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Contemplata aliis tradere – VII

Dio esiste? Come possiamo saperlo? In che modo il nostro intelletto conosce la Divinità? Con San Tommaso cerchiamo di rispondere a questi interrogativi antichi e sempre attuali per l’umanità.
De Deo uno – L’esistenza di Dio

Lo scopo della teologia, intesa come studio della sacra dottrina, è condurre l’uomo alla conoscenza di Dio per quanto essa è accessibile al limitato intelletto umano. Per questo motivo il punto di partenza della riflessione tommasiana è la domanda sull’esistenza di Dio, interrogativo da sempre presente nel cuore dell’uomo. Scrive, infatti, all’inizio della quaestio 2 della Pars Prima della Summa Theologica San Tommaso: «Poiché lo scopo principale di questa dottrina è d’insegnare la conoscenza di Dio e non solo secondo com’è in se stesso, ma anche in quanto è principio delle cose e loro fine […], proponendoci l’esposizione di questa dottrina, tratteremo in primo luogo di Dio».

La quaestio sull’esistenza di Dio è divisa in tre articoli. Nel primo San Tommaso si chiede se l’esistenza di Dio sia conoscibile a priori. La proposizione «Dio esiste» è di per sé nota, poiché «il predicato è identico al soggetto». Ciò, tuttavia, è possibile per chi sa che cosa è Dio, ma nessun uomo in realtà lo sa a priori. Bisogna, quindi, concludere che «poiché non sappiamo che cos’è Dio, tale proposizione non è nota per noi, ma esige che sia dimostrata tramite quelle cose che sono più note rispetto a noi e meno note rispetto alla natura, ossia per mezzo degli effetti». Commenta a riguardo p. Garrigou-Lagrange che, pur esistendo Dio per se stesso senza necessità degli enti contingenti, «per affermare che Egli [Dio] di fatto esiste (exsistentia exercita) bisogna partire dall’esistenza di fatto delle realtà contingenti constatate dalla nostra esperienza, e vedere se queste esigano necessariamente una causa prima».

Date queste premesse, San Tommaso passa all’esposizione delle dimostrazioni possibili a livello razionale dell’esistenza di Dio. A ciò è dedicato l’articolo terzo della questione, nel quale sono enucleate le famose cinque vie, che portano all’esistenza di Dio. Esse si basano tutte sul principio di causalità: «Tutto ciò che avviene ha una causa, ogni essere contingente (anche se di fatto esistesse ab aeterno) richiede una causa; tutto ciò che è e non è da se stesso, dipende da una causa che è da se stessa». Partendo da ciò di cui l’uomo fa esperienza concreta San Tommaso riesce a condurlo verso l’esistenza di Dio: tutto ciò che conosciamo attraverso i sensi è creatura e implica da se stessa la necessità di un Creatore eterno e in sé sussistente.

Arrivati alla conclusione che l’esistenza di Dio è conoscibile a partire dalle realtà contingenti, emerge spontanea la domanda sulla modalità della sua presenza nelle cose contingenti. San Tommaso affronta questo problema nella quaestio 8 della Pars Prima: De existentia Dei in rebus. Nella questione precedente il dottore domenicano aveva parlato dell’infinità come attributo di Dio. Ora si pone la domanda: «Poiché, in verità, sembra conveniente all’infinità che sia dappertutto e in tutte le cose, bisogna esaminare se ciò si addica a Dio». Nel porre una questione di tale entità, bisogna tenere presente il rischio di poter cadere nel panteismo. San Tommaso, infatti, dopo essere giunto alla conclusione che Dio è in tutte le cose (articolo 1) e in ogni luogo (articolo 2), passa subito a chiedersi la modalità di tale presenza (articolo 3).

