di Tommaso Scandroglio – lanuovabq.it
Papa Francesco il 25 gennaio scorso ha rilasciato una lunga intervista all’Associated Press. Tra i molti temi toccati anche quello dell’omosessualità. Su questo argomento il Papa ha espresso la sua opinione relativamente a due relazioni: omosessualità e criminalizzazione della stessa; omosessualità e peccato.
Iniziamo dal primo punto citando il relativo passaggio dell’intervista: «Essere omosessuale non è un reato. Non è un crimine. Sì, ma è peccato. Bene, innanzitutto distinguiamo il peccato dal crimine. Ma è anche peccato la mancanza di carità con il prossimo. E come la mettiamo? […] Essere gay non è un crimine. È una condizione umana». A fronte di questa risposta il sito Outreach. An LGBTQ Catholic Resource, diretto dal famigerato padre James Martin fiero attivista LGBT, ha chiesto chiarimenti. Questa la replica di Francesco a padre Martin: «Non è la prima volta che parlo di omosessualità e di persone omosessuali. E ho voluto precisare che non è reato, per sottolineare che la criminalizzazione non è né buona né giusta. […] E direi a chi vuole criminalizzare l’omosessualità che si sbaglia».
Una nostra riflessione in margine alle parole del Papa. In primis annotiamo che gli ordinamenti giuridici possono sanzionare le condotte, gli atti, le azioni, non le condizioni. Dunque la condizione omosessuale, come dice Papa Francesco, in quanto tale non dovrebbe mai essere criminalizzata. Ma come la mettiamo con le condotte omosessuali che nascono da quella condizione? Secondo i principi della legge naturale, un ordinamento giuridico deve sanzionare penalmente una condotta quando lede gravemente il bene comune e la sanzione risulta essere efficace. Da ciò si comprende che non tutte le condotte contrarie alla morale naturale devono essere sanzionate. È ciò che dice Papa Francesco, in chiave teologica, quando applica la distinzione tra peccato e crimine. Ad esempio sarebbe errato che lo Stato punisse una menzogna detta ad un amico (ecco il riferimento di Francesco agli atti privi di carità ma, aggiungiamo noi, non lesivi del bene comune), ma è invece giusto sanzionare la menzogna quando è proferita davanti ad un giudice o quando è presente nella dichiarazione dei redditi (anche queste azioni sono contrarie alla carità e nello stesso tempo contrarie al bene comune).
Le condotte omosessuali, essendo profondamente contrarie all’ordine naturale, hanno in sé la potenzialità anche di scardinare l’ordine pubblico, di ledere in radice il bene comune perché possono sconvolgere l’assetto antropologico di una società, possono sovvertirne l’ordinata convivenza civile. Troviamo questo riferimento all’intrinseca potenzialità dell’omosessualità di corrompere i costumi sociali nel seguente passaggio presente nel documento Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessualidella Congregazione per la Dottrina della Fede in cui quest’ultima giudica opportuno «richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno [dell’omosessualità] entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica» (n. 5). Ciò detto, a volte – ed oggi assai spesso – è preferibile che l’ordinamento giuridico non sanzioni tali condotte perché la sanzione, in certi contesti oggi molto diffusi, recherebbe danni al bene comune maggiori delle medesime condotte omosessuali. Ad esempio la sola proposta di una norma che punisse alcuni atti omosessuali farebbe perdere, in ambito sociale e quindi anche politico-giurdico, moltissime posizioni ai sostenitori della famiglia naturale. Insomma, la medicina sarebbe peggio del male da curare. Allora è assai preferibile tollerare le condotte omosessuali e intervenire su altri piani, come quello educativo, culturale, eccetera.
Passiamo al secondo punto toccato dal Pontefice: la relazione tra omosessualità e peccato. Nell’intervista ad Associated Press, come abbiamo visto, il Papa esplicitamente afferma che l’omosessualità è peccato. Il sito Outreach però anche in questo caso chiede chiarimenti: «Sembra che ci sia stata una certa confusione riguardo al suo commento, “Essere gay è un peccato”, che, ovviamente, non fa parte dell’insegnamento della chiesa [minuscolo nel testo]. La mia sensazione era che Lei stava semplicemente ripetendo ciò che altri avrebbero potuto dire ipoteticamente. Quindi, pensa che essere semplicemente gay sia un peccato?». Chiaro l’intento di Padre Martin di lanciare un salvagente al Papa allo scopo di dargli l’opportunità di ritrattare onorevolmente quanto espresso nell’intervista: altrimenti l’equazione “gay = peccato” avrebbe tagliato le gambe alle lobby gay in casa cattolica. Il Papa così risponde: «Quando ho detto che è un peccato, mi riferivo semplicemente alla dottrina morale cattolica, che dice che ogni atto sessuale al di fuori del matrimonio è un peccato. […]. Avrei dovuto dire “È un peccato, come qualsiasi atto sessuale al di fuori del matrimonio”». Le cose non stanno così.
