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Il sacramento dell’Eucarestia

San Tommaso, Doctor Eucaristicus, ci guida nella comprensione del più grande sacramento, che nostro Signore ha istituito.

Nella Summa theologica San Tommaso dedica ben undici quaestiones (dalla q.73 alla q.83) al Sacramento dell’Eucarestia. Nessun teologo ha mai toccato le vette della conoscenza di questo sublime sacramento quanto San Tommaso, che non a torto è definito spesso come Doctor Eucaristicus e nell’iconografia è di solito rappresentato con in mano l’ostensorio. Se, infatti, è dubbia l’attribuzione a lui dell’Ufficio del Corpus Domini, la chiara e limpida esposizione della dottrina eucaristica nelle Sentenze di Pietro Lombardo e nella Summa theologica sono certamente la chiara attestazione della profonda conoscenza razionale e mistica del dottore angelico. 

La quaestio 73 introduce l’argomento, specificando che l’Eucarestia è un sacramento (a.1-2) e che è necessario alla salvezza (a.3), poiché esso produce in noi la comunione al corpo mistico di Cristo, la Chiesa, fuori della quale non può esserci salvezza. Questo sacramento è indicato con molti nomi (a.4). San Tommaso ne chiarifica il significato. Il primo nome è sacrificio: l’Eucarestia è un sacrificio, poiché «esso commemora la Passione del Signore, la quale fu un vero e proprio sacrificio». L’Eucarestia, poi, è comunione (synaxis), in quanto si riferisce «all’unità della Chiesa, nella quale gli uomini sono tenuti uniti per mezzo di questo sacramento». Essa è, inoltre, viatico, perché «prefigura la fruizione di Dio, che ci sarà nella patria celeste […] ci apre la via per pervenirvi». Essa è anche assunzione (metalepsis), poiché «con esso assumiamo la divinità del Figlio». Il nome più noto è Eucarestia, che San Tommaso traduce dal greco con buona grazia, «poiché esso contiene realmente Cristo, che è pieno di grazia». In quanto sacramento, l’Eucarestia fu istituita da Cristo e ciò per vari motivi: in primo luogo per perpetuare la sua presenza nella Chiesa terrena («quando lo stesso Cristo stava per allontanarsi dai suoi discepoli sotto le proprie sembianze, lasciò se stesso sotto le specie sacramentali»); in secondo luogo, per perpetuare la sua passione salvifica («fu necessario che ci fosse in ogni tempo presso gli uomini qualcosa che rappresentasse la passione del Signore»); infine, perché fungesse da testamento per i suoi Apostoli («affinché fosse tenuto in maggiore venerazione, il Signore istituì questo sacramento nel suo ultimo addio ai discepoli»).

La quaestio 74 introduce la discussione sulla materia del sacramento. Essa è costituita dal pane di frumento e dal vino di uva. È richiesto ad validitatem l’uso del pane prodotto con farina di frumento, mentre non è ammissibile l’uso di pane prodotto con altri tipi di farina. Secondo San Tommaso nostro Signore scelse questo tipo di pane, perché è il più comune, mentre gli altri tipi sono usati per sostituire il pane di frumento (a.3). Non è, invece, necessario che il pane sia azzimo. Ciò non è necessario, ma è conveniente alla consuetudine liturgica della chiesa sui juris cui si appartiene. Lo stesso discorso vale per il vino, che deve essere prodotto facendo fermentare il mosto d’uva e non può essere un derivato di altri frutti, proprio a causa dell’istituzione di Cristo, il quale ha usato il vino d’uva. Al vino va aggiunta necessariamente una piccola quantità d’acqua (a.5). Anche questo costituisce la materia del sacramento, poiché Cristo ha così istituito il sacramento, ma anche perché ciò è più conforme a quanto il sacramento rappresenta: «l’unione del popolo cristiano a Cristo» (a.6).

