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Il Veneto non è più la «sacrestia» d’Italia: «la metà dei preti e solo il 18% va a Messa, crollano matrimoni e battesimi»

La visita di Papa Francesco e il nuovo volto della Chiesa in Veneto sempre più anziana: ma nelle scuole di Teologia è record di iscritti.

di Andrea Priante – Corriere del Veneto

La visita di Papa Francesco e il nuovo volto della Chiesa in Veneto sempre più anziana: ma nelle scuole di Teologia è record di iscritti

Casoni è un borgo di 2.500 anime in provincia di Vicenza. E per raccontare dove sta andando la Chiesa in Veneto nei giorni della prima visita di papa Francesco, si può partire da questo paesino che Pio X chiamava «il roccolo di vocazioni» e che finì perfino sulle pagine del Wall Street Journal come la comunità con il più alto tasso di religiosi al mondo. Leonardo Bortignon, appassionato di storia locale, s’è pure preso la briga di contarli: ben 157 consacrati dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, 71 preti, 5 religiosi non sacerdoti, 76 religiose, tre consacrate secolari, oltre a due seminaristi morti prima dell’ordinazione. «Ma la situazione è cambiata, e non soltanto qui…» allarga le braccia don Alessandro Piccinelli, che da quando è arrivato nel Vicentino, nel 2016, l’hanno messo a capo sia della parrocchia di Casoni che di quella di Mussolente: di fatto, s’è ritrovato a occuparsi da solo di quello che prima facevano due sacerdoti. «L’ultima festa per un nostro paesano che ha preso i voti risale a sei anni fa. Poi più nulla. La messa è partecipata ma se si guarda ai presenti sono in larga parte anziani. La verità è che per essere praticanti, oggigiorno, occorre avere il coraggio di andare controcorrente». Non esiste più quel Veneto povero e contadino che affollava le messe e obbediva al prete fin dentro la cabina elettorale, con il settimanale cattolico veneziano La voce di San Marco che già nel 1948 tracciava la linea: «All’Azione cattolica il compito di cristianizzare la popolazione e alla Dc quello di soddisfarne le esigenze economiche e politiche». Oggi, della sacrestia d’Italia, rimangono solo le mura delle settemila chiese costruite nei secoli e oggi desolatamente vuote.

Preti, pochi e depressi

Il Veneto è suddiviso in nove diocesi (oltre alle sette province, ci sono Chioggia e Vittorio Veneto) e 2.070 parrocchie, sparse soprattutto tra Padova (455), Verona (378) e Vicenza (355). A Venezia, sede del Patriarcato, sono 125. A gestirle è chiamato un esercito di sacerdoti oramai dimezzato: negli anni Settanta, i preti diocesani e quelli regolari (cioè che appartengono a un ordine, come gesuiti, francescani ecc) erano complessivamente seimila, scesi a 4.800 nel 2004 fino agli attuali 3.700. Venezia, per fare un esempio, è passata dai 714 preti del 1969, ai 266 dell’ultimo censimento del 2022. E in futuro sarà anche peggio: la sola Chiesa vicentina prevede che gli attuali 380 sacerdoti diocesani, tra quindici anni scenderanno a 150. Anche per questo si discute da tempo di aprire a ruoli di maggior impegno per le donne, ma la verità è che probabilmente è troppo tardi per pensare che siano loro a compensare la mancanza di vocazioni: negli anni Settanta erano 17mila le religiose che facevano capo al Veneto, ora sono meno di un terzo.
Il risultato? I nostri sacerdoti sono sempre più sfiancati, stressati e depressi, costretti a correre da una parrocchia all’altra e a occuparsi di tutte le incombenze. A volte non resta che alzare bandiera bianca: in ogni diocesi del Triveneto, di media due o tre preti all’anno chiedono di staccare beneficiando di un periodo sabbatico.

