San Benedetto da Norcia, nacque a Norcia nel 480 circa, da una famiglia nobile cristiana. Compie i suoi primi studi a Norcia. A 12 anni fu mandato con la sorella Scolastica a Roma a compiere i suoi studi, ma sconvolto dalla vita dissoluta della capitale lo induce ad abbandonare gli studi umanistici per timore di essere coinvolto nella medesima dissolutezza dei suoi compagni. L’abbandono degli studi coincide in realtà con la nascita della sua vocazione religiosa. Così a soli 17 anni si ritirò ad Eufide (attuale Affile) nella valle dell’Aniene insieme alla sua vecchia nutrice Cirilla, dove condusse per tre anni una vita di penitenza e solitudine assoluta, appoggiandosi saltuariamente ad una vicina comunità di frati. La sua idea di vita religiosa diventa però sempre più vicina all’eremitismo e alla meditazione solitaria. Lascia quindi la nutrice e si dirige verso Subiaco, dove, grazie al contatto con il monaco Romano, di un monastero vicino, scopre una inospitale grotta presso il Monte Teleo. Ed è proprio nella grotta che rimane in eremitaggio per tre anni. Terminata l’esperienza di eremitaggio, nel 500 si dirige verso un monastero nei pressi di Vicovaro, ma è costretto ad abbandonarlo quasi subito a seguito di un tentativo di ucciderlo con una coppa di vino avvelenato, perpetrato ai suoi danni dai monaci.
Ritornò così nella sua caverna a Subiaco, che rimane la sua dimora per circa 30 anni, predicando la “Parola del Signore” ed accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di dodici monasteri, ognuno con dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale. Nel 529 lascia Subiaco, secondo alcune fonti per contrasti con un ecclesiastico locale, secondo altre per un nuovo tentativo di avvelenamento, con un pane avvelenato, subìto in monastero. Benedetto decise di abbandonare Subiaco per salvare i propri monaci, si diresse verso Cassino dove, sopra un’altura, fondò il monastero di Montecassino, edificato sopra i resti di templi pagani, qui, nel 540, scrisse la sua «Regula Benedicti», che divenne la magna charta di tutti i monasteri benedettini dell’Occidente. In realtà, la regola contiene molte utili indicazioni per l’organizzazione della vita dei monasteri. Quando Benedetto la elabora i monaci non hanno una dimora stabile, ma vivono in maniera vagabonda. Nella sua regola, che poi è una sintesi del contenuto dei Vangeli, stabilisce che ciascun frate deve scegliere un unico monastero presso il quale soggiornare fino al momento della morte. Stabilisce inoltre che la giornata all’interno dei monasteri deve essere scandita da momenti di preghiera, studio e lavoro secondo il motto “ora et labora” (prega e lavora). La preghiera è il momento più importante della vita di un monaco, e, secondo Benedetto, deve essere prima di tutto un atto di ascolto da tradurre in azioni concrete e reali. La regola stabilisce poi che ciascuna comunità monastica debba essere diretta da un abate, che non è considerato un superiore, ma una sorta di padre amoroso e di guida spirituale: abate deriva infatti dal termine siriaco “abbà”, padre. In effetti l’abate svolge all’interno del monastero le veci di Cristo in uno scambio continuo con gli altri confratelli, come Cristo con i suoi dodici discepoli. A Montecassino, Benedetto trascorre gli ultimi anni della sua vita, e qui muore dopo 6 giorni di forti febbri e 40 giorni dopo la scomparsa della sorella Scolastica, con la quale ebbe comune sepoltura. Morì il 21 marzo 547; patrono d’Europa.