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Evoluzionismo: “teoria” senza fondamento – II

Un'analisi sistematica di una delle questioni filosofiche e scientifiche più controverse dell'epistemologia - Parte II

Prima parte qui


La questione del finalismo

    L’evoluzionismo, infine, è segnato dall’assenza di ogni determinata finalità, di ogni piano prefisso, di ogni legge che regoli i processi: il tutto è effetto del caso, sarebbe una disteleologia. Come ci fa giustamente notare il card. Lepiciér: «[…] Se non vi è finalità, se non vi sono tracce di un disegno regolatore, se non vi sono relazioni intenzionali, se i mostri stessi non sono eccentricità della natura, ma parti tanto regolari, quant’è tutto il resto del cosmo, perché abbassarsi e cercare le origini di un processo così stravagante, senza causa, senza scientifica ragione, senza nesso logico? Chi ci assicura che il nostro stesso ragionare non è l’effetto del caso? » [1]

    Come sarebbe possibile, quindi, che un cieco fatalismo disteleologico contenga del finalismo? Continua il cardinale: «[…] E qui appunto sta il lato debole dell’evoluzionismo. Se da una causa fisica potesse prodursi un effetto specificamente superiore, specificamente, dico, cioè quanto alla forma naturale sostanziale dell’agente, non avremmo più la verificazione del principio fondato e sulla esperienza e sulla ragione, che l’effetto si deve rassomigliare alla forma dell’agente per cui egli agisce, ma l’effetto sarebbe da essa diverso. E se l’effetto è diverso dalla causa, a che poi si rassomiglierà? Non certo alle circostanze, giacché se non si rassomiglia alla causa che è la cosa principale, molto meno si potrà rassomigliare a cose secondarie, quali sono le circostanze. E se non trova nulla a cui si rassomigli, perché questo effetto dovrà piuttosto essere questo che quello? Perché tale albero sarà un pero piuttosto che una quercia, un leone piuttosto che una scimmia? Siccome, dunque, l’esperienza ci dimostra che ogni effetto si rassomiglia alla forma per la quale l’agente opera, e ogni agente non ha altro che una forma naturale per la quale agisce, dobbiamo conchiudere che quel rapporto specifico tra causa ed effetto, che ora la natura ci fa vedere nelle cose, fu quello che esistette fin dall’alba del mondo, e che, siccome ora una quercia produce una quercia, un leone un altro leone, un uomo un altro uomo, e via discorrendo, così fu fin dal principio. Si faccia tacere l’immaginazione e si ascolti solo l’intelletto. Non si sogni ma si ragioni. Ma, non sarà senza utilità il far vedere ancora più chiaramente la falsità del trasformismo, mostrando la debolezza del fondamento su cui poggia tutto quell’edificio. Questo fondamento è l’esistenza di specie intermedie: ed è appunto per mezzo di queste, dicono i trasformisti, che la primigenia monera è venuta a svilupparsi nell’uomo, quale oggi lo conosciamo. Però, a chi per poco vi ponga mente, ben presto si scorge questa statua colossale avere un piede di creta e doversi risolvere in polvere appena venga toccata con il dito. Difatti, nessuna specie può possedere proprietà, le quali siano in contraddizione tra loro. Ora le supposte specie intermediarie, mezze, equivoche o miste degli evoluzionisti, siccome si suppongono partecipare delle proprietà particolari dell’una e dell’altra specie, così pure debbono possedere proprietà opposte, essendo ogni genere distribuito in specie per differenze opposte. Ora, egli è assurdo e contradditorio che una specie sia, in pari tempo, a mo’ d’esempio, dotata di sensibilità e priva di essa, quale precisamente sarebbe la specie intermediaria che si suppone esser esistita tra il vegetale e l’animale; parimente, è contradditorio ed assurdo che una stessa cosa sia, ad un tempo, ragionevole ed irragionevole, quale appunto sarebbe la specie immaginata tra l’uomo e il bruto, dalla quale specie si fa immediatamente discendere il corpo umano. Che più? Una tale specie intermediaria non è nemmeno concepibile. »[2]

    A livello microscopico, è necessario sottolineare infine che la materia è invariata nell’amplio spettro di ciò che macroscopicamente si osserva.

    Gli atomi di carbonio che costituiscono gli esseri umani sono gli stessi atomi di carbonio che costituiscono la legna del camino, il fumo della sigaretta e gli asteroidi della fascia di Edgeworth-Kuiper. I nucleoni sono sempre gli stessi, i gluoni sono sempre gluoni. Non esistono nucleoni per il legno, nucleoni per la pelle, nucleoni per l’intestino di un bisonte.

