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Ex nihilo nihil fit: apologia contro l’ateismo materialista

Dal nulla, non può uscire nulla: riflettiamoci insieme

Il consenso pressoché unanime dei dotti pensatori moderni può essere riassunto in questa frase:

«Gli esseri animati sono derivati dagli esseri inanimati per via di trasformazioni consequenziali casuali che hanno portato le monadi ad aggregarsi in forme via via più complesse, fino alle creature più intelligenti, tra cui l’uomo. Questo basta per decretare la morte della divinità in solidum. Ne deduciamo che, essendo il caso autore e causa di tutto ciò che ha l’essere, Dio non esiste: la sua esistenza, infatti, non cade sotto i sensi, l’ingiustizia del mondo ne è testimone, e l’evoluzionismo scalza decisamente il creazionismo».

Avendo già discusso la fragilità di questa argomentazione in un’altra sede, e tralasciando per ora l’argomento morale, addotto dagli infedeli, concentriamo la nostra attenzione sull’argomento puramente razionale: quello che, per intenderci, permette al cristiano di risalire dalla creatura al creatore (Le cinque vie di San Tommaso[1]), ma che incaglia l’ateo nel materialismo riduzionistico (per quella difficultas di cui parla il Divin Poeta nella sua Commedia, e che procura un accecamento dell’intelletto anche di fronte a ciò che, di per sé, risulta evidente).

Gli scolastici, con S. Tommaso, ribadiscono invece molti punti cardinali de argumentis quae existentiam dei demonstrant.

Tra tutti, abbiamo il seguente assioma:  Dal nulla, non può uscire nulla (ex nihilo nihil fit).

Questo principio è granitico, ed è uno scholium enorme della trattazione atea, concernente gli argomenti cosmologici e cosmogonici; così come la preghiera alla Vergine (Sub tuum praesidium), annoverata tra le orazioni più antiche della cristianità e ritrovata su dei papiri venuti alla luce solo nel secolo scorso, ha rappresentato un muro di cemento, dove sono andati a sbattere i negatori della divina maternità di Maria, dei tempi antichi e moderni.

L’argomentazione atea, infatti, non si preoccupa di trovare ovvero formulare una metafisica o una cosmologia contraria alla divinità. 

Essa, invece, si pone come obiettivo quello di “spostare in là” il problema, rimandando il suo affronto o cercando, come più comunemente fanno, di sotterrarlo per non riesumarlo mai più.

L’ateismo estrae sempre le stesse nefande sciocchezze per scagliarsi contro la religione, tornando sui passi sbagliati che intraprende, sicut canis, qui revertitur ad vomitum suum.

Dal nulla, però, non può uscire nulla. Poiché energia e materia sono intercambiabili, come ci dicono le teorie della relatività ristretta e della fisica atomica, nucleare e sub-nucleare, allora tutta la materia deve essere uscita dall’energia. Questo principio risiede sostanzialmente alla base di tutta la cosmologia moderna. Fin qua, tutto relativamente accettabile, in linea di principio. Ma questo non risolve il problema: prendendo per buono il principio di causalità, che ci fa dire, ad esempio, che tutto ciò che è messo in movimento, è messo in movimento da qualcosa d’altro rispetto a ciò che è messo (principio di inerzia: quod movetur, ab alio movetur), chiediamo: donde viene quell’energia primordiale? 

Tanti astrofisici (finti sapientoni, buoni solo a scrivere qualche libraccio poco credibile) si limitano a dire: dal nulla.

Questa, perbacco, ci giunge nuova: gli stessi bontemponi che rimproverano la religione cristiana di essere fondata su concetti astratti, non definibili o, se definiti, male identificati, esordiscono così. Il nulla.

Intendono essi, forse, nulla nel senso di vuoto, e in tal caso che tipo di vuoto? Vuoto metafisico o vuoto come assenza di materia osservabile? La risposta più comune è un secco “boh”. E noi, ovviamente, dovremmo credergli solo perché vendono un centinaio di libri o hanno studiato ad Oxford con la buona mano del babbo. Dal nulla, no: non può uscire nulla. Qualcosa o qualcuno deve aver creato quella energia. Per forza, tertium non datur.

