Tutto ha avuto inizio in Francia quando il tribunale francese ha condannato un’attivista femminista per aver profanato una chiesa, nello specifico mimando l’aborto della Vergine Maria e orinando su di un altare. In seguito alla denuncia, la femminista fu condannata a un mese di carcere con la sospensione della pena, fino a quando il caso non è passato sotto gli occhi vigili della Cedu che con una sentenza ha dato ragione alla femminista. Per la precisione la Cedu ha giustificato la sentenza ricordando «che una pena detentiva inflitta nell’ambito di un dibattito politico o di interesse generale è compatibile con la libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione solo in circostanze eccezionali, ad esempio, la diffusione di un discorso di odio o di incitamento alla violenza. In questo caso, l’azione della ricorrente a cui non è stato rimproverato alcun comportamento offensivo o odioso, aveva l’unico scopo di contribuire al dibattito pubblico sui diritti delle donne».
Insomma i diritti delle donne sono importanti, su questo non c’è dubbio, ma è anche evidente che in Francia profanare le chiese sia diventata un’abitudine e il fatto stesso di essere cattolici oggi è motivo di scandalo. La verità è che abbiamo più martiri oggi di ieri e che si tratta di un’insaguinato ritorno all’epoca apostolica, quella degli inizi. Non è solo una questione di diritti, ma si tratta più in generale di un odio profondo e radicato verso la cattolicità, verso ciò che è giusto, verso ciò che viene da Dio. Secondo la profezia di Simeone a Maria: «Gesù è segno di contraddizione, per la rovina e la risurrezione di molti» (Lc 2,34). Questa verità è illustrata attraverso un testo del profeta Michea (7,6) che descrive l’aggravarsi della corruzione sociale con la rivolta, piena di odio, dei figli contro i genitori. D’altronde chi trasmette un’autentica parola che viene da Dio non si deve stupire dinanzi a qualche reazione violenta, come d’altra parte di fronte a una reazione di indifferenza il cristiano deve chiedersi se non abbia comunicato solo una parola umana o venduto sale scipito. È quanto si ritrova anche nell’atteggiamento di Geremia (38,4-6.8-10) imprigionato per aver aperto gli occhi sulla tragica situazione della città di Gerusalemme e nell’esortazione della lettera agli Ebrei a non perdersi d’animo nelle difficoltà e «a resistere fino al sangue nella lotta contro il peccato» (12,3-4). Nel vangelo di San Luca (12, 54-59), Gesù compie un atto di fiducia nell’intelligenza umana capace di discernere lo sviluppo degli eventi.
L’uomo infatti si rivela capace di prevedere la pioggia o il caldo, ma non è altrettanto capace di capire i segni dello sviluppo del regno di Dio nella storia, quel momento favorevole (kairós) per l’incontro con Dio e di giudicare «personalmente ciò che è giusto» (v.57). Ma attenzione, questo versetto che chiude la pericope evangelica, è da unire ai versetti seguenti che invitano i litiganti a mettersi d’accordo, anziché rivolgersi ai giudici, meno capaci, talvolta, a chiarire la verità dei fatti rispetto a chi li vive: «Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo». Il fatto che Dio rispetta la libertà non significa che autorizza l’uomo a prevaricare. Significa semplicemente che non lo vuole salvare per forza: «chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te» dice Sant’Agostino. Anche San Paolo precisa: «Voi siete chiamati alla libertà; ma badate che questa non diventi un pretesto per la carne; piuttosto nella carità mettetevi a servizio gli uni degli altri» (Gal 5, 13). Gesù ci invita a fare un passo avanti nella fraternità, nell’amore, nella sincerità, nei rapporti umani. Non basta non uccidere il fratello, occorre rispettarlo, non prenderlo alla leggera, non sentirsi superiore a lui. Si può uccidere con le parole, con un giudizio duro, con un atteggiamento sprezzante. Si può uccidere un fratello con questi gesti sacrileghi, spogliandosi nei luoghi sacri e orinando sull’altare. Gesù preannuncia già tutto questo ai suoi discepoli: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Mc 13, 13). Anche gli apostoli, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5, 41), furono flagellati. Dai tempi dell’Impero Romano si è giunti alla campagna di scristianizzazione dell’Europa, iniziata teoricamente dall’Illuminismo e praticamente realizzata durante il regno del terrore della Rivoluzione francese, supportata dall’odio devastante verso il nome di Cristo e dei suoi discepoli. Le battaglie culturali dell’anticlericalismo liberale del XIX secolo e le ideologie politiche totalitarie del fascismo e del comunismo nel XX secolo sono alimentate dall’odio per il nome di Dio rivelato da suo Figlio, che i suoi discepoli testimoniano con parole e atti. La ricerca, blasfema verso Dio e umanamente sanguinosa, di auto-redenzione in un paradiso umano utopico non è altro che la palese violazione del secondo Comandamento del Decalogo. Tuttavia, questo è stato opera di uomini che hanno abbandonato la propria fede in Cristo o che sono stati vittima della propaganda anticristiana. Coloro, invece, che conoscono la legge di Dio e la violano si dice: «Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra le genti» (Rm 2, 24). La cristianofobia che oggi stiamo vivendo è nata dall’odio per il nome di Dio, Creatore e liberatore di ogni essere umano. Quello per cui queste signore si battono e cioè l’aborto come diritto civile, il suicidio assistito, l’eutanasia per eliminare le gravi infermità degli anziani e dei malati, l’abuso del concetto di matrimonio istituito da Dio tra uomo e donna per giustificare i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso sono un’altra forma di offesa al nome di Dio.