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Comunione ai divorziati risposati? Ma anche no

«Ed Egli disse loro: “Chi ripudia sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio con questa; e se una donna ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.»

(Mc 10, 11-12)

I divorziati risposati non possono mai ricevere lecitamente la Santa Comunione, se prima non si risolvono di uscire dalla loro condizione, non si pentono dei loro peccati e non si riconciliano con il Signore.

L’Eucaristia, o Comunione, è il sacramento in cui, per la transustanziazione, ovvero la stupefacente conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo e di quella del vino nel suo Preziosissimo Sangue, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo, il Sangue , l’Anima e la Divinità dello stesso Signore Gesù, presente vivo e vero sotto le specie del pane e del vino per farsi nostro nutrimento spirituale.

Il Figlio di Dio ha istituito il Sacramento dell’Eucaristia durante l’ultima cena, perché fosse sacrificio della nuova legge, vero cibo di vita eterna per le nostre anime, perpetuo memoriale della sua Passione e Morte e pegno ineffabile del suo amore infinito per noi, del suo dono della vita eterna.

La Comunione, in chi la riceve degnamente, conserva ed accresce la vita dell’anima, che è la Grazia divina, proprio come il cibo materiale sostiene ed accresce la vita del corpo; rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; produce una consolazione spirituale inarrivabile.

Indebolisce, inoltre, le nostre passioni, soprattutto spegnendo le fiamme della concupiscenza; accresce in noi il fervore della carità verso Dio e verso il prossimo, aiutandoci ad operare conformemente alla volontà ed all’esempio del Cristo; ci dà, infine, un pegno della futura gloria celeste e della stessa resurrezione del nostro corpo.

Naturalmente l’Eucaristia produce i suoi effetti meravigliosi solo quando si riceve con le dovute disposizioni, che sono:

  • essere in grazia di Dio, ovvero non in stato di peccato mortale, riconciliati con il Signore mediante il sacramento della Confessione;
  • rispettare il digiuno eucaristico di almeno un’ora prima dell’atto di ricevere la Comunione;
  • considerare Chi si sta andando a ricevere ed accostarvisi con la massima riverenza e devozione;

Chi sapesse di essere in peccato mortale, prima di comunicarsi, dovrebbe sempre fare una buona confessione, poiché non è sufficiente neanche un atto di contrizione perfetta, senza la confessione, a chi si trova in peccato mortale, per ricevere la Comunione in maniera lecita, degna e fruttuosa.

Chi si comunicasse in peccato mortale, riceverebbe Gesù Cristo, ma non la sua Grazia, commettendo, invece, un orrendo sacrilegio e si renderebbe meritevole di dannazione.

A tal proposito scrive San Paolo nella 1ma Lettera ai Corinzi: «Cosicché chi mangi il pane o beva il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.

Esamini ognuno se stesso, e così mangi di quel pane e beva di quel calice; poiché chi mangia e beve indegnamente, se non riconosce il corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna» (1 Corinzi 11, 27-29).

Il digiuno richiesto prima della Comunione è quello naturale, che si interrompe per ogni assunzione di cibo o bevanda.

Considerare Chi si va a ricevere significa conoscere l’insegnamento della dottrina cristiana su questo sacramento e credervi fermamente.

Comunicarsi con devozione vuol dire accostarsi alla Comunione con umiltà e modestia, sia nel portamento che nell’abbigliamento, facendo prima un’adeguata preparazione spirituale, con atti di fede, di speranza e di carità, di contrizione e di adorazione, di umiltà e desiderio di ricevere Gesù Cristo, e dopo un consono ringraziamento, in raccoglimento ad onorare in se stessi il Signore, rinnovando gli atti di fede, speranza, carità, adorazione e ringraziamento, di offerta e di domanda, soprattutto delle grazie che sono maggiormente necessarie per sé e per il prossimo.

La violazione di uno dei dieci comandamenti, commessa con piena consapevolezza e deliberato consenso, costituisce un peccato mortale che priva un’anima della Grazia di Dio, ponendola in uno stato di morte spirituale e le preclude l’accesso all’Eucaristia.

Il sesto comandamento, Non fornicare, proibisce ogni atto, sguardo o discorso contrario alla castità e l’infedeltà nel matrimonio.

Il nono comandamento, Non desiderare la donna d’altri, invece, proibisce espressamente ogni desiderio contrario alla fedeltà che i coniugi si sono giurata nel momento del matrimonio, e proibisce allo stesso modo ogni pensiero e desiderio colpevole di ciò che è vietato dal sesto comandamento.

L’impurità è un peccato gravissimo e abominevole davanti a Dio e agli uomini, perché degrada l’essere umano ad una condizione brutale, lo trascina ad ulteriori vizi e peccati procurandogli durissimi castighi.

Il sesto comandamento ci ordina di essere casti e modesti negli atti, negli sguardi, nel portamento e nelle parole; il nono ci ordina di essere casti e puri anche interiormente, cioè nella mente e nel cuore.