Innanzitutto anche i rapporti anali (propri delle relazioni gay maschili) all’interno del vincolo matrimoniale sono contrari alla morale naturale almeno per due motivi. Di loro contrastano la dignità personale perché non esprimono autentico amore: chi ama il coniuge, lo rispetta e quindi desidera che il rapporto avvenga, per usare un’espressione dei moralisti di un tempo, nel vaso naturale. In secondo luogo il rapporto anale è per sua natura infecondo e quindi contraddice la finalità del matrimonio (questo secondo motivo è in realtà un corollario del primo). Dunque, anche se ammesso e assolutamente non concesso che le persone omosessuali possano sposarsi, i rapporti anali non potrebbero mai essere leciti moralmente, nonostante il loro esercizio all’interno di una relazione matrimoniale. Però questa motivazione potrebbe salvare, dal punto di vista morale, i rapporti omosessuali saffici.
In realtà gli atti omosessuali, sia tra uomini che tra donne, non sono illeciti perché avvengono fuori da matrimonio, ma appunto perché avvengono tra due persone dello stesso sesso. Ciò che rende sempre moralmente illecito qualsiasi atto omosessuale – la penetrazione, le carezze, i baci, eccetera – sta nel fatto che l’atto materiale è informato dall’orientamento omosessuale, ossia è espressione della condizione omosessuale, condizione che, come insegna il Catechismo (2358), è intrinsecamente disordinata, ossia contraria all’ordo impresso nella ed espresso dalla natura umana, la quale inclina l’uomo ad essere attratto dalla donna e viceversa. Se la condizione è disordinata anche tutti gli atti che promanano da questa saranno altrettanto disordinati e quindi immorali. Negli effetti riverbera il disordine presente nella causa (va da sé, poi, che la persona omosessuale debba essere sempre accolta con rispetto).
Facciamo un paio di esempi, premettendo, a beneficio dei luogotenenti a difesa del politicamente corretto, che sono appunto solo esempi, analogie e non identificazioni tra un caso e l’altro. I rapporti sessuali pedofili non sono illeciti perché avvengono fuori dal matrimonio, ma perché avvengono tra adulti e bambini. I rapporti carnali zoofili non sono illeciti perché avvengono fuori dal matrimonio, ma perché avvengono tra una persona e un animale. I rapporti sessuali incestuosi non sono illeciti perché avvengono fuori dal matrimonio, ma perché avvengono tra consanguinei stretti. I rapporti sessuali adulterini non sono illeciti perché avvengono fuori dal matrimonio, ma perché il rapporto avviene tra persone sì sposate (o almeno una di queste deve essere sposata), ma non tra loro. I rapporti sessuali a pagamento non sono illeciti perché avvengono fuori dal matrimonio, ma perché si mercifica un atto che per sua natura è un atto d’amore, quindi oblativo e quindi gratuito. I rapporti sessuali estorti con violenza non sono illeciti perché avvengono fuori dal matrimonio (anche perché posso avvenire nel matrimonio), ma perché il rapporto sessuale per sua natura è un atto d’amore e quindi libero. I rapporti carnali anali non sono illeciti perché avvengono fuori del matrimonio (anche perché possono avvenire nel matrimonio), ma perché, tra gli altri motivi visti, sono infecondi.
Vero è, come ricorda il Papa citando il Catechismo, che solo nel matrimonio sono leciti i rapporti sessuali, ma la specie morale particolare di ciascuna delle condotte sopra ricordate si costituisce non per la condizione “persone non sposate”, ma a motivo delle condizioni prima indicate: mancanza di diversità di sesso per l’omosessualità, mancanza di maturità nel bambino per la pedofilia, diversità di specie per la zoofilia, consanguineità per l’incesto, presenza di un vincolo coniugale che però non interessa uno o entrambi gli amanti nell’adulterio; mercificazione nella prostituzione; violenza nello stupro; infecondità nei rapporti anali. È ciò che indirettamente si ricava dalla lettura del Catechismo riguardo ad alcune di queste condotte (cfr. 2331-2359) che vengono per l’appunto spiegate separatamente perché, sebbene siano tutte contrarie alla castità e dunque in ultima istanza alla dignità personale, sono tutte diverse per specie morale.
La condizione che vede tutti questi rapporti sessuali esercitati fuori dal matrimonio è sì presente, ma viene trascesa, assorbita da una condizione ben più grave così da generare un oggetto morale diverso, un’identità dell’atto assolutamente diverso, un’azione di per sé differente. In altri termini, quella condizione (rapporto fuori dal matrimonio) unita ad un’altra (rapporto tra persone dello stesso sesso) incide sull’essenza dell’atto, sulla natura dell’atto, tanto da farla passare da fornicazione (rapporto fuori dal matrimonio) a rapporto omosessuale. Non è più semplicemente un rapporto fuori dal matrimonio, ma qualcosa di essenzialmente altro: rapporto omosessuale.
