Nel Paese che diede la nascita a san Giovanni Paolo II ci sono forze che da sempre mal sopportano colui che è stato Arcivescovo di Cracovia prima e Pontefice poi. Fino al 1989 si trattava innanzitutto dell’apparato del regime comunista in Polonia che faceva di tutto per sminuire l’impatto dell’azione pastorale del Papa nella sua patria. Ma le stesse forze politiche continuarono a criticare Giovanni Paolo II anche dopo la svolta democratica nel 1989, alleandosi con gli ambienti anticlericali liberali e con i cattolici “aperti” che mal sopportavano la linea “conservatrice” della Chiesa.
Durante il pontificato di Giovanni Paolo II gli attacchi erano legati al suo insegnamento riguardante la sessualità, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, il ruolo delle donne nella Chiesa, il suo “anticomunismo”; ma sembrava che questi argomenti non potessero scalfire la sua figura gigantesca in patria, dove si parlava di lui con il massimo rispetto. Eppure, sottotraccia, agivano in Polonia delle forze che volevano distruggere “il mito di Wojtyła”, prima di tutto legate all’influente giornale Gazeta Wyborcza. Sulle pagine di questo quotidiano liberale di sinistra cominciarono ad apparire attacchi diretti al santo polacco, portati particolarmente da ex sacerdoti come Stanislaw Obirek: purtroppo i suoi attacchi, sempre più volgari e primitivi, non venivano né contrastati né stigmatizzati. In Polonia si sono scordati la regola di Goebbels, il genio della propaganda di Hitler, secondo cui delle menzogne ripetute all’infinito rimarrà sempre qualcosa. E così certe menzogne riguardanti la figura di Giovanni Paolo II hanno iniziato ad essere percepite come verità.
Ma c’era anche un altro fattore che facilitava l’azione di “decostruzione” della figura del Pontefice: il fattore del tempo. Da più di un decennio, in Polonia, nel mondo dell’informazione lavorano persone che non hanno conosciuto direttamente Giovanni Paolo II e non hanno potuto apprezzare il suo carisma, il suo operato e insegnamento. Per di più, si è formata una vera coalizione mediatica con lo scopo di rompere con l’eredità di Giovanni Paolo II. Una coalizione composta dalla già citata Gazeta Wyborcza, dal settimanale Newsweek, dalla televisione TVN e dal portale Onet (Newsweek e Onet sono legati al gigante dei media svizzero-tedesco Ringier Axel Springer).
Purtroppo i casi di abusi, veri e presunti, dei minori da parte di sacerdoti e le accuse alla gerarchia di tollerare la pedofilia hanno dato un’arma formidabile per colpire la Chiesa e Giovanni Paolo II. E in questi giorni assistiamo in Polonia all’apogeo degli attacchi contro la figura di Wojtyła.
L’8 marzo, Agora – la stessa casa editrice di Gazeta Wyborcza – ha lanciato il libro Massima colpa. Giovanni Paolo II lo sapeva, del giornalista olandese Ekke Overbeek. Questo lo slogan di marketing: “Che cosa la Chiesa nasconde di Giovanni Paolo II”. Il settimanale Newsweek lancia le accuse con la copertina con la foto del Papa e il titolo: “La verità nascosta sulla pedofila”. Sottotitolo: “Nascondendo i crimini sessuali dei suoi preti si comportava come apparatčik comunista della Chiesa”. Per rincarare la dose, il 7 marzo la TVN ha trasmesso un reportage di Marcin Gutowski sulle presunte responsabilità di Wojtyła nel tollerare episodi di pedofilia ai tempi in cui era arcivescovo metropolita di Cracovia.
Ma il massiccio attacco, ben sincronizzato come si vede, non finisce qui: i media hanno tirato fuori la storia dei presunti abusi sessuali commessi dal cardinal Adam Sapieha, per tanti anni metropolita di Cracovia. Durante la Seconda guerra mondiale, il cardinale organizzò un seminario clandestino nel quale studiarono, tra gli altri, anche i suoi due successori: Karol Wojtyła e Franciszek Macharski, entrambi ordinati da Sapieha. Si insinua che Wojtyła “imparò” la tolleranza verso gli abusi dal suo “mentore” Sapieha; c’è chi maliziosamente fa intendere che magari ci fosse “qualcosa” tra Wojtyła e l’anziano cardinale che lo apprezzava tanto. È una storia completamente falsa, che rivela come si sia persa ogni etica giornalistica. Vale la pena analizzarla.
