LETTERA PASTORALE DEL CARDINAL SIRI AL CLERO E AL POPOLO PER LA QUARESIMA 1951
Cari Confratelli, Diletti Figli!
È il tempo, questo della Quaresima, in cui ciascuno di voi deve fermarsi e pensare all’anima sua. La Pasqua impone questa revisione chiara, umile, prudente. Molti di voi potrebbero essere diventati peggiori, molti potrebbero essersi irrigiditi nei loro difetti senza accorgersi che il tempo vola, molti potrebbero essersi resi così distratti da non pensare abitualmente più a nulla di serio. Chi ascolta o legge queste Nostre parole, le accolga come se fossero rivolte a lui solo.
Ebbene: usiamo di un diritto divino ed entriamo arditamente nella vita di ciascheduno di voi per chiedervi: «Pregate?».
Voi che avete tanto da fare, voi che vi aggirate da mane a sera tra volti e cose ed affari assolutamente profani, pregate?
Voi che avete nulla da fare, perché dedicare troppe ore ogni giorno a chiacchiere e passatempi; voi che, facciate o non facciate, siete pieni di noia ed aumentate con ogni brivido la vostra noia, pregate?
Voi che state bene in salute e vi pare di essere pertanto indipendenti, pregate?
Voi che avete la illusione di contare qualcosa nel mondo, voi che vi ritenete interessanti e per questo non comuni, voi che vi sentite giovani e padroni dell’attimo fuggente, pregate?
Voi che siete moralmente deboli e vi arrendete con facilità alla paura, al rispetto umano, ad ogni immondizia, pregate?
E finalmente voi che avete peccato tanto, voi che soffrite, pregate?
Che significato ha questa domanda, la quale è fatta col solo scopo di stimolare un esame di coscienza?
Pensare a Dio, a tutte le cose superne, alle verità Sue coll’affetto del cuore e pertanto ricordarsi di questo superiore mondo, accostarsi dentro di noi a quello e — pertanto — innalzarsi: questo è pregare.
La voce è cosa secondaria, la articolazione della parola esterna non sempre assolutamente occorre; non va però disprezzata, perché completa l’opera, fissa l’attenzione e ci collega cogli altri.
Ma i veri grandi attori, nobili puri e dignitosi, della preghiera sono la mente ed il cuore.
E che contiene quel «pensare»? Può contenere tutto: adorare, ammirare, ringraziare, pentirsi, ricordare, esaminare ed esaminarsi, contemplare verità e fatti, chiedere… Col buon Dio abbiamo la libertà dei figli e nessuno di quei timori, che ci legano davanti agli uomini, perché possono ridere della nostra ingenuità o del nostro impaccio o della nostra ignoranza, hanno ragione di legarci.
Pregare non è dunque soltanto chiedere. Il ripassare le formule del Catechismo, del Vangelo, del Decalogo, può essere preghiera.
Non è forse bello sapere che su ogni cosa ci può essere un colloquio con Dio, vero e sentito? Non è forse rassicurante la certezza di poter aprire questo ineffabile dialogo e che di esso, con una dignità senza confronti, può essere intessuta tutta la vita?
Si tratta di un dialogo al quale il Divino Interpellato è sempre presente. Ed è Padre!
Voi, Diletti Figli, capite che se vi chiediamo: «pregate?», non alludiamo solamente alle orazioni del mattino e della sera, alla recita della salutazione angelica per il suono dell’Angelus, alla partecipazione alle pubbliche preghiere, a quegli atti coi quali educatamente si preparano e si completano i Santi Sacramenti.
È ovvio, dopo quanto si è detto, che Noi chiediamo di più, assai di più.
Noi chiediamo insomma se avete l’uso di animare la vostra vita, di schiarire il vostro senso morale, di rompere la materiale ed inaridente solitudine delle abituali occupazioni, parlando col Signore dentro di Voi o portando il pensiero Vostro su quel mondo che Lo riguarda e nel quale ci incontriamo colla Vergine Santissima, coi Santi, coi nostri Angeli, coi nostri cari Defunti, colla verità, colla giustizia e coll’amore, colla intima gioia e colla pace.
Vi chiediamo se delle migliori cose della vostra infanzia — ricordate? — e della vostra educazione avete conservata questa piccola molla, che spinge in ogni occasione verso dell’Alto.
Sentite.
Il più nella salute, nei fatti del piccolo e grande mondo ci sfugge e né i singoli né i popoli ci possono molto. Sempre, dunque, vien da pensare a Colui che dispone ed è il Signore delle cose e dei fatti. Non vi pare ragionevole trattare spesso con Lui: Egli non è affatto un estraneo in qualunque frangente. Parlare col Signore è l’unica cosa logica di qualunque nostro momento.
