Le modifiche negli abiti dei religiosi dopo la riforma liturgica

Dopo il Concilio Vaticano II, gli abiti religiosi hanno subito un cambiamento radicale: linee più semplici e pratiche, perfette per la vita pastorale. Ma qualcosa è andato perduto. L’abito, così carico di significato, non è solo un simbolo di fede e appartenenza a Cristo; è anche un richiamo silenzioso alla presenza di Dio in un mondo sempre più secolarizzato.

La riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha portato numerosi cambiamenti all’interno della Chiesa Cattolica. Insieme alla liturgia, uno dei cambiamenti più forti e visibili è stato quello dell’abito religioso che, pur mantenendo un forte legame con la tradizione, ha subito, insieme agli abiti dei sacerdoti secolari e degli alti ecclesiastici, modifiche che dovrebbero trasmettere una linea di maggiore semplicità e praticità secondo quel tanto predicato spirito di rinnovamento voluto dal Vaticano II.

Il Concilio, con la costituzione Sacrosanctum Concilium, ha voluto promuovere una partecipazione più attiva dei fedeli alla liturgia e una maggiore “sobrietà” anche nei segni esteriori della fede. Questo orientamento si è riflesso anche negli abiti dei religiosi, con l’intento di eliminare quegli elementi considerati poco pratici per la vita pastorale. Ad esempio:

  • Alcuni ordini religiosi hanno preferito abiti più corti con cappucci meno vistosi e “ingombranti”;
  • Alcuni ordini monastici hanno, invece, accorciato la lunghezza dello scapolare con l’intento di rendere più comodo il loro abito;
  • In molte congregazioni femminili il velo è stato accorciato o addirittura, in certi casi, eliminato.

Diversi istituti hanno poi introdotto la possibilità per i loro membri di indossare abiti secolari in determinate situazioni, soprattutto per motivi pastorali o missionari. È evidente soprattutto in contesti in cui troviamo religiosi impegnati nell’insegnamento o in contesti sociali o se parliamo di congregazioni femminili dedite al lavoro sociale e sanitario, dove l’abito tradizionale poteva magari risultare poco pratico.

In realtà, però, con la riforma liturgica, fatta eccezione per pochi casi, l’abito religioso, così come l’abito sacerdotale in generale, viene messo da parte. Al giorno d’oggi sono tanti questi sacerdoti “non identificabili” nella quotidianità proprio per l’assenza dell’elemento che li distingue dal resto del mondo. 

L’abito va oltre la mera funzione estetica o pratica, ma è segno visibile della propria consacrazione totale a Dio e quindi di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa; è una forma di evangelizzazione silenziosa che in una società sempre più secolarizzata richiama alla presenza di Dio in mezzo a noi; è espressione dell’identità carismatica del proprio ordine religioso; è simbolo di distacco dal mondo e di disponibilità al servizio che richiama proprio alla povertà evangelica ricordandoci che il consacrato non appartiene a niente e a nessuno se non a Dio.

L’ABITO FRANCESCANO

Il saio francescano, probabilmente l’abito più famoso, a seguito della riforma liturgica ha abbandonato alcuni elementi e cuciture particolari che evidenziavano l’appartenenza e la storia dell’ordine per fare spazio a non si sa quale praticità o comodità, optando inoltre per tagli più “semplici” e mantenendo il proprio colore caratteristico (spesso il marrone o altre tonalità terrose).

Anche in questo caso, però, nei contesti di vita quotidiana, il saio francescano ha fatto spazio al famoso clergyman (che i religiosi non potrebbero in realtà indossare) o addirittura ad abiti secolari che li rendono irriconoscibili nel mondo… qualcuno, per decenza, indossa ogni tanto il Tau come segno distintivo di appartenenza all’ordine.

L’ABITO BENEDETTINO

L’abito benedettino, come stabilito dalla Regola di San Benedetto, si compone della tunica nera, simbolo di umiltà e distacco dal mondo, dello scapolare e della cintura.

