La cosa più importante non è che io abbia il dominio di me stesso, ma che Gesù abbia il dominio di me stesso.
C’è un salto di qualità pressoché infinito tra le due prospettive; nel primo caso, la purezza è in funzione di me stesso, io sono lo scopo; nel secondo caso, la purezza è in funzione di Gesù, Gesù è lo scopo. Bisogna, sì, sforzarsi di acquistare il dominio di sé, ma solo per cederlo poi a Cristo. Questa ragione “cristologica” della purezza è resa più impellente da quello che San Paolo aggiunge nel medesimo testo: noi non siamo solo genericamente «di» Cristo, come sua proprietà o cosa sua, siamo il corpo stesso di Cristo, le sue membra! Questo rende tutto immensamente più delicato, perché vuol dire che, commettendo l’impurità, io prostituisco il corpo di Cristo, compio una sorta di odioso sacrilegio; “uso violenza” al corpo del Figlio di Dio. «Prenderò dunque le membra di una prostituta?» (1Cor 6,15); basta solo formulare tale ipotesi per rimanere atterriti dalla sua gravità.
L’Apostolo conclude questa sua catechesi sulla purezza con l’appassionato invito: «Glorificate, dunque, Dio nel vostro corpo!». Il corpo umano è dunque per la gloria quando l’uomo vive la propria sessualità e la sua intera corporeità in obbedienza amorosa alla volontà di Dio, che è come dire in obbedienza al senso stesso della sessualità, alla sua natura più intima e originaria che non è quella di vendersi, ma quella di donarsi. Tale glorificazione di Dio attraverso il proprio corpo non esige necessariamente la rinuncia all’esercizio della propria sessualità. Nel capitolo immediatamente successivo, cioè in 1Cor 7, san Paolo spiega, infatti, che tale glorificazione di Dio si esprime in due modi e in due carismi diversi: o attraverso il matrimonio o attraverso la verginità. Glorificano Dio nel loro corpo la vergine e il celibe, ma lo glorifica anche chi si sposa, purché ognuno viva le esigenze del proprio stato. Esaminiamo ora una di queste catechesi specifiche, per scoprire il vero contenuto e le vere motivazioni cristiane della virtù della purezza. Si tratta del testo di 1Cor 6, 12-20. Pare che i Corinti – forse travisando una frase dell’Apostolo – adducessero il principio «Tutto mi è lecito» per giustificare anche i peccati di impurità. Nella risposta dell’Apostolo è contenuta una motivazione assolutamente nuova della purezza che scaturisce dal mistero di Cristo. «Non è lecito – egli dice – darsi all’impurità, non è lecito vendersi, o disporre di sé a proprio piacimento, per il semplice fatto che noi non ci apparteniamo più, non siamo nostri, ma di Cristo. Non si può disporre di ciò che non è nostro». «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo […]e che non appartenente a voi stessi?».