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Atto di Supremazia? No, Atto di Superbia

Anno Domini 1534, nella giornata del 3 novembre nelle terre d'Oltremanica il parlamento inglese ufficializzava lo scisma definitivo da Santa Romana Chiesa, inventando e costruendo una nuova chiesa: quella d'Inghilterra.

Anno Domini 1534, nella giornata del 3 novembre nelle terre d’Oltremanica il parlamento inglese ufficializzava lo scisma definitivo da Santa Romana Chiesa, inventando e costruendo una nuova chiesa: quella d’Inghilterra, caratterizzata da un singolare cesaropapismo tale per cui Re Enrico VIII della stirpe Tudor (sciapo residuo della ben più degna casata dei Plantageneti, autodistruttasi nella Guerra delle Due Rose) si arrogava anche il diritto autoproclamato di essere, lui come i suoi successori, Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra e di tutti i suoi fedeli e sudditi.

I motivi dello scisma sono ben noti. Le difficoltà della regina Caterina (d’Aragona, figlia e sorella di sovrani spagnoli, nonché zia dell’imperatore Carlo V), che peraltro già dovette appiopparsi come primo marito Arturo Tudor, fratello di Enrico e morto poco tempo dopo il matrimonio, nel generare un erede maschio in grado di sopravvivere furono ciò che indusse il re, incapace di accettare il passaggio del trono a qualcuno che non fosse suo figlio, a trascinare il popolo inglese in una guerra aperta contro il papa e la Chiesa. Gli sciagurati esiti di questa follia sono vivi ed efficaci tuttora.

Ma si proceda per gradi. Come si arrivò all’apostasia di un’intera nazione (o quasi) per l’incapacità di un re di gestire adeguatamente tanto i suoi affari di letto quanto il suo spropositato ego?

Come detto, Caterina d’Aragona, figlia del re di Spagna Ferdinando II, convolò a nozze inizialmente con l’erede al trono inglese, Arturo, ma dopo pochi mesi di matrimonio entrambi si ammalarono di una febbre e mentre Caterina sopravvisse lo stesso non si può dire del marito, trapassato nella primavera del 1502. Enrico VII, il padre di Arturo, ansioso di non perdere la cospicua dote proveniente da uno dei regni più potenti d’Europa si adoperò immediatamente per proporre il matrimonio della nuora vedova con il suo secondogenito maschio, neo-erede al trono: Enrico, di 5 anni più giovane rispetto alla giovane spagnola. Si dovette ricorrere a una bolla papale di speciale concessione per poter permettere un matrimonio fra un uomo e la vedova del fratello (vietato dal Levitico) e passarono tuttavia ben 7 anni prima che i due neo-promessi convolassero a nozze, avvenute nel 1509, qualche settimana dopo l’ascesa di Enrico al trono inglese, tempo in cui si manifestarono le prime umiliazioni dei Tudor nei riguardi di Caterina. Tenuta semiprigioniera in un modesto palazzo inglese, Durham House, la principessa spagnola dovette impegnarsi per mantenersi economicamente e provvedere alle sue dame di compagnia, seppe tuttavia mostrare il suo forte animo e la sua eccellente intraprendenza, divenendo la prima ambasciatrice donna della storia moderna europea.

I problemi di generazione di un erede sorsero pressoché immediatamente: l’anno successivo al matrimonio il primo figlio nacque morto e nel 1511 il secondo sopravvisse soltanto due mesi. Nel 1516 nacque una figlia, Maria (futura regina), tanto desiderata e inizialmente molto amata da entrambi i genitori quanto poi maltrattata e ripudiata dal padre alla comparsa sulla scena della celebre Anna Bolena.

Col passare degli anni infatti, il re oltre a tradire la moglie con varie amanti da cui cercava “consolazione”, diventava sempre più ossessionato dalla necessità di volere a tutti i costi il suo erede maschio, legittimo ovviamente. Gli studi teologici e di matrice ecclesiastica compiuti in gioventù non gli furono sufficiente deterrente dall’iniziare a pretendere a tutti i costi dalla Santa Sede l’annullamento del matrimonio con Caterina. Il papa, Clemente VII, con il supporto altresì di Spagna e Sacro Romano Impero, sui cui troni sedevano parenti stretti della regina, si rifiutò categoricamente di annullare l’unione da cui erano stati generati più figli, e dunque consumata. Fu l’inizio della follia.

