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Il Signore degli Anelli: un’opera veramente cattolica

Spesso ci si domanda se sia veramente un’opera cattolica vista la trama e la presenza di personaggi a dir poco umani, tuttavia la risposta giace sotto i nostri stessi occhi: lo scrive lo stesso autore, JRR Tolkien, nella lettera del 2 dicembre del 1953 a padre Robert Murray. Ciò non dovrebbe sorprenderci, infatti la vita dell’autore è stata plasmata da una profonda fede cristiana che ereditò dalla madre. La donna si convertì alla fede cattolica pagando con caro prezzo: i genitori, di fede protestante, l’abbandonarono alla miseria.

La sua più grande opera, il Signore degli Anelli, oltre a contenere numerosi riferimenti alle Sacre Scritture, illustra fin dall’inizio il suo pensiero sul senso della vita e della scrittura. Se Dio, “scrivendo” la Bibbia ha dato vita a quegli eventi che narrava (la Parola si è fatta carne), l’uomo può solo “creare” mondi che rimangono prigionieri della scrittura. Questo è, secondo il nostro autore, il contributo che l’uomo può offrire al Dio nell’opera di creazione. Tolkien, come Dante, non scrive una fiaba o un’allegoria, ma un esperienza vera che rimanda ad altri significati o eventi.

Prepariamo dunque il nostro zaino (e non dimenticate il fazzoletto) e partiamo per questa avventura. Il messaggio che Tolkien vuole far arrivare al lettore del Signore degli Anelli è molto chiaro e lo riscopriamo nella liturgia della Parola della Messa in onore di Sant’Agnese: O Dio onnipotente ed eterno (che) scegli le creature più miti e più deboli per confondere la potenza del mondo. Ciò si traduce nella fiducia illimitata nel Dio cattolico e nel Suo progetto sulla storia, l’esaltazione degli umili, la follia che, come dice Gandalf durante il consiglio a Gran Burrone, sarà “il manto agli occhi del nemico” così da confondere la potenza del mondo.

A differenza di altre opere letterarie fantasy come Harry Potter, nell’opera dello scrittore inglese tutti, persino Gollum, possono riscattarsi e tutti, compreso Frodo, Aragorn, e Gandalf, sono costantemente tentati e non per forza capaci di superare la tentazione. Solo gli orchi e gli emissari di Sauron sono presentati come impermeabili alla salvezza: come peraltro i demoni e satana, secondo quanto scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica. Altro tratto molto importante è la rinuncia: la vittoria sul male è possibile solo rinunciando a qualcosa di caro. E’ proprio Bilbo che rinunciando al suo anello permette di salvare la Terra di Mezzo e lo stesso Frodo rinunciando alla sua vita tranquilla nella contea (come lo Hobbit).

Proseguiamo e trattiamo alcuni aspetti che spesso non sembrano essere molto chiari. Partiamo da una famosa frase di San Paolo:

“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”

(Rm 8, 28)

Nell’opera letteraria di Tolkien appaiono situazioni tragiche ma che al tempo stesso si trasformano in situazioni necessarie per raggiungere il bene. L’esempio più lampante è la “morte” di Gandalf: se lo stregone non fosse caduto non sarebbe potuto rinascere come Gandalf il bianco. Ricordiamo al riguardo le parole di Gesù: “se il seme non muore non porta frutto? In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna”.
Allo stesso modo senza l’attacco di follia di Boromir l’anello non “sarebbe andato ad est”, se Merry e Pipino non fossero stati catturati non si sarebbe risvegliata la foresta di Fangorn e con essa gli Ent, se Gollum non avesse tradito gli Hobbit l’anello non sarebbe stato gettato nel Monte Fato.

Incentriamo ora la nostra attenzione sul protagonista:

Frodo Baggins

Un intreccio tra Abramo, pronto a lasciare tutto, la casa, la ricchezza, la posizione, per andare nell’abominio della desolazione e Mosé, il profeta che si sente inadeguato per il compito affidatogli; e lo stesso Gesù, del quale condivide la profonda umiltà e la forte volontà di portare a termine il compito affidatogli a costo della vita.

Particolare attenzione bisogna poi rivolgere a Moria, il regno dei nani ormai controllato dagli orchi che la Compagnia dell’Anello attraversa nel primo libro. Sembra infatti che pochi abbiano preso in esame il fatto che Moria ha preso il nome dal monte sul quale Abramo viene inviato a sacrificare Isacco. Moria è il luogo sul quale verrà costruita, secoli dopo la vicenda di Abramo ed Isacco, la città di Ieru-Salem, il cui Re al tempo del patriarca è Melkisedec, re di Salem.
Uno dei colli di Moria è anche il Calvario, dove un altro sacrificio verrà officiato: quello di Nostro Signore. Ebbene è proprio in Moria che Gandalf muore per poi risorgere: un caso? Credo proprio di no. Una indicazione piuttosto, e molto marcata, che rimanda al vero senso del sacrificio.

Tuttavia dobbiamo fare alcune considerazioni per non cadere in errore.

Qualcuno sostiene che Frodo, protagonista della storia, è raffigurabile come una figura cristologica. Non possiamo però ritenere questa affermazione valida e veritiera proprio perché il suo eroismo e la sua determinazione non gli hanno impedito, alla fine, di cedere al potere dell’Unico Anello, un oggetto così potente e malvagio da indurre in tentazione (poi respinta) anche una sapiente dama elfica come Galadriel, inopportunamente paragonata da diversi studiosi alla Madonna.

Concludiamo con questo dialogo che quasi sembra stato scritto per i nostri giorni, in particolare quelli in cui stiamo vivendo un’emergenza non solo sanitaria, ma anche ecclesiale:

“Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!”, esclamò Frodo. “Anch’io”, annuì Gandalf, “come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato”.

Ecclesia Dei

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