Così Tommaso d’Aquino: «non è escluso che [l’atto morale] non possa ricevere la specie per le circostanze, poiché per la circostanza si può considerare nell’oggetto qualche nuova condizione, con cui essa dà la specie all’atto. Per esempio, se dicessi “prendere una cosa altrui, che si trova in un luogo sacro” qui si considera la condizione dell’oggetto in base alla circostanza del luogo, e così si ha la specie del furto, che è il sacrilegio in base alla circostanza del luogo e non per la condizione dell’oggetto» (De malo, q. 2, a. 6, ad 2). Il furto commesso in una chiesa, dal punto di vista morale diventa sacrilegio. Diventa altro, cambia nome sebbene in sé ci sia anche un elemento comune con il furto, ossia la sottrazione di un bene altrui. Il rapporto sessuale avvenuto necessariamente fuori dal matrimonio da due persone dello stesso sesso non è più fornicazione, ma rapporto omosessuale, sebbene anche nel rapporto omosessuale sopravviva l’atto materiale del rapporto sessuale extramatrimoniale.
Tutto questo per dire che il divieto morale concernente i rapporti omosessuali non deriva dalla circostanza che tali rapporti avvengono fuori dal matrimonio, ma perché avvengono tra due persone dello stesso sesso. È questa circostanza a costituire la specie morale dell’atto e quindi a fondare la sua riprovazione morale. Fondare l’illiceità dei rapporti omosessuali sulla circostanza che avvengono fuori dal matrimonio, li equipara, per gravità morale, ad esempio ai rapporti pre-matrimoniali tra fidanzati eterosessuali. Ma questi sono illeciti perché esercitati fuori dal matrimonio, quelli omosessuali sono assai più illeciti perché esercitati tra due persone dello stesso sesso.
Inoltre questa sovrapposizione potrebbe ritenere leciti tutti quegli atti di affetto in una coppia omosessuale che sono materialmente identici agli atti di affetto tra fidanzati etero considerati moralmente leciti. In altre parole: se due fidanzati non possono avere rapporti sessuali perché non sono sposati, ma possono baciarsi, allora anche una coppia omosessuale non potrà avere rapporti carnali, ma almeno potrà baciarsi. Questa argomentazione non regge proprio per i motivi sopra esposti: è la condizione omosessuale che inficia dal punto di vista morale qualsiasi manifestazione affettiva di tale condizione. Quindi anche il bacio omosessuale è da censurare dal punto di vista morale. Inoltre affermare che il rapporto omosessuale è illecito perché esercitato fuori dal matrimonio potrebbe spingere al riconoscimento delle “nozze” gay. Infatti – così si potrebbe argomentare – se i gay si potessero sposare non peccherebbero più.
Un’ultima riflessione sulla relazione tra condizione omosessuale e peccato. Quest’ultimo indica un atto volontario che offende Dio perché non consono alla sua volontà. È quindi una traduzione in chiave teologica del male morale naturale. Ne consegue che le condotte omosessuali, qualora fossero libere, sono peccato. E invece la condizione omosessuale? Se Tizio provasse una forte attrazione omosessuale, questa condizione sarebbe peccaminosa? Dipende se questa condizione è esisto di scelte libere. Facciamo il caso che Tizio, animato solo da impulsi eterosessuali, decidesse ad un certo punto, per curiosità, di avere rapporti con altri uomini. Dopo molti anni di omosessualità praticata, ormai in lui si è costituita una condizione omosessuale, ossia un vizio omosessuale, uno stato interiore orientato all’omosessualità. Appare evidente che questa condizione, essendo frutto di libere scelte, è a lui imputabile ed è quindi essa stessa peccaminosa. Così come lo sono tutti i vizi – abitudini contratte liberamente – o la condizione di divorziato (solo quando ovviamente tale condizione è stata scelta liberamente e non imposta dall’altro coniuge, e non quando esprime in sede civile un processo di nullità in sede canonica).
Quando invece l’omosessualità è condizione costituitasi senza la volontà del soggetto, pensiamo ad alcuni fattori educativi e condizionamenti ambientali fortemente impattanti per la psiche di un bambino, la condizione non è peccaminosa, ma rimane una condizione che la ragione giudica negativamente e quindi moralmente riprovevole sebbene non imputabile al soggetto che la sperimenta. La mancanza di libertà nel costituire simile orientamento non lo fa diventare un orientamento peccaminoso, rimanendo però immorale, perché oggettivamente disordinato. Esistono molte condizioni disordinate, ossia non ordinabili al bene della persona, non imputabili a nessuno, condizioni che sono tali, alla fine, a motivo del peccato originale.