Enrico, furibondo di rabbia per non aver ottenuto il suo capriccio di nullità del matrimonio appellandosi peraltro ad una presunta invalidità della bolla che Giulio II gli ottenne per maritare la vedova di suo fratello, decise di tagliar la testa al toro e, incurante del divieto papale di maritare Anna (a seguito del processo canonico voluto dal re stesso), ripudiò Caterina e la esiliò da palazzo.

Non passò molto tempo che Enrico sposò segretamente Anna, nel gennaio 1533, probabilmente già incinta. Di tutta risposta il papa scomunicò ovviamente il sovrano e si dimise anche il suo Lord Cancelliere Tommaso Moro, fortemente contrario a questa unione illecita (gli costò la testa, fu canonizzato da Pio XI e dichiarato patrono degli statisti e dei politici cattolici da Giovanni Paolo II). Consapevole di aver raggiunto ormai il punto di rottura totale con Roma, Enrico VIII per mezzo di una serie di atti, via via sempre più gravi ed estremi, generò infine lo scisma anglicano.

Dapprima, con l’Act of Supremacy, si stabiliva che il re era unico Capo (Head) supremo della Chiesa d’Inghilterra, chiamata Ecclesia Anglicana, successivamente il Treason Act (Legge sui Tradimenti) prevedeva la pena di morte per chiunque si rifiutasse di riconoscere il re con quanto previsto dall’Atto di Supremazia. Fu in particolare appellandosi a questa seconda legge che Tommaso Moro venne condannato e giustiziato, ed è sempre in tale documento che emerge una certa follia del re nel non voler né vedere né ammettere una realtà dei fatti da cui fuggiva e non accettava. Era infatti scritto che erano colpevoli di alto tradimento (e dunque pena di morte) coloro che:

diffamatoriamente e maliziosamente pubblicano e pronunciano, con parole o scritti espressi, che il re dovrebbe essere eretico, scismatico, tiranno, infedele o usurpatore della corona [slanderously and maliciously publish and pronounce, by express writing or words, that the king should be heretic, schismatic, tyrant, infidel or usurper of the crown].

Enrico VIII era senza alcuna ombra di dubbio eretico, scismatico, infedele (a Roma), e ne era pienamente consapevole, ma non solo non accettava che gli venisse detto, ma voleva imporre la sua bugiarda visione della realtà per mezzo della violenza anche a tutti i suoi sudditi (questo lo rendeva inoltre tiranno dunque), e per suggellare ciò, sempre nel 1534, fece promulgare l’Act of Succession, con il quale escluse Maria, unica figlia legittima che aveva, dalla successione al trono e spostò la linea dinastica verso la discendenza frutto dell’unione con Anna Bolena.

Dall’unione fra Anna ed Enrico, ironia della sorte, nacque comunque un solo figlio, una femmina: Elisabetta. Il re rimase molto deluso, soprattutto considerando che tutti gli astrologi di cui si era circondato gli avevano assicurato un erede al trono maschio finalmente, e la sua delusione si accrebbe ancor di più quando la nuova regina ebbe in seguito ben due gravidanze terminate con aborti. Oggidì si direbbe: “è il Karma caro Enrico”, idea ancor più suggellata dal terzo aborto di Anna, avvenuto il giorno dei funerali di Caterina (nel 1535), che nel frattempo si era gravemente ammalata (secondo alcune ipotesi fu invece avvelenata). Non passò molto tempo che il folle re, sempre più ossessionato dall’avere un figlio maschio al punto da arrivare a ciechi attacchi d’ira nei riguardi della seconda moglie, decise di far arrestare quest’ultima e dopo un rapido processo dove si accusava la regina di adulteri, tradimenti vari nonché stregoneria, annullò il suo matrimonio (come del resto aveva ormai preso gusto a fare) e tanto per dare prova dei suoi violenti deliri la fece decapitare. Narra una leggenda inglese che i ceri sulla tomba di Caterina d’Aragona si accesero misteriosamente da soli il giorno della morte di Anna.

Se il primo matrimonio finì malissimo, il secondo fu una tragedia anche peggiore. Ma il re non si perse d’animo e fra una persecuzione verso i cattolici e l’altra passò alla moglie numero 3, Jane Seymour la quale finalmente gli diede un erede maschio (il futuro Edoardo VI) ma morì poco dopo il parto, e poi alla numero 4, Anna di Clèves, che però faceva disgusto a Enrico e divorziarono dopo pochissimo, seguì la numero 5, Catherine Howard, sposata nel 1540 e fatta decapitare l’anno successivo per aver condotto una vita “abominevole, meschina e viziosa”, e infine la numero 6, Catherine Parr, che non ebbe tempo di far ammazzare o di divorziare perché ci rimase secco prima. La vita coniugale di Enrico VIII fu un’unica grande tragedia che peggiorava di atto in atto ogni volta che cadeva sempre più nella miseria, nella violenza e nel peccato. Morirà nel gennaio del 1547 obeso, diabetico, gottoso e con lo scorbuto.