Per ben osservare questi due comandamenti occorre trarre la forza necessaria dalla Grazia, pregando spesso e di cuore Iddio, praticare la devozione alla Santa Vergine Maria, Madre della purezza, ricordarci che il Signore ci vede in ogni momento, pensare alla morte, al castigo per i peccati, alla Passione del Cristo e così custodire i nostri sensi, praticare la mortificazione cristiana ed accostarsi sovente ai santi sacramenti con le disposizioni dovute.

Per mantenere la castità è, inoltre, assai utile evitare l’ozio, le cattive compagnie, l’intemperanza, gli spettacoli e le immagini indecenti e licenziose, le conversazioni pericolose ed ogni altra occasione di peccato.

Relativamente al divorzio bisogna dire anzitutto che, davanti a Dio, esso non esiste, perché il Matrimonio è un sacramento che realizza un’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, costituita nello stesso Amore di Dio che va a riempire, purificare e santificare quello degli sposi.

Lo stesso atto di divorziare volontariamente e colpevolmente, per separarsi dal coniuge, pertanto, è un’offesa gravissima a questo Amore e, dunque, a Dio stesso, con la frantumazione della famiglia che Egli ha formato e il pericolo e il danno inenarrabile recato ai suoi membri, primariamente ai figli.

Leggiamo nel Vangelo di Marco: «Vennero dei Farisei a muovergli interrogazioni e per metterlo alla prova gli chiesero se fosse lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Egli domandò loro: “Cosa vi ha comandato Mosè?”.

Risposero: “Mosè ha permesso il libello del ripudio e di rinviarla”.

Gesù replicò loro: “Fu per la durezza del vostro cuore che egli scrisse per voi questo precetto, ma al principio della creazione Dio li creò maschio e femmina. Perciò l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà con sua moglie, e saranno due in una sola carne. Essi pertanto non sono più due, ma una carne sola. L’uomo dunque non separi quel che Dio ha congiunto» (Mc 10, 2-9).

Vediamo, allora, come già il divorzio stesso sia un grave peccato contro Dio e, come disse San Pio da Pietralcina, «il passaporto per l’Inferno».

Unirsi poi ad un’altra persona, ad esempio risposandosi civilmente, significa vivere in una situazione oggettiva di costante adulterio, in disobbedienza al sesto e al nono comandamento, dunque privi della grazia divina, in uno stato continuo di peccato mortale.

Leggiamo ancora nel Vangelo: «Ed Egli disse loro: “Chi ripudia sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio con questa; e se una donna ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.» (Mc 10, 11-12).

Naturalmente lo stesso vale per chi ha subito il divorzio, anche senza desiderarlo in prima persona, perché è parimenti e in ogni caso chiamato alla castità ed alla fedeltà alla persona a cui si è unito in Matrimonio, per la fedeltà al vincolo sancito dal voto pronunciato davanti a Dio e, pertanto, a Dio stesso, su Cui il Matrimonio si fonda.

Anche questo coniuge, dunque, non può unirsi ad altri senza commettere adulterio, cadere in peccato mortale e perdere la grazia.

Per tali ragioni è inoppugnabile che ai divorziati risposati non possa mai essere lecito ricevere la Santa Comunione senza macchiarsi di un indicibile sacrilegio, se prima non si risolvono di uscire dalla loro condizione, non si pentono delle colpe commesse e non si riconciliano con il Signore nel sacramento della Confessione, riacquistando la Grazia santificante e la purezza.

É altresì un gravissimo peccato di scandalo far loro credere di poter continuare a vivere nel loro stato sbagliato e potersi ugualmente accostare all’Eucaristia, soprattutto se a farlo è un sacerdote, che in tal modo arreca un danno esiziale alle anime di queste persone, autorizzandole ad offendere Dio ed inducendole a profanare il Corpo e il Sangue di Cristo, un danno di cui poi dovrà rispondere in prima persona e per il quale le conseguenze sarebbero disastrose.

É, invece, d’uopo, nei confronti di tali persone, praticare le opere di misericordia spirituale dell’ammonimento e della correzione fraterna, cercando di far comprendere loro il male presente nella condizione in cui si trovano e guidandole ad uscirne ed a ritrovare la Grazia, nella Verità e nella Giustizia di Dio, proprio come un buon medico che cura il paziente per guarirlo e riportarlo alla salute, con amore, ma con serietà e fermezza.

Solo allora potranno ritornare a cibarsi del Corpo e del Sangue di Cristo, vero farmaco d’immortalità, ricevendone tutti gli inestimabili benefici.

A questo proposito un esempio eminente di testimonianza cristiana lo troviamo in San Giovanni Battista, che non esitò ad ammonire apertamente Erode Antipa ed Erodiade per il loro peccato di adulterio, anche a costo della sua vita, pur di servire la volontà di Dio.

Possano tutti i sacerdoti, i religiosi e i fedeli cattolici di buona volontà essere animati da un simile ardore apostolico e tutti i divorziati risposati ritornare alla luce della Grazia, nella purezza della fedeltà al sacramento del matrimonio.

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