Tutti voi vorreste ordinariamente fare piuttosto il bene che il male. In realtà i più di voi finiscono spesso nell’opposto. Perché? Siamo deboli. Non è logico allora chiedere al Signore la grazia Sua per sostenere la volontà vacillante?
Molti di voi sentono il peso delle cose umane, quasi fossero uno scherzo insidioso e maligno. Ricordatevi che tutte le cose umane non hanno volto completo e non sorridono, se non rimangono abitualmente accanto alle cose divine. Senza di queste perdono un contorno, uno sfondo, un motivo, una linea ed il giusto colore; se a qualunque bella figura togliete una linea, avete un mostro. La preghiera portata coraggiosamente nella vita, rendendoci vicino il mondo di Dio, completa tutto e finisce sempre col donare un senso ed una interiore pace alla nostra esistenza. Perché soffrire inutilmente?
Molti di voi soffrono perché non sono buoni. Ma se pregassero diverrebbero umili e veritieri; perché, a pregare, ci si fa così accosto alla grandezza del Signore ed alla Sua luce, che i sussulti del nostro orgoglio debbono distendersi e in qualche modo placarsi. Se pregassero veramente, al discendere dentro e trovarvi gli orrori dell’odio, della malignità, dell’ingiustizia e della lussuria, continuamente si sentirebbero spinti a ritrarsene. E la grazia di Dio non farebbe difetto al ragionevole sforzo.
Molti di voi sono annoiati e tristi.
C’entra in questo anche l’usura dello sforzo dannato di questa nostra frettolosa età. Ma il più gran motivo è spirituale. Dio è troppo assente dalla vostra mente. Lui assente, tutte le cose mostrano segni così evidenti e sformati di loro parentela colla morte, da divenir larghe più di mistero che di chiarezza, più di ghigno che di sorriso. E non vale stordirsi troppo: non esiste artificiale sordità per le insorgenti e totali richieste dell’anima umana. Ma se pregaste… La luce del sole di Dio darebbe onesta forma ad ogni cosa.
Non sarete mai né contenti né in pace fintantoché non ritornerete alle Sacre solennità, alla piena santificazione del giorno del Signore, alla perenne laude di Lui.
Pregare è, oltre tutto, ritornare la naturalezza alla nostra vita.
Giovani, a molti di voi sembrerà stucchevole e piccino il pregare.
Attenti bene: le cose che ora nel clangor della piazza e del ritrovo, nella posa dei fortunati cialtroni, nelle arie delle recitazioni lattanti vi sembrano né stucchevoli né piccine, ad una ad una vi lasceranno.
Le illusone luci si attenueranno presto.
Imparerete per tempo a stimare e consolidare quello che vi potrà accompagnare sempre. Voi, che avete dinnanzi più futuro e pertanto più imprevisto, avete, più degli altri, bisogno di pregare.
Voi, che state ponendo ora i fondamenti di una benedizione o di una maledizione e che non potete togliere ai vostri atti la forza di influire sulla rimanente vostra vita, avete più degli altri bisogno di pregare.
Voi, ai quali le leggere abitudini cambieranno in doloroso giogo tutti i futuri inevitabili doveri, avete più degli altri bisogno di pregare.
Nessuno di voi dimentichi, diletti figli, che quando la preghiera è fatta nella comunione di carità coi fratelli, insieme allo stesso Salvatore Nostro ed alla Chiesa Sua, nella Santa Messa, nei Santi Sacramenti, nella pubblica e solenne liturgia dei templi, ha un valore incomparabilmente più grande ed una intima risonanza più profondamente intrisa di grazia di Dio e di superni doni. E mai rassegnatevi a non capire quello che, pregando, dite; poiché, se volete, tutto e sempre potete capire.
Tanto vi abbiamo scritto per la convinzione Nostra che senza preghiera, neppur nel suo aspetto umano, è completa e serena la nostra vita. In più al dubbio circa le decisioni delle supreme sorti del nostro mondo, se debba respirare o sommergersi, nulla si opporrà di sufficiente senza la preghiera.
La grazia, la pace e la benedizione del Salvatore Nostro e la consolazione dello Spirito Santo siano sempre con voi e vi salvino.
Dato a Genova nel Nostro Palazzo Arcivescovile nel giorno Sacro delle Ceneri settimo di Febbraio 1951.
GIUSEPPE, Arcivescovo