    Da soli, non possono decidere cosa formare e come formarlo: è necessario un agente esterno. Se la materia può essere (per esempio) un albero, un cane o un uomo, non può essere da sola una di queste tre, ma ci deve essere qualche altra causa (cause) che fa sì che la materia sia un albero, un cane e un uomo.

    La materia è il principio dell’unità tra i tre, perché ciascuno di essi è qualcosa di materiale, e i suoi costituenti sono sempre quelli (infatti, gli atomi di carbonio dei miei capelli sono gli stessi di quella della criniera di un cavallo): non può essere il principio della loro varietà, perché la loro varietà è un carattere opposto alla loro unità e la stessa non può essere la ragione degli opposti. Il fatto che la materia si manifesti in queste differenti realtà richiede necessariamente, per ogni caso, una causa che informi la materia e la specifichi, permettendo alla realtà di essere quella che è, e non un’altra. La materia da sola non è sufficiente a spiegare perché ognuna di esse è diversa dall’altra. Si vede quindi che la materia opera come causa solo fino a questo punto, che è ciò che è determinato, ma di per sé non determina niente, in senso assoluto e come causa assoluta e non subordinata ad altre cause esterne.

    I materialisti infatti sono spesso, e ben volentieri, orientati a fare questo ragionamento:

    “Nella decomposizione delle sostanze organiche, ritrovo gli stessi costituenti delle inorganiche; sapendo che queste si combinano secondo leggi chimiche e fisiche, allora anche le sostanze organiche, e dunque i viventi, sono riconducibili alle sole forze chimico-fisiche”.

    Questo ragionamento, che è principalmente dovuto alla tendenza riduzionistica della fisica e della chimica moderna, è estremamente sbagliato; innanzitutto, perché suppone di attribuire il complesso fenomeno della vita ad una sorta di equazione per nulla multivariata: tutto sarebbe originato dalle forze chimico-fisiche, compreso il meccanismo complesso della psicologia, che invece è un problema multivariato. Infine, questo ragionamento è equivalente al seguente:
    “Osservo che un edificio è fatto di pietre e mattoni; ma le pietre e i mattoni sono prodotti delle forze naturali; quindi, l’edificio è un prodotto delle forze naturali”. 

    Assolutamente illogico e assurdo.

    Esiste, evidentemente, un principio attivo oltre alla materia, che è un principio passivo di un corpo. La materia è ricevuta in una forma che ci permette di dire, senza ombra di dubbio, che esiste una varietà delle cose naturali che osserviamo.

    Osservo la forma del cane, dell’uomo e dell’albero, che rimane sempre immutabile; ciò che cambia, nel contesto di una forma, sono gli accidenti (un uomo è sempre un uomo, sebbene alcuni siano più alti di altri, più magri di altri et cetera). Poiché, inoltre, esiste una proporzione tra causa ed effetto per il principio omonimo, da un leone potrà sempre essere generato solo un leone; da un uomo potrà essere generato un uomo; da un albero, un altro albero.

    La forma di un ente è immutabile, non può trasmutare: il vero fondamento dell’evoluzionismo viene pertanto negato.

    Negando tutti i principi che regolano la natura e la realtà, le cause e gli effetti che riscontriamo e che la logica richiede, possiamo pertanto affermare che l’evoluzionismo di Darwin non è conforme alla realtà.

    Evoluzionismo materialistico e conclusioni

    Analizziamo ora l’ultimo punto, ossia la questione finalistica, così come viene negata dall’evoluzionismo materialistico.

    La teologia cattolica è giustamente feroce e colpisce in profondità questo preciso ramo dell’evoluzionismo, che oggi primeggia con grande allarmismo: «L’Evoluzionismo materialistico ateo filosoficamente e teologicamente è tanto assurdo quanto il Materialismo e l’ateismo […] filosoficamente, se si prescinde da un diretto intervento divino, l’Evoluzionismo urta contro il principio di causalità, che non tollera la derivazione d’un effetto superiore da una causa inferiore (il più dal meno)»[3]

    Il sistema evoluzionistico è concepito in netta opposizione al finalismo teistico, onde si assume che Dio, essendo onnipotente e onnisciente, ordina la natura creata con una finalità, perché l’azione creatrice è guidata da un intelletto, e non dal fatalismo cieco e casuale, che invece viene preso come dogma dell’evoluzionismo materialistico. Quindi, gli evoluzionisti suppongono che tutto sia contingente, per poi affermare che, essendo tutto contingente, non può esserci un finalismo in senso assoluto. Supponiamo pertanto che tutto ciò che esiste sia contingente, come asseriscono gli evoluzionisti.[4]

    Il principio di tutto sarebbe un divenire che di spiega da sé, un divenire senza una causa prima. Sarebbe, quindi, un divenire incausato, almeno in ordine della causa prima, che noi riconosciamo in Dio.