Sebbene gli storici discutano su quanto l’Atto di Supremazia fosse più una manovra politica rispetto a un vero e proprio atto contro Roma, sotto un profilo cattolico non si può negare l’evidenza dei fatti e le nefaste conseguenze che esso ebbe su un intero popolo. Il rifiuto di sottomissione al Vicario di Cristo in Terra è storicamente causa di scismi, gli ortodossi lo sanno bene, in questo caso tuttavia le motivazioni scarsamente teologiche e ampiamente avvicendate ai capricci matrimoniali di un singolo re ne evidenziano ulteriormente le assurdità e gli effetti che negativamente si dispiegarono nei secoli sugli inglesi. Il tentativo fatto dalla Regina Maria (non a caso appellata dagli anglicani Bloody Mary) di riportare l’Inghilterra nel pascolo cattolico si arenò tragicamente con la salita al trono della sorellastra Elisabetta, la quale fece emettere dal parlamento un secondo Atto di Supremazia, leggermente edulcorato rispetto alla versione paterna ma pretendente comunque un giuramento da parte dei funzionari pubblici o ministri della chiesa nel riconoscere il monarca come capo sia civile sia religioso, pena l’accusa di tradimento, con tutte le conseguenze del caso. 

Comunque sia, gli effetti dell’Atto di Supremazia non tardarono a mostrare i loro effetti: l’Arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, caduto in apostasia sostituì il Messale cattolico con un Ufficio di Comunione Protestante, inventando un nuovo rito ed eliminando definitivamente ogni traccia del SS Sacrificio di Cristo nel Pane e nel Vino transustanziati, soppresse inoltre tutti gli ordini minori e il suddiaconato. Non solo, con gli atti promulgati dal parlamento inglese vi furono conseguenze gravi anche per il clero regolare: vennero sciolti i monasteri e le comunità religiose vennero espropriate dei terreni da vendersi alla borghesia o da avocare allo stato, le rendite ecclesiastiche, un tempo prerogativa papale erano ora destinate al regno.

Quel mondo protestante che un tempo Enrico VIII condannò in Lutero divenne presto realtà anche nella neonata chiesa inglese, allontanando milioni di persone dall’unica vera ed unica Fede, quella cattolica apostolica, e sebbene oggi si guardi alla realtà inglese come una delle meno peggiori nel variegato panorama degli eretici qui e là in giro per il mondo, è importante ricordare la nota espressione del vescovo Cipriano (210-258 d.C.): Extra Ecclesiam nulla salus. Al di fuori della Chiesa non v’è salvezza, e non ve ne potrà mai essere integralmente. Ciò non significa che le conseguenze dell’Atto di Supremazia di Enrico VIII per i fedeli anglicani o anche qualsiasi altro appartenente ad una corrente cristiana eretica sia automaticamente condannato alla dannazione eterna, tuttavia la pienezza della loro Fede, non essendo integrale ed essendo slacciata dal Vicario di Cristo in terra, e soprattutto essendo distante dall’autenticità unica dei Sacramenti, non ammette di essere pienamente nel novero del Gregge di Cristo, con annessi tutti i benefici che la vicinanza del Buon Pastore consentono tanto in vita quanto dopo la morte. 

Seppur in forma parzialmente discutibile un tentativo sanatorio delle posizioni di parte del clero inglese giunsero dal grande papa Benedetto XVI, il quale con la Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus ha consentito il rientro nell’ovile cattolico dei sacerdoti anglicani, anche quelli sposati, purché fermamente convinti, fra i più illustri convertiti si annoverano Michael Nazir-Ali, ex vescovo di Rochester; Peter Foster, ex vescovo di Chester e John Goddard, ex vescovo di Burnley. Anche il cappellano della Regina Elisabetta II, seppur scegliendo di restare laico, nel 2017 si convertì al cattolicesimo. Nasce in queste belle notizie la speranza che tali conversioni diventino endemiche e che presto sul Trono di Re Giorgio possa salire un sovrano disposto a restituire al papa la piena sottomissione della chiesa inglese e possa restituire al suo grande popolo la possibilità di una vera e piena fede cattolica, salvifica e santificatrice, lasciando cosi che le follie di Enrico VIII e i suoi perniciosi atti di supremazia, ovvero di superbia, non restino che un lontano ricordo da libri di storia.

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