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Tutto l’Inferno del peccato attuale, a onta delle sue molteplici e vane divisioni apparenti, è diviso in sette ripiani rispondenti alle sette cornici del Purgatorio. L’inizio dell’Inferno del peccato attuale è segnato dall’essere presente soltanto qui il giudice infernale.
Inferno – Canto V
Quello che nella struttura palese dell’Inferno è il secondo cerchio, nella sua struttura segreta e significativa è invece il primo ripiano del peccato attuale. Come tale esso risponde esattamente all’ultimo ripiano del peccato attuale nel Purgatorio, dove, come in questo, si punisce la lussuria. E, come la regione che qui precede è la regione del peccato originale, così la regione che la sussegue, la Divina Foresta, è la regione della innocenza originale.
Tutto l’Inferno del peccato attuale, a onta delle sue molteplici e vane divisioni apparenti, è diviso in sette ripiani rispondenti alle sette cornici del Purgatorio. L’inizio dell’Inferno del peccato attuale è segnato dall’essere presente soltanto qui il giudice infernale. Minosse, oltre a essere il giudice infernale, è il preposto al primo cerchio che è cerchio d’incontinenza, non può quindi opporsi a Dante perché questi, avendo acquistato al passo dell’Acheronte la virtù che viene dalla Croce e quindi la conoscenza del vero bene, ha in sé la virtù per vincere tutti i cerchi dell’incontinenza. Minosse però tenta di spaventare Dante avvertendolo oscuramente che col solo aiuto della Croce e di Virgilio non potrà percorrere tutto l’Inferno (Guarda com’entre e di cui tu ti fide) avvertendolo che, quantunque la prima porta sia aperta per la virtù della Croce, ve ne è poi un’altra che è chiusa perché manca l’Aquila ed è la porta di Dite.
Dante non creda che tutto l’Inferno sia così facile a superare come la prima porta (Non t’inganni l’ampiezza dell’entrare). E alla minaccia oscura di Minosse Virgilio risponde, con altrettanta oscurità, che la potenza divina ha preordinato per Dante la vittoria anche sugli altri ostacoli e che il suo andare è fatale (v. 22).
Dante ripete qui la formula stessa che ha usato contro Caronte: «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole» (v. 23) simile a quella che userà contro Pluto: «Vuolsi nell’alto là…» (Inf., VII, 11). Tale formula non deve essere intesa come un gioco di parole né come una specie di formula magica. Essa è significantissima.
L’uomo aI presente non può vincere il male perché, avendo la Croce e non l’Aquila, vedendo e desiderando la meta e non avendo potenza di conseguirla non puote ciò che vuole. Per questo l’Inferno facilmente è uso a vincerlo; ma l’Inferno non può vincerlo più quando intervenga il Cielo a supplire alla sua mancanza di potere quando cioè intervenga per lui che non puote ciò che vuole, quel Cielo che puote tutto ciò che vuole.
In questo cerchio si parla (senza meglio specificare di che si tratti) della esistenza di una ruina avanti alla quale si fa più acuto e disperato il pianto delle anime. È questo uno scoscendimento o fessura nella roccia. Sapremo in seguito che un’altra «ruina» si trova là dov’è il Minotauro (Inf., XII, 4) e un’altra là dov’è crollato il ponte sulla bolgia degli ipocriti (Inf., XXIII, 133) e sapremo che tali ruine avvennero alla morte di Cristo. Queste tre rovine si trovano: la prima qui nell’Inferno dell’incontinenza, la seconda nell’Inferno della bestialità, la terza nell’Inferno della malizia. Esse rappresentano nello stesso tempo il segno della vittoria di Cristo sull’Inferno e la via per la quale deve passare il cristiano in quanto per opera della redenzione di Cristo voglia vincere l’Inferno e percorrere la strada della salute. Queste tre rovine, una per ognuna delle tre ripartizioni dell’Inferno del peccato attuale, avvennero quando avvenne l’infrazione della prima porta per opera del Cristo. Quella fu la prima rovina operata di persona dal Cristo e rimasta essa pure come simbolo e strumento della vittoria sul peccato originale; la vittoria sull’Inferno del peccato originale si ripercosse in tre rovine nelle tre parti dell’Inferno del peccato attuale. Ora s’intende perché le anime rinnovino il pianto avanti alla ruina, testimonianza della possibilità di salvarsi che esse avrebbero avuto per la virtù di Cristo, ma che per esse fu vana, perché non percorsero quella «ruina» in vita.
Dante dice chiaramente di essere passato per le altre due «ruine», (XII, 4; XXIII, 137) ma si deve intendere che egli discese nel cerchio della lussuria proprio per questa «ruina», vide infatti gli spiriti raddoppiare il pianto innanzi a essa e Minosse, alludendo all’«ampiezza dell’entrare» può essere che alluda non o non soltanto alla porta, ma a questo largo scoscendimento dovuto esso pure alla virtù della Croce, ma percorso invano da chi poi non possa con la virtù del l’Aquila vincere la porta di Dite. Il canto V rappresenta la contemplazione della colpa della lussuria e delle sue conseguenze di perdizione. Tale contemplazione si conclude con un cadere dell’uomo come corpo morto, cadere che nel dramma letterale è attribuito alla pietà ispirata da un’anima che piange e nel suo significato vero rappresenta la mistica morte alla carne (distinta dalla morte al peccato in genere che si è avuta al passo dell’Acheronte) raffigurata essa pure con i caratteri della morte reale. E appunto perché la caduta di Dante rappresenta la mistica morte alla carne, essa lo libera di per sé dal girone del peccato carnale, sicché egli si risveglia senza saper come, nel girone seguente.