Anzitutto perché è lui stesso causa delle tenebre, in quanto proprio lui ha posto ciò per cui le tenebre si sono stese sulla sua anima. In secondo luogo perché quelle tenebre lasciano sempre uno spiraglio di luce sufficiente a discernere qualcosa, almeno a dubitare, e pertanto a creare, nell’animo di chi vuole, una crisi di coscienza e cioè una indicazione per risorgere. Non dimenticatevi di questo.
Taluni non vogliono capire della Chiesa e la insultano: è perché hanno peccato e non possono più vedere. Dicono bene degli adulteri: è perché facilmente lo sono loro. Vogliono il divorzio: è perché non hanno la forza sufficiente, per colpa della vita abbracciata, a costruire una solidità familiare, o perché sono cosi vacillanti da temere di qualunque serio ed impegnativo dovere. Non vogliono le scuole colla Religione: è perché deve morire quanto condanna il loro tenore di vita. Ridono dell’ Inferno: è perché ne hanno paura. Rimenano scandali a non finire: è per essere in buona compagnia. Disprezzano tutto e tutti: è per consolarsi di non valer nulla innanzi a se stessi oltreché dinnanzi agli altri e probabilmente innanzi a Dio. Si divertono a cercare le vergogne di tutti: è perché non hanno più altra area di indagine. A costoro portate prove: che volete che vedano! Per loro, non c’è che la penitenza e la orazione degli altri a riottenere la luce.
La seconda diminuzione mentale è il pregiudizio. Il pregiudizio è quella posizione della mente in cui si dà una sentenza, si assume un criterio, si prende una direzione senza aver prima riflettuto e dimostrato, senza indagine razionale e documentazione. Cosicché, nella maggior parte dei casi, il pregiudizio coincide coll’errore e, a causa dell’errore, coll’ingiustizia, la malignità, l’oltraggio.
Il pregiudizio nasce dall’inconscio, dall’istinto, da un fatto di sentimento oppure da una atmosfera di ambiente, tradotta in fatto di sentimento. Non è razionale. Il pregiudizio, per definizione, non vuol ragionare: afferma e basta. Chi non vuol ragionare, è in stato di diminuzione mentale, perché consapevolmente mette delle barriere alla propria capacità conoscitiva e raziocinativa.
Non è neppure il caso di chiedere se nel pregiudizio la diminuzione mentale sia colpevole. La diminuzione è voluta, forse confusamente, ma è voluta, è amata e perciò è altrettanto colpevole. Naturalmente questa diminuzione mentale in un secondo momento si somma colla prima e la peggiora. Fra i Giudei ebbero dei pregiudizi quelli che vollero morto Gesù: Farisei, Sadducei ed Erodiani. Cristo doveva scomparire perché aveva dato loro torto, e la loro superbia non permetteva si ponessero neppure la questione se per caso il torto fosse vero. Essi non dovevano aver torto. Più in là non furono capaci di andare. Rimasero bloccati a quel punto: videro miracoli, sentirono la morte ritirarsi, ammirarono Lazzaro uscire dal sepolcro, fremettero di spavento per quello che provarono sul Calvario, ma non capirono nulla. Avevano dei pregiudizi e, per di più, le loro azioni erano riprovevoli. Provatevi a portare a costoro ed ai loro successori delle prove. Chi non vuole aver torto non sarà mai in grado di capire quello che non solo documenta il torto, ma anche soltanto, e magari indirettamente, si riferisce al torto. Qualunque torto per costoro è la corda in casa dell’impiccato e fa orrore.
Miei cari fedeli, vorrei invitarvi (dato che tutti siete soliti leggere, e forse taluno legge senza troppa prudenza e senso critico) a riesaminare una lunga serie di affermazioni e di fatti che si asseriscono a proposito della religione, della Chiesa, di singoli avvenimenti, e a vedere sino in fondo se si appoggiano a una documentazione. Vi accorgereste che non ne hanno e capireste che le cose asserite con leggerezza o con malizia, ma senza prove e documenti adeguati sono dei pregiudizi. Ad essi va la qualifica della diminuzione mentale.
Quando si sente dir male del prossimo, se si accetta l’insinuazione prima di aver esaurito l’inchiesta, si cade oltreché nel peccato contro la giustizia o la carità anche nel pregiudizio e scientemente si vuole la propria diminuzione mentale.