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La Chiesa si prepara al Sinodo tra silenzio e divisione

Alla vigilia dell'assise che si aprirà il 4 ottobre prevalgono deficit di informazione nel (pur esaltato) "Popolo" e polarizzazione tra gli addetti ai lavori. Manca una settimana esatta, ma gli effetti si vedono già e non sono buoni.

di Stefano Fontana – lanuovabq.it

Il prossimo 4 ottobre si aprirà la prima assemblea del Sinodo sulla sinodalità: la seconda si terrà nel 2024. Ci si sta chiedendo cosa sarà questo sinodo e cosa capiterà alla Chiesa. Al riguardo si leggono tante risposte. Oltre a chiedersi giustamente cosa ne sarà del Sinodo, forse può essere di aiuto anche considerare quale sia lo stato della Chiesa nell’affrontarlo: come si presenta la Chiesa all’appello del Sinodo? È sicura di sé? Ha le idee chiare? È fiduciosa? Vi arriva con una teologia solida? Vi arriva con un magistero chiaro? Se queste condizioni ci fossero, non ci sarebbe bisogno del Sinodo, diranno alcuni. Se queste condizioni non ci fossero, un sinodo sarebbe molto pericoloso, diranno altri. In ogni caso cercare di chiarire in via preventiva la situazione della Chiesa alla vigilia del Sinodo non è tempo perso. 

La prima constatazione da fare è il silenzio sul Sinodo. Intendiamoci, gli addetti ai lavori ne hanno parlato e ne parlano molto. Sono usciti numeri di riviste specializzate completamente dedicati al Sinodo. Però ci si chiede se il popolo cattolico nei suoi grandi numeri sappia che ci sarà il Sinodo, sia consapevole di cosa si tratterà e, soprattutto sia a conoscenza dei gravi problemi sul tappeto. I numeri del coinvolgimento del popolo cristiano nella fase preparatoria dell’ascolto sono molto bassi. C’è un deficit di informazione (e quindi di partecipazione) che stona con l’enfasi sulla sinodalità. Nelle parrocchie, del Sinodo non si sente parlare. Le omelie non vi accennano. Si dice che il tema è evitato sistematicamente nei colloqui tra sacerdoti e nelle riunioni diocesane. Anche i vescovi, quantomeno nella loro maggioranza, tacciono sul tema e nessuno sa come la pensino.

Questo silenzio inquieta non poco e ci parla di una Chiesa incerta e titubante, con una grande massa grigia, che subisce l’evento senza comprensione e senza convinzione. Se dal Sinodo dovessero uscire scelte sconcertanti, forse gran parte di questo popolo del silenzio non ne direbbe niente, come non ha detto niente dopo Amoris laetitia, ma potrebbe anche essere che questo silenzio preluda ad una resistenza passiva e che già oggi possa essere considerato tale. Questa “Chiesa del silenzio” potrebbe allora parlare, almeno con i fatti se non con le parole.

Possiamo far rientrare in questa zona del silenzio anche il proliferare delle parole-slogan che coprono con un manto di stanca e ripetitiva abitudine le questioni sinodali. Le espressioni sono sempre le stesse, dal discorso di Francesco del 2015 nel cinquantesimo anniversario della costituzione del Sinodo dei vescovi fino all’Instrumentum laboris di quest’anno: processo, stile di vita, camminare insieme, ascolto, consenso … Sono parole che non parlano, per eccessivo abuso. 

Se, parlando del silenzio, abbiamo accennato ad una Chiesa incerta e titubante, osservando invece il mondo dei “competenti” troviamo una Chiesa molto divisa. Per competenti mi riferisco a cardinali e vescovi che intervengono pubblicamente sull’argomento sia a favore che contro lo spirito del Sinodo, i teologi, i giornalisti, gli intellettuali cattolici e tutto il mondo che pubblica in continuazione sui blog e sui social. Qui la contrapposizione è molto forte e conferma che il Sinodo, così come è stato pensato, non sarà solo un sinodo, ma si propone come radicale cambiamento della vita della Chiesa. È come se fossimo davanti ad un aut aut. A colpire e ad animare lo scontro è la convinzione realistica che questo Sinodo, non trattando di temi particolari ma della sinodalità come aspetto di tutta la Chiesa, potrebbe essere rivoluzionario e accendere un grande incendio a danno della tradizione.

Abbiamo così Conferenze episcopali che si richiamano all’ordine l’un l’altra, come quella polacca e quella tedesca. Abbiamo cardinali che considerano la sinodalità come un «incubo tossico» (Pell), che dicono di pregare ogni giorno perché il Sinodo non si tenga (Burke) o che la Chiesa è sul bordo di un precipizio (Müller). Altri cardinali, invece, annunciano che già da ora benediranno coppie omosessuali in chiesa (Marx), auspicando che il Sinodo lo preveda come possibilità stabile. Ci sono cardinali che si ritirano dal Sinodo, recedendo dalla nomina (Ladaria), e vescovi che annunciano di non applicare eventuali decisioni del Sinodo contrastanti con la tradizione (Strikland) e, minacciati, dichiarano che non si dimetteranno di propria volontà, suscitando l’apprezzamento di alti prelati (Müller, Viganò). Ci sono anche gruppi di fedeli che scrivono al Papa e gli chiedono di fermarsi.

Nel frattempo, c’è la guerra tra le riviste teologiche. Quelle dei Gesuiti, non solo italiane, spingono celermente per la riforma. Quelle del “centro moderato” si dedicano ad approfondire il concetto di sinodalità sostenendo che finora non è stato ancora chiarito. In questo modo cercano di rallentare il processo. Quelle della tradizione approfondiscono criticamente il rapporto tra sinodalità, collegialità e conciliarità, arrivando quindi anche al Vaticano II.

Bisogna riconoscere che il prossimo Sinodo ha già prodotto degli effetti, ancora prima di iniziare. I codici comunicativi si sono complicati, gli animi si sono riscaldati e le contrapposizioni sono aumentate. La Chiesa è più divisa. Non è un buon risultato preventivo. 

E la Bussola organizza proprio alla vigilia dell’apertura del Sinodo un convegno internazionale a Roma sui nodi principali che stanno dietro a questa assemblea. Nell’occasione sarà anche presentata la nuova rivista di formazione apologetica La Bussola mensile

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