La scena della processione al Monte Oliveto narrata nella Liberata del Tasso descrive con particolare delizia un rito liturgico; in quasi 500 anni quel rito non era mutato.
La nostra letteratura è piena di riferimenti religiosi, essendo nata in un contesto culturale profondamente cristiano. Ritengo personalmente che siano meravigliose le descrizioni dei riti e delle celebrazioni nelle pagine che leggiamo: del resto, questi autori avevano la possibilità, anche se non credenti, di poter vedere coi propri occhi tutta la bellezza della liturgia cattolica.
Il brano qui presentato è tratto dal canto XI della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Il contesto è quello dell’assalto alle mura della città santa da parte dei crociati cristiani guidati da Goffredo di Buglione. Il poeta prende spunto, come è noto, dalle cronache narrate da Guglielmo di Tiro, per costruirvi poi sopra un poema verisimile.
Le truppe sono accompagnate da un profetico e carismatico cappellano militare, Pietro l’eremita. La sua presenza è fondamentale per lo svolgimento della trama. Leggiamo le ottave 2-15.
II
Sia dal Cielo il principio; invoca avanti,
Nelle preghiere pubbliche e devote,
La milizia degli Angioli e de’ Santi,
Chè ne impetri vittoria ella che puote.
Preceda il Clero in sacre vesti, e canti
Con pietosa armonia supplici note:
E da voi duci gloriosi e magni
Pietate il volgo apprenda, e v’accompagni.
III
Così gli parla il rigido Romito:
E ’l buon Goffredo il saggio avviso approva.
Servo, risponde, di Gesù gradito,
Il tuo consiglio di seguir mi giova.
Or mentre i duci a venir meco invito,
Tu i Pastori de’ popoli ritrova
Guglielmo ed Ademaro: e vostra sia
La cura della pompa sacra e pia.
IV
Nel seguente mattino il Vecchio accoglie
Co’ duo’ gran sacerdoti altri minori,
Ov’entro al vallo tra sacrate soglie
Soleansi celebrar divini onori.
Quivi gli altri vestir candide spoglie:
Vestir dorato ammanto i duo Pastori,
Che bipartito sovra i bianchi lini
S’affibbia al petto, e incoronaro i crini.
V
Va Pietro solo innanzi, e spiega al vento
Il segno riverito in Paradiso:
E segue il coro a passo grave e lento,
In due lunghissimi ordini diviso.
Alternando facean doppio concento
In supplichevol canto, e in umil viso,
E, chiudendo le schiere, ivano a paro
I Principi Guglielmo ed Ademaro.
VI
Venia poscia il Buglion, pur come è l’uso
Di Capitan, senza compagno a lato.
Seguiano a coppia i Duci, e non confuso
Seguiva il campo a lor difesa armato.
Sì procedendo se n’uscia del chiuso
Delle trinciere il popolo adunato.
Nè s’udian trombe, o suoni altri feroci,
Ma di pietate e d’umiltà sol voci.
VII
Te Genitor, te figlio eguale al Padre,
E te che d’ambo uniti amando spiri:
E te, d’uomo e di Dio, Vergine Madre
Invocano propizia ai lor desiri.
O Duci, e voi, che le fulgenti squadre
Del Ciel movete in triplicati giri.
O Divo, e te, che della diva fronte
La monda umanità lavasti al fonte.
VIII
Chiamano e te, che sei pietra e sostegno
Della magion di Dio fondata e forte:
Ove ora il novo successor tuo degno
Di grazia e di perdono apre le porte.
E gli altri messi del celeste regno,
Che divulgar la vincitrice morte.
E quei che ’l vero a confermar seguiro,
Testimonj di sangue, e di martiro.
IX
Quegli ancor, la cui penna, o la favella
Insegnata ha del Ciel la via smarrita:
E la cara di Cristo e fida ancella,
Ch’elesse il ben della più nobil vita:
E le vergini chiuse in casta cella,
Che Dio con alte nozze a se marita:
E quelle altre magnanime ai tormenti,
Sprezzatrici de’ Regi, e delle genti.