Le menzogne sulla presunta omosessualità del cardinal Sapieha e i suoi presunti abusi sui seminaristi sono state pubblicate su Gazeta Wyborcza. Le accuse si basano sulle dichiarazioni formulate da Anatol Boczek, un prete collaborazionista del regime comunista che voleva organizzare in Polonia una Chiesa nazionale controllata dal partito. Boczek apparteneva ad un gruppo dei cosiddetti preti patrioti e, quando scrisse le sue dichiarazioni per i servizi segreti polacchi, era in aperto conflitto con il cardinal Sapieha. Fu sospeso dal porporato proprio a causa della collaborazione con il regime comunista. Boczek era un alcolista e le sue dichiarazioni erano così palesemente false che allora nemmeno i comunisti osarono utilizzarle per colpire Sapieha. Alla fine fu eliminato dalla lista dei collaboratori.
Va ricordato che gli anni Cinquanta erano gli anni del culmine delle repressioni a danno della Chiesa, operate dal regime comunista. Il cardinal Sapieha morì nel 1951 e subito dopo le autorità comuniste fecero arrestare i vescovi delle diocesi di Katowice e di Cracovia, che successivamente organizzarono il processo farsa dei sacerdoti di Cracovia, tipico del periodo staliniano.
Per accreditare le menzogne del collaboratore del regime comunista è stato tirato in ballo anche don Andrzej Mistat, cappellano del cardinale. La sua testimonianza, estratta dal fondo degli archivi dei servizi segreti comunisti, dovrebbe essere la prova delle tendenze omosessuali del cardinale. Ma oggi nessuno spiega che quella testimonianza fu scritta da don Mistat negli uffici dei servizi segreti. Fu arrestato, malmenato e sotto minaccia e, nell’incertezza della sua sorte, fece tale dichiarazione. Questo tipo di testimonianze, estorte ai sacerdoti, servivano per organizzare i processi farsa contro i vescovi. Allora si può solo ammirare la scaltrezza di don Mistat che, rischiando il carcere e dovendo scrivere qualche cosa, escogitò delle accuse a sfondo sessuale che probabilmente gli sembravano “innocue”. Quale valore hanno questo tipo di documenti dei servizi segreti? Non dovrebbero avere nessun valore legale, ma intanto vengono pubblicizzati e usati dai media come “sicure” prove di colpevolezza.
I media fanno ulteriori accuse meramente denigratorie: il fatto che durante la guerra il card. Sapieha ospitasse i seminaristi nel suo palazzo sarebbe la “prova” che fosse omosessuale, ma gli stessi media nascondono l’informazione che gli edifici del seminario erano stati occupati dai tedeschi.
Riempie di tristezza l’atteggiamento dei redattori del settimanale Tygodnik Powszechny, fondato proprio dal card. Sapieha, che si chiedono se il giovane Wojtyła fosse stato molestato dal cardinale. Queste tesi iconoclaste raggiungono il culmine della menzogna ma non servono a convincere gli storici che possono facilmente confutarle: il loro obiettivo è distruggere l’autorità di coloro che sono appunto autorità per noi, comuni cattolici, che di solito non abbiamo gli strumenti per verificare queste vergognose menzogne. Colpire una persona morta settant’anni fa non permette una giusta difesa perché la gente non conosce il contesto storico dei fatti, i condizionamenti politici, eccetera. Su questo contano gli ambienti che hanno sferrato l’attacco a Wojtyła.
Colpendo il card. Sapieha si vuole colpire, bisogna sottolinearlo con forza, la figura di san Giovanni Paolo II. Dice monsignor Jan Machniak, professore della Pontificia Accademia Teologica di Cracovia: “Colpire Giovanni Paolo II e le persone a lui legate ha come scopo distruggere la grande eredità che il Papa ha lasciato non soltanto alla Chiesa ma all’Umanità intera”. Dobbiamo tenerlo bene a mente, leggendo le notizie “sensazionali” riguardanti Wojtyła che in questi giorni ci arrivano dalla Polonia.