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L’Anafora di Addai e Mari

L'Anafora di Addai e Mari è una delle più antiche preghiere eucaristiche, giunta fino ai nostri giorni praticamente intatta. Essa ha una particolarità che la differenzia da tutte le altre, mancando dell'istituzione. Quale stimolo può avere per noi?

Della celebrazione della Messa, come ben sappiamo, la parte più importante è chiaramente quella della preghiera di consacrazione, che ne costituisce il fulcro e l’origine del significato intrinseco. Non a caso, fino alla riforma liturgica operata sotto Paolo VI, questo centro attorno a cui ruotava la celebrazione era chiamato Canone, che in latino significa “regola”, “ordinamento”: una chiara dimostrazione della rilevanza assoluta della preghiera eucaristica, come si è iniziato a chiamare la varia gamma di “canoni” proposti dal Messale Novus Ordo.

Presso gli orientali, tra i quali la struttura della divina liturgia è differente ma con tratti comuni alla celebrazione della Messa Romana, la preghiera eucaristica prende il nome di anafora. Tra i vari significati che questa parola può avere in greco, il più degno di nota in questa sede è certamente quello che indica il gesto del portare in alto, significato che la fa assimilare in qualche modo alla parola latina oblatio. Offerta, dunque. Non si può ricollegare a un’idea di consacrazione per come la intendiamo noi, mancando le parole istituzionali, l’anafora di Addai e Mari.

Questa preghiera, la cui datazione la fa risalire al III secolo, è in uso presso i Caldei e i Malabaresi.

La struttura.

Il prefazio ha un’impostazione anamnetica, ripercorrendo le tappe della Storia della Salvezza, pur accennandole in maniera lieve. Saranno infatti rielaborate dopo il Sanctus. Quest’ultimo rende il “Deus Sabaoth” come “Dio potente”, facendo tornare alla fonte la potenza degli angeli e delle schiere celesti che lodano incessantemente il Signore.

Dopo il Sanctus viene spiegato ciò che nel prefazio resta accarezzato, ma in modo singolare. L’azione redentrice, infatti, è ricondotta al Padre, e non già al Figlio

E con queste potenze celesti ti confessiamo, Signore, anche noi tuoi servi deboli e infermi e miseri, perché facesti a noi una grande grazia che non si può pagare: poiché rivestisti la nostra umanità per vivificarci attraverso la tua divinità, ed elevasti la nostra oppressione, e rialzasti la nostra caduta, e risuscitasti la nostra mortalità, e rimettesti i nostri debiti, e giustificasti la nostra condizione di peccato, e illuminasti la nostra mente, e superasti, Signore nostro e Dio nostro, i nostri avversari, e facesti risplendere la debolezza della nostra natura inferma con le misericordie abbondanti della tua grazia.

Dopo il ricordo dei “Padri retti e giusti”, con il quale ha inizio la sezione epicletica, ha luogo quello che Padre Cesare Giraudo chiama “quasi-racconto”, ovvero una consacrazione senza le effettive parole dell’istituzione.

E anche noi, Signore, tuoi servi deboli e infermi e miseri, che siamo radunati e stiamo dinanzi a te in questo momento, abbiamo ricevuto nella tradizione la figura che viene da te, giacché ci allietiamo e lodiamo, ed esaltiamo e commemoriamo, e celebriamo e facciamo questo mistero grande e tremendo della passione e morte e risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo. Venga, Signore, lo Spirito tuo santo, e riposi sopra questa oblazione dei tuoi servi, e la benedica e la santifichi, affinché sia per noi, Signore, per l’espiazione dei debiti e per la remissione dei peccati, e per la grande speranza della risurrezione dai morti, e per la vita nuova nel regno dei cieli con tutti coloro che furono graditi dinanzi a te.

Il ricordo dei Padri fa da raccordo proprio perché non è un semplice memento universale dei fedeli defunti, ma piuttosto di coloro che dai tempi della prima successione apostolica hanno tramandato la celebrazione fino ai giorni in cui si recita, ed ecco spiegata la successiva menzione della tradizione.

Conclusioni.

Nel 2001 la Chiesa Cattolica ha riconosciuto la validità dell’anafora di Addai e Mari in virtù della sua antichità, risalente all’era post apostolica, asserendo altresì che “le parole dell’Istituzione Eucaristica sono di fatto presenti nell’Anafora di Addai e Mari, non in modo narrativo coerente e ad litteram, ma in modo eucologico e disseminato, vale a dire che esse sono integrate in preghiere successive di rendimento di grazie, lode e intercessione”.

Tutto questo basta? Un suo inserimento nella liturgia cattolica è da escludersi, dunque un riconoscimento ufficiale potrebbe essere d’aiuto, fosse solamente per il fatto che l’anafora rappresenta un fossile vivente, un’antica testimonianza, ancora in uso, della struttura generale della preghiera eucaristica dei primi secoli del cristianesimo. In altre parole, un’occasione di arricchimento storico-liturgico.

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