La quaestio 75 approfondisce il discorso sulla materia del sacramento, passando a definire gli effetti del sacramento sulla materia stessa: la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore. È il cuore della dottrina eucaristica. Dopo la consacrazione, che avviene durante la Santa Messa, il pane e il vino diventano Corpo e Sangue di Cristo. In che senso? San Tommaso chiarisce la questione. Cristo non è presente nel sacramento secondo la raffigurazione o nel segno, bensì secondo la realtà: la sua è una presenza realis (a.1). Dopo la consacrazione, infatti, non rimane la sostanza né del pane né del vino (a.2), ma la sostanza del pane viene convertita nel Corpo di Cristo e la sostanza del vino nel sangue di Cristo (a.3), pur rimanendo percepibili ai sensi gli accidenti del pane e del vino, cioè il colore, il sapore, ecc. (a.5).

La quaestio 76 sviluppa il modo in cui Cristo esiste in questo sacramento. Definito il fatto che il pane e il vino vengono convertiti sostanzialmente nel Corpo e nel Sangue di Cristo e che Egli è presente realmente e non simbolicamente in essi, San Tommaso specifica che nel sacramento dell’Eucarestia è presente tutto Cristo sotto entrambe le specie. Per comprendere questa asserzione bisogna distinguere due modi diversi di presenza: la presenza in virtù del sacramento è quella espressa dalla forma dello stesso (Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue); la presenza per concomitanza naturale, invece, è causata dalla natura stessa delle cose che sono tra loro realmente unite (a.1). Da ciò si ricava che sotto la specie del pane vi è il Corpo di Cristo in virtù del sacramento, ma in virtù della presenza concomitante vi sono anche il Sangue, l’Anima e la Divinità di Cristo, cioè tutto Cristo. Sotto le specie del vino, allo stesso modo, in virtù del sacramento c’è il Sangue di Cristo e in virtù della presenza concomitante ci sono anche il Corpo, l’Anima e la Divinità, cioè tutto Cristo (a.2).

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La quaestio 77 è dedicata agli accidenti che restano nel sacramento dell’Eucarestia. Abbiamo, infatti, affermato che la sostanza muta, mentre gli accidenti permangono. La quaestio è tutta dedicata a dimostrare questo, cioè che le specie del pane e del vino rimangono ai sensi uguali a come erano prima della consacrazione, mentre ne muta la sostanza. Così esse possono essere divise, possono corrompersi, possono essere mescolate, ecc. 

La quaestio 78, terminato il discorso sulla materia, passa a trattare della forma, che è la seconda parte essenziale di ogni sacramento. Essa è costituita dalle parole con cui il Signore ha istituito il sacramento (a.1) e che vengono definite giuridicamente nel Messale Romano. Anche qui bisogna specificare che durante la riforma liturgica del Concilio Vaticano II la forma dell’Eucarestia è stata lievemente modificata. Nel Missale Romanum, promulgato secondo i canoni del Concilio di Trento, le formule di consacrazione erano le seguenti: per il pane, Hoc est enim corpus meum; per il vino, Hic est enim calix sanguinis mei, novi et aeterni testamenti: mysterium fidei: qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Con la Costituzione Apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969 Paolo VI stabilì che ad validitatem fossero usate delle formule adattate: per il pane, Accipite, et manducate ex hoc omnes: hoc est enim corpus meum, quod pro vobis tradetur; per il vino, Accipite et bibite ex eo omnes: hic est enim calix sanguinis mei, novi et aeterni testamenti: qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Hoc facite in meam commemorationem. La sostanza delle formule rimane uguale, ma sono ritenute nel nuovo messale forma del sacramento anche le parole Prendete e mangiatene tutti / Prendete e bevetene tutti e Fate questo in memoria di me, che prima non erano considerate tali. Non ci soffermiamo sulle altre differenze. 

