La Via Crucis è un pio esercizio officiato sempre con devozione dal popolo cristiano. Anzitutto, bisogna notare che essa non è un rito liturgico, vale a dire che non è regolata dai libri liturgici, quindi è priva di rubriche. In tal senso, quindi, si può usare una certa libertà, e ci proponiamo così di offrire quella che è secondo noi la forma migliore.
Quel che è certo è che la Via Crucis di una chiesa, per poter lucrare le indulgenze, deve essere canonicamente eretta da un cardinale, da un vescovo anche titolare o da sacerdote dei Frati minori (entro questa accezione si annoverano soltanto i Frati minori propriamente detti, ovvero il ramo cui papa Leone XIII, riprendendo quanto già detto dal suo predecessore Leone X, assegnò nel 1897 la preminenza sui Conventuali e sui Cappuccini; sono quindi assolutamente esclusi, non essendo neppure esistenti all’epoca della proclamazione dell’indulgenza, nuovi istituti come i Frati francescani del Rinnovamento o quelli dell’Immacolata). Secondo quanto previsto dal Rituale, la benedizione deve avvenire così:
Il celebrante si para in cotta e stola viola. Dopo aver tenuto un sermone, intona in ginocchio l’inno Veni, Creator Spiritus, seguito dal versetto e tre orazioni. Vengono poi benedette, asperse e incensate le 14 tavole. Se possibile si compie poi una processione al canto del Vexilla regis e dello Stabat Mater. Vengono poi poste le tavole sul muro e passate in rassegna. Si canta poi il Te Deum, un’orazione e si conclude con la benedizione con la croce.
Con la Via crucis canonicamente eretta, si può quindi celebrare il pio esercizio. Non essendo una celebrazione, il sacerdote non è tenuto ad indossare né cotta né stola. Tuttavia, se volesse farlo, mi pare opportuno che in rito romano si usi una stola viola per i venerdì (di Quaresima e durante l’anno), nera il venerdì santo, oppure sempre rossa nel rito ambrosiano. Davanti alle singole stazioni è consuetudine cantare il versetto Adoramus te Christe dopo aver enunciato il titolo del mistero. È bene che accanto alla croce, portata sempre da un chierico in veste e cotta o da un confratello in abito, si portino due candele; il baldacchino pare eccessivo e poco pratico, specie all’interno della chiesa. Quanto al resto, meditazioni, Pater, Ave, Gloria da dirsi ad ogni stazione è lasciata libertà. Convenientemente si conclude con una predica e, all’altar maggiore, con la benedizione. Nel caso in cui la si volesse impartire con una reliquia della Santa Croce è necessario preparare l’occorrente (piviale e stola rossi, incenso e facoltativamente velo omerale).
In molti luoghi, la Via crucis, soprattutto al venerdì santo, è diventata la fiera dell’assurdo: raramente si contemplano tutte le stazioni, si pone l’accento su tutt’altro, leggendo (mirabile dictu, ma purtroppo reale) scritti anche di autori acattolici come il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, diari di vescovi cari ad alcune istanze sociali come Monsignor Antonio Bello o di padri conciliari come Monsignor Carlo Ferrari, o addirittura cose anonime come i titoli delle giornate della pace.
È vero quindi che la Via crucis non è codificata, ma bisogna sforzarsi di orientare le devozioni popolari, i pii esercizi e le pratiche non rubricate verso quella che è la liturgia e la sua Tradizione.
Bibliografia
- L. Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, Genova – Milano, Marietti, 2007, p. 611.
- A. Piscetta – A. Gennaro, Sommario di teologia morale, Torino, Società Editrice Internazionale, 1952, p. 678.
- Rituale Romanum, Appendix, Benedictiones propriæ nonnullorum Ordinum, 1 (IX, XI, 1).