Si avvicina velocemente il S. Natale del Nostro Signore Gesù Cristo, evento di capitale importanza nell’economia della salvezza e della soteriologia della religione cattolica. Nonostante la tendenza del mondo votata alla secolarizzazione agnostica di questa solennità, degradata nel suo significato alla festa delle lucine, delle renne e dei campanellini, noi cattolici dobbiamo necessariamente riflettere sul significato di questo straordinario evento, quale ci viene presentato dalla liturgia e dalla teologia cristiana.
La seconda persona della Santissima Trinità assume la natura umana, derivata da stirpe imperfetta, per poter redimere la colpa che l’umanità aveva commesso in Adamo, suo capostipite. Delle innumerevoli dimensioni che possiamo analizzare, teologicamente parlando, dell’incarnazione del Verbo, una in particolare viene passata sempre in sordina.
Si parla spesso di filiazione divina, senza però soffermare l’attenzione sulla questione relativa al rapporto di questo concetto con l’umanità di Cristo.
Cristo è, anche in quanto uomo, il Figlio naturale di Dio.
De fide (massimo grado di certezza teologica)
Verso la fine del VIII secolo, a grande distanza cronologica dalla comparsa e successiva scomparsa del nestorianesimo (eresia che negava perniciosamente le due nature nell’unica persona divina, condannata dal Concilio di Efeso, nell’anno di Nostro Signore quattrocento trentuno), la Spagna assiste alla proliferazione dell’adozianismo, una sorta di “brutta copia” della prima eresia.
Per rispondere all’eresia di un certo Migezio, il vescovo Lipando, metropolita di Toledo, aveva risposto ponendo una doppia filiazione in Cristo: due Figli, sostanzialmente, uno naturale e uno adottivo: l’uomo Gesù era simile a noi in tutto, un puro e semplice uomo che era stato adottato dal Logos.
Si tratta di sapere, perciò, se Cristo, non solo secondo la natura divina, ma anche nella natura umana sia Figlio naturale di Dio.
Per poter rispondere, possiamo ricorrere ai Padri, i quali non sanno e non parlano che di un solo Figlio di Dio. Questo fatto si verifica non solo dopo la controversia nestoriana (dove Nestorio, vescovo, aveva distinto tra assumente e assunto, spezzando l’unione ipostatica in maniera crudele), ma anche prima abbiamo sempre univocità in questo verso: il Figlio di Dio è uno, e possiede pienamente due nature. S. Agostino dice: «Leggi a fondo la Scruttura, tu non troverai mai che sia detto di Cristo che Egli è il Figlio di Dio per adozione».
La Scrittura, poi, chiama Colui che è nato eternamente dal Padre e Colui che è nato nella carne da Maria alla stessa stregua: «Figlio dell’Altissimo», «mio Figlio prediletto», «suo Figlio unico»: non ci sono due Figli di Dio, ma uno solo, perché della persona si esprime la filiazione, non della natura.
Anche razionalmente, infine, non possiamo pensare di negare a Cristo la filiazione divina naturale in quanto uomo.
Non si può avere una natura senza una persona che la possegga, per cui è metafisicamente impossibile concepire una natura impersonale. La natura umana di Cristo non può per sé ed in sé ricevere il nome di “Figlio”, ma solamente la persona può.
La ragione ultima e fondamentale della filiazione di Cristo, anche secondo la sua natura umana, sta nella generazione eterna dal seno del Padre.
Non si può adottare che una sola persona, che possiede la natura umana e la natura divina, il Figlio che secondo entrambe le nature è Figlio naturale di Dio.