In primo luogo va detto che la modalità di presenza di Dio in ogni cosa e in ogni luogo è duplice: da un lato esso è presente come causa agente, dall’altro come «oggetto dell’operazione è in chi opera». Il primo modo di presenza è riferito a tutte le cose create, mentre il secondo è riferito in modo particolare alla creatura razionale, l’uomo. Ciò, tuttavia, non basta. Infatti, va ulteriormente specificato che Dio è in ogni ente per potenza, per presenza e per essenza. Innanzitutto, Egli è presente in tutte le cose per potenza, «perché esse sono soggette al suo potere». In secondo luogo, Egli è presente per presenza, «perché tutte le cose sono senza veli e dischiuse davanti ai suoi occhi». Infine, è presente per essenza, «in quanto è presente in tutte come causa dell’essere». Si comprende, quindi, che la presenza di Dio in tutte le cose non implica che esse siano di natura divina, come vorrebbe una certa filosofia panteistica (deus sive natura), ma che esse rimandano all’esistenza e alla presenza di un Creatore e Signore.

Un’ultima questione inerisce ancora al nostro discorso: Quomodo a nobis Deus cognoscatur. A questo problema San Tommaso dedica la quaestio 12 della Pars prima. Rileva a proposito il santo domenicano: «Poiché finora abbiamo esaminato in che modo Dio esiste secondo se stesso, resta da esaminare in che modo esista nella nostra conoscenza, ossia in che modo sia conosciuto dalla creature».

Dio in sé è massimamente conoscibile, poiché è atto puro. Tuttavia, l’intelligibilità della sua essenza divina eccede la capacità dell’intelletto umano. Di conseguenza, essa non è conoscibile direttamente e immediatamente. Infatti, commenta p. Garrigou-Lagrange che «l’intelligenza creata può arrivare a conoscere Dio come essere e primo essere, sub ratione communi et analogica entis, ma con le sue forze naturali non può afferrare positivamente e propriamente la Deità, Deum sub ratione Deitatis». L’intelletto umano può conoscere Dio solo indirettamente risalendo, come San Tommaso ha dimostrato nella quaestio 2, la scala dei gradi dell’essere.

Allo stesso tempo l’uomo non può conoscere Dio immediatamente, «ossia comprenderlo sicuti est, sub ratione Deitatis clarae visae». Ciò sarà possibile nella visione beatifica in Paradiso, come afferma il dottore angelico: «Se l’intelletto della creatura razionale non potesse pervenire alla prima causa delle cose, il desiderio della natura sarebbe vano. Perciò, bisogna assolutamente ammettere che i beati vedano l’essenza di Dio», sempre secondo la capacità dell’intelletto. Infatti, la nostra anima, finché è legata al corpo, «ha l’essere in una materia corporea. Perciò, non conosce naturalmente se non le cose che hanno una forma nella materia». I sensi del corpo percepiscono ciò che è loro accessibile, ovvero ciò che è materiale, mentre l’essenza divina è massimamente spirituale. Inoltre, la conoscenza che si può avere di Dio tramite le creature, non è una conoscenza essenziale, ma mediata, come si è precedentemente detto. Si evince, quindi, che «è impossibile per l’anima dell’uomo, che vive in questa vita, vedere l’essenza di Dio». Ciò sarà possibile nell’altra vita, quando l’anima sarà ammessa alla visione beatifica del Paradiso.

Su questa terra l’uomo può conoscere Dio nelle realtà create, ma gli è concessa anche la possibilità di conoscerlo nella rivelazione per grazia. La grazia di Dio, infatti, inondando per puro dono imperscrutabile alcuni uomini di Dio, li ammette ad una conoscenza superiore della Deità, la quale rimane sempre una conoscenza limitata e non paragonabile alla visione beatifica. Di ciò San Tommaso fece esperienza realmente nella sua vita e, di conseguenza, potè scrivere che «il lume naturale dell’intelletto è rafforzato dall’infusione del lume della grazia». Ma questa è un’esperienza riservata da Dio ai mistici, da lui scelti per un dono gratuito non comprensibile né programmabile.

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