    Ecco, quindi, due ostacoli di grosso calibro, giacché innanzitutto il divenire non sarebbe materiale, e quindi cadrebbe l’edificio materialistica; inoltre, un essere contingente ed incausato è metafisicamente impossibile, perché sarebbe contemporaneamente non da se stesso (essendo contingente) e da se stesso (perché sarebbe incausato). Certamente, ci rendiamo conto del fatto che l’ateismo neopositivista e l’empirismo logico ritengono la metafisica priva di ogni significato. Molti atei ed evoluzionisti si rifugiano allora nel giochetto della serie infinita di esseri contingenti.

    Ma anche questo è assurdo.

    Innanzitutto, perché molti degli esponenti a cui si appellano questi miscredenti non sono per niente propensi verso questa opinione[5]. Successivamente, perché una serie anche infinita di essere contingenti e subordinati, anche se fosse possibile, non basterebbe a spiegare se stessa.

    Infatti, donde viene il divenire della serie supposta infinita? E perché questo divenire?

    Inoltre, è assolutamente evidente che in natura, il finalismo domina tutti gli ambiti, dal microscopico al macroscopico. La stessa “sopravvivenza della specie” non è forse finalistica? Se, come vogliono i materialisti, la materia si fosse evoluta verso il meglio, come è possibile che la materia non auto-cosciente, incapace di finalismo, si sia mossa come se fosse cosciente e verso un principio gerarchico di finalismo? E’ assurdo, innanzitutto se si considera la materia senza niente che possa trascenderla, in secondo luogo se si ammette il caos come sostrato della realtà.

    Il caos è incapace di finalismo, in senso assoluto. Nella fisica esiste eccome il finalismo: abbiamo i principi di conservazione, i principi variazionali, assieme ad una carrellata di fenomeni che sono intrinsecamente finalistici[6]. Se c’è un finalismo, esiste necessariamente un ordine, e l’ordine non può provenire da forze cieche ed incoscienti, proprio perché la causa è proporzionata all’effetto, e l’effetto alla causa: l’ordine è preceduto da una causa, e la causa dell’ordine è un intelletto. Se l’inconscio (che nessun evoluzionista può definire e sul quale non esiste un accordo tra gli evoluzionisti: questo la dice lunga sulla serietà della loro filosofia) fosse l’atto perpetuo dell’evoluzione, si dovrebbe parimenti affermare che esso farebbe ogni cosa senza sapere di fare nulla, e soprattutto senza saper fare nulla.

    Concludiamo quindi, a valle di questo ragionamento, che la logica ha ritrovato il proprio posto: l’evoluzionismo è impossibile, non rispecchia la realtà, ed è un prodotto della filosofia anticristiana, atta solamente a scalzare dalle menti umane l’esistenza di Dio.


    1. A.M. LEPICIER, L’opera dei sei giorni secondo la tradizione e la scienza, parte seconda, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1904, p. 86.
    2. A.M. LEPICIER, L’opera dei sei giorni secondo la tradizione e la scienza, parte seconda, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1904, pp. 80-81.
    3. P. PARENTE, A. PIOLANTI, S. GAROFALO, Dizionario di Teologia Dommatica, EFFEDIEFFE, Viterbo, 2018, p. 214.
    4. Su questo punto, si potrebbe discutere, ampliamente, soprattutto in ambito cosmologico e astrofisico, dove la posizione dei pianeti e delle stelle è accurata, garantendo un equilibrio assolutamente illogico che sarebbe turbato in maniera tragica, qualora si registrasse anche una impercettibile variazione nella dinamica dei corpi celesti. Si pensi ad esempio alla Luna, la cui posizione esatta e massa complessiva sono grandezze fisiche vitali per la dinamica delle maree terrestri e della vita umana sul pianeta Terra.
    5. Ad esempio, l’astrofisico Stephen Hawking, paladino dell’ateismo che dogmatizza, con tono cattedratico, la scienza come nuovo dogma universale nella gnoseologia, si rifiuta categoricamente di coinvolgere la metafisica nella sua cosmologia, escludendo Dio dal disegno del cosmo. Tuttavia, nel suo lavoro sulla singolarità associata al “Big Bang”, lui stesso riconosce un punto di inizio dell’universo. Ma se ha avuto un inizio, non si può avere avuto una serie infinita.
    6. Si consideri, ad esempio, il modello di Ising per i materiali ferromagnetici, oppure il principio di esclusione di Pauli.

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