La quaestio 79 si sofferma sugli effetti del sacramento dell’Eucarestia. Ogni sacramento conferisce all’anima di chi lo riceve la grazia. Questo effetto è prodotto anche dall’Eucarestia. Innanzitutto, tale grazia ci unisce a Cristo: Egli «venendo visibilmente nel mondo, portò al mondo la vita della grazia, […] così, venendo sacramentalmente nell’uomo, produce la vita della grazia» (a.1). L’Eucarestia, poi, dona all’uomo il conseguimento della gloria celeste: essa causa nell’uomo «il conseguimento della vita eterna. Infatti, lo stesso Cristo ci aprì con la sua passione l’ingresso nella vita eterna» (a.2). Per quanto riguarda la remissione dei peccati, il sacramento dell’Eucarestia non rimette i peccati mortali, bensì «appartiene a questo sacramento la remissione dei peccati veniali» (a.4). Non solo, ma tramite esso vi viene data la grazia necessaria ad evitare i peccati futuri (a.6). Esso, infatti, è nutrimento dell’anima e come il nutrimento del corpo lo preserva dalla morte, così l’Eucarestia preserva dal peccato. Infatti, «il peccato è una certa morte spirituale. Perciò, uno è preservato dal peccato futuro nel modo in cui il corpo è preservato dalla morte futura» (ivi).

La quaestio 82 passa a trattare del ministro dell’Eucarestia. Infatti, come si è detto nei precedenti articoli, perché un sacramento si valido è necessaria la presenza del legittimo ministro. La consacrazione appartiene propriamente al sacerdote e, quindi, il ministro del sacramento è solo il sacerdote validamente ordinato. Infatti, «questo sacramento non si celebra se non in nome di Cristo. Ora, chiunque faccia qualcosa in nome di un altro, bisogna che lo faccia per mezzo di un potere da quest’altro concesso. […] così al sacerdote, quando è ordinato, è conferito il potere di consacrare questo sacramento in nome di Cristo» (a.1). Per quanto riguarda, invece, la distribuzione del sacramento, San Tommaso specifica che essa spetta al solo sacerdote, per tre motivi: primo, perché Cristo diede egli stesso il suo Corpo agli apostoli affinché lo mangiassero; secondo, perché il sacerdote «è costituito come intermediario tra Dio e il popolo. Perciò, come spetta a lui offrire a Dio i doni del popolo, così spetta anche a lui dare al popolo i doni santificata da Dio» (a.3); terzo, perché «per reverenza verso questo sacramento, niente può toccarlo che non sia consacrato» (ivi). È evidente il cambiamento nell’attuale prassi ecclesiastica. Se il Concilio di Trento afferma che ministro straordinario della distribuzione dell’Eucarestia è il diacono, oggi il diacono è riconosciuto come ministro ordinario e i laici sono diventati ministri straordinari. È evidente la confusione creata. 

La quaestio 83, l’ultima riguardante l’Eucarestia, ne espone il rito. L’articolo primo della quaestio dichiara esplicitamente che durante il rito della Santa Messa viene immolato Cristo, cioè «diventiamo partecipi dei frutti della passione del Signore per mezzo di questo sacramento» (a.1). Quanto al tempo della celebrazione, essa viene celebrata quotidianamente, «poiché ogni giorno abbiamo bisogno del frutto della passione del Signore a causa dei nostri difetti quotidiani» (a.2). Inoltre, l’ora più consona per la celebrazione è quella in cui si svolse la stessa passione del Signore: «poiché la passione del Signore è stata consumata dall’ora terza fino all’ora nona, ecco perché nella Chiesa si celebra regolarmente in questa parte del giorno questo sacramento in modo solenne» (ivi). Inutile, soffermarci sui cambiamenti recenti in questa antichissima prassi. Quanto al luogo della celebrazione, essa deve avvenire in un luogo consacrato mediante l’uso di vasi consacrati: «si ricorre alla consacrazione di quelle cose di cui si fa uso in questo sacramento, sia a motivo della reverenza verso il sacramento sia per rappresentare l’effetto della santità, che proviene dalla passione di Cristo» (a.3). 

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