristo, se ne aggiunge poi subito un’altra riguardante lo Spirito Santo: «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?». Abusare del proprio corpo è dunque profanare il tempio di Dio; ma se uno distruggerà il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Commettere impurità è «rattristare lo Spirito Santo di Dio». L’Apostolo conclude questa sua catechesi sulla purezza con l’appassionato invito: «Glorificate, dunque, Dio nel vostro corpo!». Il corpo umano è dunque per la gloria quando l’uomo vive la propria sessualità e la sua intera corporeità in obbedienza amorosa alla volontà di Dio, che è come dire in obbedienza al senso stesso della sessualità, alla sua natura più intima e originaria che non è quella di vendersi, ma quella di donarsi. Tale glorificazione di Dio attraverso il proprio corpo non esige necessariamente la rinuncia all’esercizio della propria sessualità. Nel capitolo immediatamente successivo, cioè in I Corinti 7, san Paolo spiega, infatti, che tale glorificazione di Dio si esprime in due modi e in due carismi diversi: o attraverso il matrimonio o attraverso la verginità. Glorificano Dio nel loro corpo la vergine e il celibe, ma lo glorifica anche chi si sposa, purché ognuno viva le esigenze del proprio stato.