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Il sacrilegio della comunione sulla mano

Una pratica gravissima da dover respingere a tutti i costi: ecco il perchè.

di Edoardo Consonni

La aberrante pratica della comunione sulla mano ha raggiunto delle proporzioni da mausoleo. Come una malattia indomita, questa prassi è divenuta uno dei capisaldi della sponda modernista della Chiesa, e per farlo si è servita della Chiesa stessa. Cominciamo il nostro viaggio esplicativo, con uno smantellamento progressivo delle ragioni di questa pratica, ormai formalizzata ed attuata da una grande quantità di persone.

Cosa dice la tradizione

Gira voce che nei primi dieci secoli della Chiesa Cattolica, le modalità di accostamento alla SS.ma Eucaristia fosse regolarizzata dal ricevere in piedi, con il pane consacrato sulla mano del fedele, senza alcuna reverenza antecedente. Ovviamente, questa versione è falsa.

S.Ippolito (II-III sec) scrisse: “Stia attento, ciascuno che qualche frammento non abbia a cadere e perdersi, perchè è il corpo di Cristo”.

Origene (185-254), S.Dionigio d’Alessandra (morto nel 264), S.Efrem (306-375), S.Damaso I (che fu Papa dal 366 al 384), S.Cirillo di Gerusalemme (315,386), S.Girolamo (345-420), S.Innocenzo I (che fu Papa dal 401 al 417). Perfino ai tempi di S.Leone I (440-461), i fedeli si comunicavano sulla lingua.

Per non parlare dei Concili, tra cui menzioniamo il Concilio di Saragozza (380). Il Concilio di Rouen (650 circa) sancisce la ricezione della SS.ma Eucaristia esclusivamente sulla lingua. Il Concilio di Costantinopoli (692) PROIBISCE la ricezione sulla mano. Segue poi il Sinodo di Rouen, con il quale si decreta che fosse esclusivamente il Celebrante a deporre la SS.ma Eucaristia sulla lingua del fedele.

Passando al periodo medievale e post-medievale, ci si rifà al dottore della Chiesa S.Tommaso d’Aquino, che giustifica la prassi, divenuta globale, di conferire tale Sacramento in bocca al fedele. La trattazione della Eucaristia effettuata nella Summa Theologiæ rispecchia la pratica, collegata alla natura sacramentale del soggetto analizzato. Dopodichè, si giunge al Concilio di Trento.

Nella parte seconda del Catechismo del Concilio di Trento, dal n.207 al n.238, i padri conciliari trattano in maniera rigorosa atque coscienziosa tutta la semantica ontologica a assiologica relativa al Sacramento in esame.

Al n.234, leggiamo esplicitamente:

“Sebbene nessuno ne sia all’oscuro, trattiamo ora del ministro, tanto per non tralasciare nulla di quel che si riannoda a questo sacramento. Insegneranno i Parroci che soltanto i sacerdoti hanno la potestà di consacrare l’Eucaristia e di distribuirla ai fedeli. Sempre – insegna il Concilio di Trento – è stata nella Chiesa osservata la consuetudine, che il popolo riceva i sacramenti dai sacerdoti, mentre questi si comunichino da se durante la celebrazione, consuetudine che il Concilio fa risalire agli Apostoli. Esso ordina di osservala religiosamente (Sess. XIII, cap. VIII, can.X), massime perchè Gesù Cristo ce ne ha lasciato chiarissimo esempio, avendo egli stesso consacrato il suo corpo per poi distribuirlo con le sue mani agli Apostoli (Matt. XXVI, 26; Marc. XIV, 22).

Al fine di rilevare con ogni mezzo la dignità di tanto sacramento, non solo è riservata ai sacerdoti la potestà di amministrarlo, ma è proibito, per legge ecclesiastica, a chi non è negli Ordini Sacri di toccare o trattare i vasi sacri, i corporali e tutta la suppellettile necessaria per la consacrazione, salvo il caso di grave necessità. Cosí i sacerdoti e i fedeli intenderanno come debbano essere religiosi e santi coloro cui spetta consacrare, amministrare, o ricevere la santissima Eucaristia[…]”.