Anche in questo caso, il taglio dell’abito è stato semplificato in modo da rendere più facili le attività della vita quotidiana. Sono stati inoltre utilizzati tessuti più resistenti e di facile manutenzione che potessero adattarsi alla vita di lavoro e preghiera tipica dell’Ordine di San Benedetto.

La cocolla, per questioni di praticità, è stata semplificata o ne è stato modificato il tessuto e il suo utilizzo è stato limitato a momenti più solenni della vita monastica, mentre nella quotidianità è ora possibile indossare solo la tunica e lo scapolare.

Nonostante la semplicità e “flessibilità” tanto invocate dal Vaticano II, l’abito dell’Ordine di San Benedetto resta, ancora oggi, un segno tangibile della vita monastica e un simbolo della continua testimonianza del carisma benedettino anche in questo mondo in continua evoluzione.

L’ABITO DOMENICANO

L’abito domenicano è costituito da una tunica bianca, uno scapolare bianco, un mantello nero (detto cappa), una cintura di cuoio e un cappuccio nero. Questo abbigliamento, che simboleggia purezza (bianco) e penitenza (nero), rimane ancora oggi un segno distintivo dell’ordine e non ha subito modifiche significative nella sua forma tradizionale.

Nei contesti pastorali e di vita quotidiana, i padri predicatori sono soliti non utilizzare la cappa per questioni di praticità, mantenendo quindi solo l’uso della tunica e dello scapolare. Anche se, in molti contesti, come già ripetuto diverse volte, è preferito l’uso (sbagliato) del clergyman o, ahinoi, di abiti civili con l’uso di un segno distintivo che permetta di essere riconoscibili.

GLI ABITI DEI RELIGIOSI AVEVANO BISOGNO DI ESSERE SEMPLIFICATI MAGGIORMENTE?

Come sappiamo, la configurazione dell’abito di un ordine religioso è frutto di tante vicende e si struttura nel corso degli anni, se non addirittura dei secoli. Il colore, il taglio, il materiale e tutti gli altri elementi che lo costituiscono testimoniano il carisma, le vicende, la spiritualità di quell’ordine religioso e sono quindi una testimonianza della sua presenza nel corso della storia.

Gli abiti dei vari ordini religiosi, però, fin dagli inizi sono sempre stati caratterizzati da una semplicità e da un rigore unici nelle forme, nei materiali utilizzati e nei colori. Lo scopo dell’abito è ricordare al religioso, e a chi lo incontra lungo il cammino della propria vita, che si è consacrati totalmente al Signore, che si appartiene unicamente a Lui, che lui solo è degno di essere esaltato e lodato. E che noi, e questo ci salta all’occhio se pensiamo ai toni scuri che caratterizzano questi abiti, non siamo nulla dinanzi all’Onnipotenza di Dio.

E quindi gli abiti dei religiosi non avevano bisogno di essere inclusi in questo spirito di rinnovamento di facciata che tanto ha caratterizzato, e tuttora continua a caratterizzare, le varie vicende che la Chiesa si trova a vivere. Questo perché oggi abbiamo bisogno di un segno visibile, tangibile, di cosa significa consacrarsi totalmente al Signore; abbiamo bisogno di un segno reale della presenza di Dio in mezzo a noi, che passa proprio attraverso coloro che scelgono di dedicare la propria vita alla preghiera, alla carità, al Signore. Abbiamo bisogno di testimonianze vere di persone che, negli sconvolgimenti del mondo, continuano, ogni giorno, a scegliere Dio perché ci credono veramente, perché non vogliono seguire le mode del momento, perché sanno che l’unico tesoro è solo in Cielo.

Samuele Oreste

Redattore della sezione Liturgia. È attualmente studente del Liceo Linguistico presso il Liceo G.B. Vico di Napoli
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