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La novena di Natale: analisi delle Antifone Maggiori

Una delle parti sicuramente più interessanti e suggestive della novena di Natale è rappresentata dalle Antifone Maggiori di Avvento, dette anche "Antifone O" per via dei vocativi iniziali.

Una delle parti sicuramente più interessanti e suggestive della novena di Natale è rappresentata dalle Antifone Maggiori di Avvento, dette anche “Antifone O” per via dei vocativi iniziali. Attualmente abbiamo sette antifone, generate in un periodo probabilmente contemporaneo o immediatamente posteriore al pontificato di San Gregorio Magno, morto nel 604, ma altre antifone vennero aggiunte al nucleo originario in luoghi e momenti differenti, poi gradualmente cadute in disuso. Nella liturgia tradizionale, le Antifone Maggiori sono preposte al Magnificat dal 17 al 23 dicembre, mentre nella liturgia riformata sono inserite anche come versetto alleluiatico nelle medesime Ferie Maggiori. La novena di Natale, essendo una devozione paraliturgica, modellata sul modello dei Vespri, propone le Antifone proprio per il Magnificat.

Una curiosità: mettendo insieme le prime lettere di ogni antifona, successive ovviamente al vocativo “o”, dalla settima alla prima antifona, si ottiene la frase “Ero cras”, cioè “Domani ci sarò”, che ci risveglia nell’imminenza dell’arrivo del Signore e Redentore nostro. Egli è indicato con degli appellativi tipici dell’Antico Testamento, e ciò ribadisce l’intima unione intrinseca della Santissima Trinità, e dunque che Gesù non è un semplice profeta né un agitatore sociale e culturale, ma “Il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16), e Dio Egli stesso.

Passiamo ora alle antifone, vedendole più nel dettaglio.

17 dicembre

“O Sapientia, quae ex ore Altissimi prodisti, attingens a fine usque ad finem, fortiter suaviter disponensque omnia: veni ad docendum nos viam prudentiae.”

O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo ed arrivi ai confini della terra, e tutto disponi con dolcezza: vieni ad insegnarci la via della prudenza.

Richiami alla Sapienza in questi termini si hanno nel Siracide (Sir 24, 5) e nella Sapienza (Sap 8, 1), ma più interessante ed esplicativo è vedere come sono contrapposte, all’inizio e alla fine dell’antifona, la componente divina e umana di una stessa realtà. La sapienza in Dio diventa Sapienza, anzi, Egli stesso è la Sapienza increata, e si rivela agli uomini mediante Gesù Cristo. Il Signore Gesù, che è Dio e dunque Sapienza, rivela il Padre mostrando la via che conduce a Lui, la “via della prudenza”. L’uomo, nella sua finitudine, non può sperare in questa vita di raggiungere l’ideale massimo di Sapienza, ma può perfezionarsi sino alla Prudenza, che è il massimo grado di sapienza umana. Un riferimento pagano: lo stesso Aristotele distinse tra saggezza e prudenza (o sapienza), la prima riferita a tutti gli uomini, la seconda appartenente ai filosofi. Ma Cristo, che fa nuove tutte le cose, rende capaci di Prudenza in primis i semplici, figurati dai bambini: “Sinite parvulos venire ad me” (Mc 10, 14).

18 dicembre

“O Adonai, et dux domus Israël, qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti, et ei in Sina legem dedisti: veni ad redimendum nos in brachio extento.”

O Adonai, e condottiero di Israele, che sei apparso a Mosè tra le fiamme, e sul Sinai gli donasti la legge: redimici col tuo braccio potente.

Qui l’appellativo è in ebraico, “Adonai”, cioè Signore. La signoria di Cristo, resa tangibile dalla ferma fede che nel roveto ardente e sul Sinai era presente la Santissima Trinità tutta intera, senza disgiunzioni, si realizza ancora di più mediante una delle più tradizionali prerogative regie, il legiferare. E le Leggi di Dio, i comandamenti, sono propedeutici alla salvezza delle anime. Ma c’è anche il lato bellico: il Signore è chiamato “dux”, cioè comandante militare, e nel VII secolo anche civile. Questo ci ricorda che il cristiano, per giungere alla meta celeste, deve imbracciare le armi contro le potenze di questo mondo, addossarsi la propria croce e mettersi alla sequela di Cristo.