[Catechismo del Concilio di Trento, parte seconda, n.234, “Il ministro dell’Eucaristia”]

Non a caso, quasi consentaneo la promulgazione di questo testo catechistico, il santo padre S.Pio V promulga il Rito Tridentino, dove l’Eucaristia si riceve esclusivamente in ginocchio dal sacerdote che la somministra. Le ragioni di questa presa di posizione sono molteplici, ma prima tra tutte occorre ricordare che il miracolo della Transunstanziazione si compie esclusivamente per mano del sacerdote. Il sacerdote è ontologicamente (e sostanzialmente) elevato rispetto al laico. Egli è infatti alter-Christus nel corso della celebrazione, nonostante la forma sia quella di un uomo. il sacerdote ha le mani consacrate, e questa è condizione necessaria per poter trattare il corpo di Cristo. La transustanziazione è una azione che si compia ad opera della Spirito Santo, ma che utilizza uno strumento degno di attuazione del miracolo, e questo strumento è il sacerdote. Ora, per quale motivo paralogico, il fedele dovrebbe avere diritto a toccare il Corpo di Cristo, viste tutte queste considerazioni? La risposta non è da ricercare in filosofemi di prototeologi neomodernisti, nè tantomeno nei testi del concilio (che tra l’altro non ha mai concesso tale pratica, era fuori da ogni logica anche per i padri vaticansecondisti). La risposta vera è che non esiste una giustificazione.

La pratica della comunione sulla mano veniva praticata dagli ariani, che non riconoscono la presenza reale di Cristo sotto le specie eucaristiche. Gli ariani, come i protestanti, sono eretici, perciò fuori dalla comunione con la Chiesa di Cristo, perciò rei di dannazione eterna.

Dovremmo fare un ragionamento più profondo, e cioè valutare cosa ci sia dietro questa pratica. Si rende necessario scoprire il messaggio vero che la comunione sulla mano possa trasmettere.

A tal fine, si ricorda præsertim che L’Eucaristia necessita di due tipi di adorazione: una adoratio interna, una adoratio externa.

La prima si presenta come quella capacità del fedele cattolico di attingere alla profondità del proprio essere, per poter predisporre nonchè porre continuamente la propria anima alla adorazione, riconoscimento e contemplazione del corpo di Cristo, presente per ragioni soprannaturali sotto le specie del pane. Questo complesso eterogeneo si identifica con la perifrasi “Atteggiamento di adorazione e raccoglimento”.

La seconda, invece, la cui la natura ormai relittica ne preclude la visibilità, è andando via via eclissandosi nella Messa nuova (e chi apriremmo un secondo vaso di pandora del diametro di qualche terametro, ma non è questo il momento propizio). Il linguaggio semiotico del corpo è fondamentale nel momento della adoratio. L’atteggiamento di riverenza, rispetto, adorazione che si deve nei confronti della Eucaristia non è importante. È fondamentale. Se vi comparisse di fronte Cristo, voi stareste in piedi? Chi oserebbe farlo? Nessuno. Perchè il linguaggio del corpo, congiunto con quello dello spirito, deve trasmettere riverenza. Per questa ragione, ci si segna con il simbolo di una croce prima di pregare; ci si segna alla lettura del Vangelo durante la S.Messa, alle parole Gloria Tibi Domine. Ergo, ricevere la SS.ma Eucaristia in piedi è già segno di irriverenza, di mancanza di attenzione per la adoratio externa. Figurarsi prendere il corpo di Cristo sulla propria mano, non consacrata, magari sporca e passata nella tasca qualche momento prima. Il trattamento riservato al viatico viene appiattito a quello rivolto al cibo mondano: la particola consacrata riceve lo stesso trattamento di una patatina o di un confetto. E secondo voi, Cristo ne è contento?