X
Così cantando, il popolo devoto
Con larghi giri si dispiega e stende:
E drizza all’Oliveto il lento moto,
Monte che dalle olive il nome prende:
Monte per sacra fama al mondo noto,
Ch’oriental contra le mura ascende:
E sol da quelle il parte e ne ’l discosta
La cupa Giosafà che in mezzo è posta.
XI
Colà s’invia l’esercito canoro,
E ne suonan le valli ime e profonde,
E gli alti colli, e le spelonche loro,
E da ben mille parti Eco risponde:
E quasi par che boscareccio coro
Fra quegli antri si celi, e in quelle fronde;
Sì chiaramente replicar s’udia
Or di Cristo il gran nome, or di Maria.
XII
D’in sulle mura ad ammirar frattanto
Cheti si stanno, e attoniti i Pagani
Que’ tardi avvolgimenti, e l’umil canto,
E le insolite pompe, e i riti estrani.
Poi che cessò dello spettacol santo
La novitate, i miseri profani
Alzar le strida; e di bestemmie e d’onte
Muggì il torrente, e la gran valle, e ’l monte.
XIII
Ma dalla casta melodia soave
La gente di Gesù però non tace:
Nè si volge a que’ gridi, o cura n’have
Più che di stormo avria d’augei loquace.
Nè perchè strali avventino, ella pave
Che giungano a turbar la santa pace
Di sì lontano; onde a suo fin ben puote
Condur le sacre incominciate note.
XIV
Poscia in cima del colle ornan l’altare
Che di gran cena al sacerdote è mensa:
E d’ambo i lati luminosa appare
Sublime lampa in lucid’oro accensa.
Quivi altre spoglie, e pur dorate e care,
Prende Guglielmo, e pria tacito pensa:
Indi la voce in chiaro suon dispiega,
Se stesso accusa, e Dio ringrazia e prega.
XV
Umili intorno ascoltano i primieri:
Le viste i più lontani almen v’han fisse.
Ma poichè celebrò gli alti misteri
Del puro sacrifizio: itene, ei disse:
E, in fronte alzando ai popoli guerrieri
La man sacerdotal, gli benedisse.
Allor sen ritornar le squadre píe
Per le dianzi da lor calcate vie.
Il rito che viene celebrato è tratteggiato in maniera lucidissima: vengono cantate innanzitutto le litanie dei Santi e inizia la processione (ottava 2), con i vescovi Guglielmo e Ademaro (3), i quali vestono piviale bianco e mitria (4). La processione è aperta da Pietro, che svolge il ruolo di crocifero (5).
La grande preghiera litanica inizia con l’invocazione della Santissima Trinità, poi della Vergine Maria, degli Angeli, di san Giovanni Battista, degli Apostoli, degli Evangelisti, dei Dottori, la Maddalena, le vergine e/o martiri (7-9). La processione ha ormai raggiunto il Monte degli Olivi.
Si fa sempre più deciso il contrasto tra il mondo del peccato rappresentato dall’Islam e la santità dell’esercito crociato, che si prepara alla Messa. Il vescovo Guglielmo indossa altri paramenti (toglie il piviale e veste la casula, 14), comincia la Liturgia dove è ben descritto il Confiteor (14). Seguendo il testo del Messale tradizionale congeda con l’Ite missa est e impartisce poi la benedizione (15).
Tasso completa la redazione di quest’opera nel 1575: è da poco finito il Concilio di Trento e Gregorio XIII ha indetto un giubileo («e te che sei pietra e sostegno / de la magion di Dio fondato e forte / ove ora il novo successor tuo degno / di grazia e di perdono apre le porte», come abbiamo letto nell’ottava 8). Scrivendo a soli cinque anni dalla promulgazione del Messale da parte di Pio V egli sa che il rito ai tempi della prima crociata (cioè la fine dell’XI secolo) era prettamente uguale ai suoi tempi. I tempi della rapida rivoluzione erano ancora lontanissimi.