21 dicembre

“O Oriens, splendor lucis aeternae, et sol justitiae: veni, et illumina sedentes in tenebris, et umbra mortis.”

O astro che sorgi, splendore di luce eterna e sole di giustizia: vieni ed illumina chi è nelle tenebre, e nell’ombra della morte.

Il Signore sorgerà come il Sole, da Oriente, ma la sua luce sarà una luce eterna, non dettata da condizioni fisiche, ma accesa per proprietà intima di Dio. Ed è questa luce che dissiperà le tenebre del carcere del peccato e dell’ombra della morte, la luce della Risurrezione gloriosa, con cui Cristo trionfò sul male. Il topos della Luce viene mirabilmente presentato nel Prologo del Vangelo di Giovanni.

22 dicembre

“O Rex Gentium, et desideratus earum, lapisque angularis, qui facis utraque unum: veni, et salva hominem, quem de limo formasti.”

O Re delle Genti, da loro bramato, e pietra angolare, che riunisci tutti in uno: vieni, e salva l’uomo, che hai plasmato dal fango.

Cristo è Re di diritto divino, Re delle nazioni, che da Lui aspettano un cenno. Ciò comporta l’unione intima dei battezzati in Cristo a Lui e tra di loro, e cioè la Chiesa, e cioè la Comunione dei Santi. Cristo viene a farci santi, non perfetti, perché saremmo dèi, ma uomini che, lavati dal peccato, si adoperano con tutte le forze e l’amore a seguire i dettami del Vangelo e di Dio. Infatti, “Chiunque fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 50). Anche qui si ritrova ribadita l’identità tra il Dio del Vecchio Testamento, manifestatosi singolarmente, e la Santissima Trinità, nella pienezza della Redenzione e della Grazia e, dunque della conoscenza di Dio: il Verbo di Dio, il Figlio, ha cooperato insieme con lo Spirito Santo alla creazione dell’uomo dal fango: ricordiamoci sempre che noi siamo un nulla senza Dio, e che Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, paradigma dell’Amore Celeste, si è fatto torturare e uccidere per un po’ di fango impastato, che ha addirittura l’ardire di bestemmiarLo.

23 dicembre

“O Emmanuel, Rex et legifer noster, expectatio gentium, et Salvator earum: veni ad salvandum nos, Domine, Deus noster.”

O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza delle genti, e loro Salvatore: vieni e salvaci, Signore, nostro Dio.

L’ultima antifona racchiude e spiega tutte le altre. In primo luogo, si riferisce al Signore come Emmanuele, “Dio con noi”, spiegando che l’attesa per la venuta di Cristo ormai sta scadendo e, a lungo termine, profetizza la materiale vicinanza di Dio in ogni momento della nostra vita; nel tabernacolo c’è Gesù Cristo vivo e vero, un cuore amante che palpita d’amore e agonizza per l’uomo, ma il Dio con noi è abbandonato sempre più a se stesso, e ci si dimentica del significato della presenza fisica di una chiesa. Essa è l’abitazione di Dio in mezzo al suo popolo (Apocalisse 21, 3), non un’abitazione metaforica, ma reale: “Quam terribilis est locus iste: non est hic aliud nisi domus Dei et porta Coeli” (“Quanto questo luogo incute rispetto: qui non c’è altro se non la casa di Dio e la porta del Cielo” Gn 18, 27). Nell’antifona le altre sono racchiuse negli appellativi di Re, Legislatore, Speranza delle Genti, Salvatore, in un crescendo di fiducia nella Redenzione, tanto che alla fine, con un atto di fede estremo, si dice finalmente che Gesù è il Signore Dio Nostro. Egli viene a riscattare l’uomo, a stipulare una nuova Alleanza e a cancellare l’Antica; non vi saranno più spargimenti di sangue sacrificale, perché il Sacrificio del Figlio di Dio basta per tutti e per tutto.

Che questo Natale, allora, ci faccia riscoprire le verità della nostra Fede, ci aumenti la Speranza e ci faccia crescere nella Carità, perché convertiti dai nostri peccati e dalle nostre mancanze, possiamo giungere un giorno nella dimora Celeste, e lodare Dio insieme a tutti i Santi. Perché la venuta del Figlio di Dio serve a questo, non sprechiamo il suo Sangue, ma inebriamoci di Cristo.

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