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I Paliotti

Spesso ci capita di vedere nelle chiese, specialmente quelle più importanti e antiche, delle particolari opere d’arte il cui scopo è abbellire ancora di più il fronte degli altari maggiori. I paliotti, sconosciuti nelle chiese più recenti, costituiscono dei veri e propri capolavori il cui valore storico, artistico e culturale, è inestimabile.

Il paliotto o antependium (dal latino ante e pendere, cioè “che pende davanti”), è la parte anteriore e decorata di un altare, talvolta un pannello decorativo che può essere posto a rivestimento dello stesso. 

Il paliotto può essere di stoffa, di marmo o di metalli preziosi come l’argento; può essere a mosaico, in cuoio, dipinto, a legno intagliato e, in base alle tecniche di realizzazione, può avere un valore artistico notevole (di cui dopo vedremo alcuni esempi).

La denominazione era in uso nel tardo medioevo, infatti, nell’arte romanica e gotica, queste decorazioni videro il loro massimo splendore, con esemplari in marmo o legno scolpiti, lamine sbalzate in oro e argento e tessuti preziosamente ricamati. Lo sfarzo e ricchezza dell’oggetto fu affidato, nell’epoca rinascimentale e barocca, a materiali più durevoli. I paliotti di quel periodo sono caratterizzati da intarsi di marmi colorati, talvolta imitati dalla scagliola.

Un antependium di stoffa è normalmente realizzato dello stesso colore e spesso dello stesso tessuto e stile dei paramenti indossati dal clero. Il tessuto può variare da un materiale molto semplice, come cotone o lana, a damasco e fine seta filigranata, velluto o raso. La decorazione è generalmente effettuata mediante fasce decorative, ricami (talvolta in filo d’oro o d’argento, oppure utilizzando pietre e gemme semipreziose) o applicazioni (principalmente croci), frange e nappe, il tutto di un colore complementare al tessuto (dorato o argentato).

Tra i paliotti più conosciuti e belli, credo andrebbero menzionati almeno tre: l’Altare di Sant’Ambrogio dell’omonima Basilica milanese, la Pala d’Oro della Basilica di San Marco a Venezia e il Paliotto fioritodella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.

L’Altare di Sant’Ambrogio è firmato da Vuolvino. È un autentico capolavoro dell’oreficeria di epoca carolingia, ed è realizzato in legno con sovrapposizioni di lastre d’oro e d’argento dorato, pietre preziose e smalti. Collocato sotto un ciborio coevo, doveva rappresentare un segnale vistoso della presenza delle reliquie dei santi Gervasio e Protasio e dello stesso Ambrogio, collocate al di sotto dell’altare stesso e visibili tuttora da una finestrella nella cripta.

La forma di grande parallelepipedo doveva ricordare una cassa-sarcofago, anche se non venne progettato per contenere i resti dei santi. Le quattro facce laterali sono decorate da pannelli a loro volta suddivisi in storie più piccole.

La facciata anteriore dell’antependium è realizzata in oro. Il pannello contiene una croce detta clipeata, per la presenza al centro di un ovale che contiene il Cristo Pantocratore in trono. In corrispondenza dei bracci è raffigurato il tetramorfo, ossia i simboli dei quattro evangelisti (in alto l’aquila di Giovanni, a sinistra il leone di Marco, a destra il bue di Luca e in basso l’angelo di Matteo); nei quattro pannelli d’angolo sono invece raffigurati, a gruppi di tre, gli apostoli.

La Pala d’oro, conservata nel presbiterio della basilica di San Marco a Venezia, è un grande paliotto (212×334 cm) realizzato in oro, argento, smalti e pietre preziose. Il corredo dei suoi smalti è tra i più rilevanti nel suo genere. Alcune parti risalgono alla metà del XII secolo (come il Cristo Pantocratore, gli arcangeli, le feste) e sono considerati tra i più importanti pezzi dell’arte bizantina del tempo.

La realizzazione delle figure richiese un importante virtuosismo tecnico, con l’uso della tecnica cloisonné. Questa grandiosa opera di oreficeria venne realizzata proprio per la basilica patriarcale nel X secolo e venne arricchita fino al secolo XIV.

Secondo l’inventario del 1796, la pala è composta da 1300 perle, 400 granati, 300 zaffiri, 300 smeraldi, 90 ametiste, 75 balasci, 15 rubini, 4 topazi e 2 cammei per un totale di 1927 gemme.

L’insieme della parte inferiore appare come la città di cui parla l’Apocalisse di san Giovanni: «le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro simile a terso cristallo, le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose» (Ap21, 18-19).

Ultimo, ma non per importanza, e differente dai due precedentemente menzionati, il Paliotto fiorito, un magnifico tessile realizzato nel Seicento per decorare la parte frontale dell’altare maggiore della basilica di Santa Maria Novella nelle occasioni di maggiore solennità.

Dal fondo in seta bianca e blu del paliotto, affiora un motivo decorativo a girali e tralci di fiori, al centro del quale si trova una ghirlanda che racchiude la figura di Dio Padre. In questa sorta di giardino paradisiaco, che si dispiega come un variopinto pergolato, si distinguono nitidamente numerose specie botaniche, fra le quali spiccano i tulipani.

L’opera fu utilizzata per la prima volta sull’altare maggiore della basilica nel gennaio 1647.

Caduto in disuso nell’Ottocento, il Paliotto fiorito è rimasto nei depositi dei paramenti dismessi della basilica fino al 2003, quando è stato riscoperto. Nel 2005 l’opera versava in un pessimo stato di conservazione tanto che l’intervento di restauro si è concluso solo nel 2012.

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