Addentrandoci ora nel succo del discorso occorre notare questo: la pratica della comunione sulla mano è parte integrante di un progetto di lunghissima data, partito con Paolo VI e arrivato fino al giorno attuale. Trattiamo, infatti, il concetto del sacerdozio post-conciliare. Vedremo come questo argomento ingloba in maniera quasi ovvia la pratica in esame.

Dopo il Concilio Vaticano II, subentra nella Chiesa l’idea del sacerdozio modulare. Paolo VI rafforza questo concetto a più riprese, sottolineando come e i Ministri e il popolo di Dio facciano parte di un unico sacerdozio. Una idea sbagliata, ovviamente, ma ben alimentata anche nella modalità con cui la messa è evoluta dal concilio in poi. La Messa, memoriale della passione, è celebrata tanto dal sacerdote quanto dal popolo: l’unione di questi due ministeri produce la presenza reale del Cristo nella assemblea. Ora, tralasciando gli aspetti propriamente teologici di questa catastrofica visione del Sacrificio Eucaristico, quello che si evidenza è il processo di legittimazione della elevazione ontologico-sacerdotale del fedele, che diventa egli stesso degno di trattare Cristo come un ordinato. I chierichetti possono toccare e manipolare i vasi sacri, gli atti penitenziali sono condensati (non esiste più il distacco tra sacerdote e popolo), chiunque può transitare nel presbiterio, i laici possono salire a leggere. Sopratutto, essendo il fedele sacerdote, egli diventa degno di toccare il Corpo di Cristo. Ecco svelato l’arcano. L’apparato post-modernista traina tutta la rivoluzione della ricezione di tale sacramento.

Ora. Di fronte a tale analisi, qualcuno potrebbe rimproverare il fatto che siamo “chiusi nel passato”, ancorati a forme arcaiche e ormai sostituite. Dimenticano tuttavia, i fastidiosi e ronzanti mosconi modernisti, che innanzitutto il precetto della Chiesa relativo alla dottrina dei sacramenti è quello della immutabilità, non della evoluzione: questo vale sia per i precetti pertinenti la sostanza dei sacramenti, quanto per la modalità di conferire gli stessi, e da chi possono essere diretti. La forma può cambiare? Certamente, ma deve essere vincolata alla dignità e alla natura del Sacramento. Prima il matrimonio era un consenso e basta, adesso è ascritta anche una Messa. Cambia la forma, ma la sostanza non muta: lo sposalizio si verifica nella sua immutabile natura. Nel caso della Comunione sulla mano, non è cosí. Questo concetto del “rimanere fermi a tutti i costi”, di elaborazione paolina, è un caposaldo della vita esistenziale ed essenziale della Chiesa. La mutabilità aprioristica non può essere tollerata, se essa è in contrasto con ciò che l’ha generata. Ecco perchè non basta la giustificazione: “la Chiesa lo consente, quindi sono a posto e lo faccio”, perchè noi rispondiamo cosí:

  1. Rimettere obiezione di coscienza, senza discernimento interno, è un grave peccato condannato dalla Chiesa
  2. Qualora una legge fosse formulata in maniera erronea nonchè contraria all’insegnamento bimillenario della Chiesa, è lecito seguire la novità per rigettare il vecchio?
  3. Dopo le considerazioni fatte in precedenza, è normale pensare ancora che la ricezione della Eucaristia sulla mano sia lecita? Se si, quali argomenti teologici si possono perpetrare contro tali dottrine, formulate da Santi Dottori, dagli apostoli stessi e dai Santi Papi?

Pensiamoci bene, e riflettiamo: l’Eucaristia non è un gioco. Rigettiamo questa pratica riluttante, e riceviamo in maniera degna Nostro Signore Gesù Cristo!

Ecclesia Dei

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