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“Sono vivo per miracolo”

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In tutto il mondo oggi si celebra la Giornata della Memoria della Shoah, ma c’è un olocausto che ancora oggi non viene considerato: l’aborto di milioni di bambini.

Urge a questo punto una riflessione. La legalizzazione dell’aborto, infatti, oltre a mettere in pericolo la vita e la salute di tante donne, pone fine all’esistenza di una nuova creatura. Ciò in quanto si consideri il feto come un essere umano a tutti gli effetti. Legalizzando l’aborto si corre il rischio di naturalizzare tale scelta, il che, oltre che la negazione della vita dell’altro, potrebbe condurre ad altre perversioni. Negli anni ottanta, infatti, nel quadro di misure per il controllo delle nascite, si legalizzò l’Ivg in Cina, facendo crescere in maniera esponenziale l’ideologia “maschilista”. I futuri padri sollecitavano, alle loro mogli, un’analisi previa per determinare il sesso di quello che sarebbe stato il loro figlio. Questo esame permetteva, e giustificava, la pratica discriminatoria dell’aborto selettivo a motivo del sesso (attualmente illegale nel Paese asiatico): nel caso della nascita di una figlia femmina si faceva interrompere la gravidanza. Interruzione dovuta alla presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna.

Ciò che qui viene chiamato in causa è lo stesso concetto di libertà. San Tommaso D’Aquino diceva che occorre distinguere due aspetti: da una parte quella che si chiama “libertas minor” e, dall’altra, la “libertas maior”. La prima (livello ontologico) consiste nella facoltà di scegliere, vale a dire il libero arbitrio. Ma questa è solamente una parte della libertà. Tale riduzione del concetto di libertà, lascia da parte la “libertas maior” (livello morale). Per esercitare la libertà non è sufficiente il “libero arbitrio”; questo è solo il primo livello della libertà. Bisogna quindi tenere in conto i mezzi e le finalità. La libertà per il Bene consiste nel passaggio dalla “libertas minor” alla “libertas maior”, che chiama in causa anche la responsabilità verso noi stessi e verso gli altri. Essere responsabili nei confronti di qualcuno significa saper ascoltare profondamente la voce e i desideri dell’altro e fare in modo che, con le nostre azioni, possiamo apportare il Bene. La radice della parola responsabilità deriva infatti dal latino respondeo (rispondo): la risposta, che è l’azione, presuppone un ascolto, un incontro. Siamo liberi se facciamo agli altri ciò che vogliamo che gli altri facciano per noi. È la regola aurea del Vangelo: “Ama il tuo prossimo come te stesso”.

Nessuno oggi parla dell’aborto, nel mondo dei talk show quotidiani che imperversano su ogni canale televisivo, questo tema è accuratamente evitato. Si parla di tutto, ogni forma di disagio sociale trova spazio ma nessuno ha voglia di parlare delle mamme che hanno difficoltà ad accogliere la vita e nessuno vuole fa vedere quel bambino che sta accucciato nel grembo della madre, come un clandestino senza diritto di cittadinanza. Anche la Chiesa fa silenzio, dispiace dirlo ma è così.

Se l’aborto fosse riconosciuto come una tragedia, potrebbe stimolare una forte reazione etica. Se l’aborto fosse percepito come un disagio sociale dovrebbe suscitare un comune impegno per superare le cause che lo favoriscono. Niente di tutto questo, per la politica l’aborto non appartiene alla categoria dei problemi sociali, è semplicemente una questione sanitaria. Chi non ha voglia di accogliere il bambino, si rivolge all’istituzione pubblica che provvede tempestivamente a eliminare il bambino, scusate… il problema. Guai a dire che si tratta di un infanticidio, si rischia una denuncia penale. Noi però non possiamo tacere dinanzi a questa menzogna. Anzi, quanto più viene amplificata, tanto più abbiamo il dovere di alzare la voce.

Il nostro impegno per la vita trova tante espressioni, oggi in particolare: questa giornata della memoria si muove nella stessa direzione della giornata per la vita, istituita dalla Chiesa nel 1978. È un compito triste ma doveroso perché è assolutamente necessario ricordare a tutti quello che la società si ostina a negare: e cioè che i bambini uccisi nel grembo materno sono esseri umani, in tutto simili a noi.

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