Il nulla non è capace di generare nulla. Quindi, niente può essere uscito dal nulla. A rafforzare questa idea è la scienza stessa: la quale ci dice che, storicamente, è sempre stata supposta l’esistenza di un mezzo all’interno del “vuoto” (l’etere e il suo moto relativo, ossia il vento d’etere, ritenuto come assioma certo fino all’esperimento dell’interferometro di Michelson-Morley); soprattutto, ci dice che anche l’attuale vuoto non lo è. Non esiste un fenomeno dove materia o energia si possano creare da sé, non avendo in sé la ragione d’essere: deve sempre essere soddisfatto un principio di conservazione.

Quindi, no: niente di ciò che ha essere è uscito dal “nulla” che tanto osannate, cari infedeli, ma sul quale non siete ancora stati capaci di fornire non solo una prova (che non fornirete mai), ma prima ancora una definizione. Questo argomento non scalza affatto poi l’argomento metafisico della causa prima.

Se tutto, infatti, fosse uscito dal nulla, come sarebbe stato possibile distinguere la relazione tra i corpi dai corpi stessi, o distinguere la legge dalla sua applicazione, senza un intelletto primordiale che abbia eseguito questa distinzione?

Come sarebbe possibile che l’essere che distinguiamo dal nulla (che chiamiamo materia, energia, e poi nelle forme più complesse, vita), e che quindi ne è realmente distinto, sia uscito da quel nulla? 

“E’ successo”: e questo lo abbiamo capito, abbiate pazienza: ma come? 

E in tal caso, come sarebbe possibile che una parte uscita dal nulla si sia spontaneamente aggregata in una forma lontana dalla sua forma originaria, impressa in ogni sua parte, ossia quella del nulla?

Se un pezzo di roccia si stacca dalla roccia, essendo non diventerà mai e poi mai un essere animato. Perché la forma della roccia dice inanimato, al contrario di un vivente, la cui forma dice essere animato. Né oggi, né tra un milione di anni, né tra un miliardo di anni.

A questo grado di approfondimento, gli atei non arrivano pressoché mai. Lo prendono per buono, e dal pulpito del loro petto gonfiato si limitano a bollare tutti i pareri contrari come “assurdi”. Senza accorgersi che, ad essere assurdo, è proprio il loro castello di fandonie filosofiche e fisiche.

Diremo di più: se dal nulla è uscito tutto, le leggi che governano questo tutto (che non hanno materialità, non risiedono nell’ordine della materia e dell’energia), donde sono uscite? Se prima non erano, perché erano tutte confuse nel “nulla”, perché avrebbero dovuto essere dopo? Se sì, come? Il moto che ha portato questo nulla fuori di sé, donde viene?

Il moto, infatti, non è ratio sui: necessita un motore. Da questo ragionamento di Padre Hugon sappiamo infatti che l’esperienza e i sensi denotano l’esistenza di un moto nelle cose (Dari motum in rebus sensu et experientia constat). Questo lo vediamo nel trito e ritrito principio di inerzia: se un essere in quiete non si può dare il moto da sé, e per induzione questo principio è esteso universalmente, esso avrà necessariamente riguardato anche gli inizi del cosmo. Qualcuno ha messo in moto tutto, e niente può essersi mosso da sé, neanche il nulla ipotetico. Questo violerebbe il principio di inerzia:

«Est principium in scientia hodierna receptum ens in quiete non sibi dare motum. Inde pendet tota scientia mechanica: quomodo enim valerent computationes mathematicae circa tractationem navium currumque ferreorum, etc., si nutaret intertiae principium? Si ergo ens in quiete non possit dare sibi motum, oportet ut, quando movetur, ab alio movetur.» [2]

Tutta la materia, tutto l’essere, tutta la realtà che osserviamo, con le relative leggi, non sono uscite dal nulla: sono state pensate, volute e create da Iddio, ed esse, nella loro complessità e nella loro genialità, rendono testimonianza della grandezza e della magnificenza del loro Creatore e Signore.

Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene.


  1. Secondo Hugon, possiamo riassumerle come segue: «Primum desumitur ex motu, seu passivitate creaturarum; alterum ex activitate creaturarum; tertium ex ipsa essentia creaturarum, quae ut sic sunt contigentes, seu possibiles esse et non esse; quartum ex gradibus perfectionis, quos in mundo deprehendimus; quintum ex gubernatione rerum, seu ex ordine universi»
  2. E. HUGON, De deo uno et trino creatore et gubernatore, Parigi: Sumptibus P. Lethielleux, 1927.

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