Messe deserte e matrimoni civili

Allargando lo sguardo dai parroci ai parrocchiani, si scopre che ad accogliere papa Francesco è una comunità cristiana ormai ampiamente secolarizzata. Secondo l’Istat appena il 18,7 per cento della popolazione frequenta un luogo religioso almeno una volta alla settimana (appena sotto la media italiana), e uno su tre alla messa non ci va mai. Per intenderci, siamo meno praticanti di quanto lo siano nelle regioni del Mezzogiorno (23 per cento, con punte del 24 in Calabria e Sicilia) ma anche nelle Marche (19,2) e in Trentino (19,5). Il dato si riflette su quelle tappe della vita che un tempo erano ritenute fondamentali per qualunque cristiano. Stando all’Ufficio statistica della Regione, nel 1984 le coppie venete che sceglievano di non sposarsi in Chiesa erano appena l’11 per cento ma già nel 2004 erano balzate al 37,9. Il sorpasso è arrivato nel 2013, e ora i matrimoni civili superano il 66%. Aumenta anche chi sceglie di non sposarsi affatto, col risultato che in vent’anni siamo passati dai 19mila matrimoni l’anno ai 14mila attuali, e in un caso su quattro si tratta di seconde nozze.
La strada sembra segnata anche per le nuove generazioni: quattro neonati su dieci sono figli di genitori non sposati, addirittura la metà se si guarda alle coppie under 29. Secondo alcune stime, il 30 per cento dei bambini non viene battezzato e, quando si cresce, ad avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica sono otto studenti veneti su dieci: un calo del 10 per cento in neppure vent’anni. E alle superiori, a seconda dell’indirizzo di studi, le adesioni scendono ulteriormente fino a toccare il 68 per cento.

Una Fede più «ragionata»

In tutto questo, gli unici dati (apparentemente) in controtendenza: da un lato il Festival Biblico che, partito in sordina a Vicenza nel 2004, ora coinvolge sette diocesi venete e registra 25mila presenze; dall’altro i cinque istituti di Scienze religiose del Veneto che stanno avendo un boom di iscrizioni (dai 497 studenti del 2018 agli attuali 741, +49%). È il segno che la Fede non è più un’imposizione sociale ma diventa il frutto di riflessioni, e chi si definisce cristiano oggi vuole «indagare» su Dio, approfondendone le implicazioni e il suo rapporto con gli uomini. Di riflesso, per meriti e preparazione, sempre più veneti raggiungono ruoli di primo piano nell’ambito dello studio della religione. Qualche esempio: il teologo veronese Alberto Dal Maso è stato nominato direttore della Queriniana, considerata la più importante casa editrice nel settore della teologia; il giornalista Lorenzo Fazzini, di Colognola ai Colli, è ora responsabile editoriale della Libreria Editrice Vaticana; Lucia Vantini, docente di antropologia filosofica a Verona, dal 2021 presiede il Coordinamento delle teologhe italiane; e il vice preside della Facoltà teologica del Triveneto, don Riccardo Battocchio, è stato nominato presidente dell’Associazione Teologica Italiana.

Trasformarsi per non soccombere

Questa la situazione con la quale deve confrontarsi una Chiesa che, per andare avanti, ha bisogno di uomini e donne «di buona volontà», che indossino o meno l’abito talare. Il futuro, almeno quello più immediato, vedrà qualche parrocchia perdere la sua configurazione giuridica (finendo per essere inglobata da quelle vicine) pur mantenendo aperti i luoghi di preghiera, almeno finché ci sarà una comunità a frequentarli. «A occuparsi di tutto saranno “fraternità” composte da 3 o 4 sacerdoti che insieme avranno cura di un territorio di 7-8 parrocchie, per un totale di 15-20mila fedeli» prevede don Alessio Graziani, il direttore del settimanale diocesano La Voce dei Berici. È l’unico compromesso ritenuto accettabile. L’alternativa è che, dopo la sfilza di capannoni abbandonati, il Veneto si ritrovi a fare i conti anche con una distesa di seminari e strutture religiose in disuso. Sta già capitando: a Bassano il convento dei cappuccini ha chiuso dopo 500 anni, lo stesso per quello dei frati di Rovigo, mentre il seminario di San Massimo a Verona è vuoto ormai da decenni. «Per secoli la religione ha rappresentato il collante della società gestito, in modo più o meno occulto, dallo Stato. Ma oggi quel mondo è definitivamente tramontato» riflette il sociologo Luca Diotallevi, che nel suo libro La messa è sbiadita affronta proprio il tema del cambiamento in atto nel mondo cattolico. «Il primo a intuire che si sarebbe aperto un nuovo ciclo fu papa Paolo VI, che già negli anni Sessanta immaginò una platea di fedeli meno numerosa ma più preparata culturalmente e spiritualmente, dove il ruolo dei laici avrebbe acquistato sempre più importanza».

Chi resterà?

Quindi le avvisaglie c’erano, il problema – spiega Diotallevi – è che la Chiesa non è riuscita a governare questo processo: «I pontefici successivi a Paolo VI e molti vescovi hanno preferito seguire altre strade, forse illudendosi di poter mutare il corso degli eventi o di ridurre i costi del rinnovamento. Ora è tardi per altre scorciatoie, e intanto aumentano i delusi e coloro che si allontanano dalla Fede». Alla fine chi resterà? «I più convinti: uomini e donne, giovani e anziani, che si dicono cattolici in virtù di una libera scelta e di un processo di studio, di riflessione e di una più responsabile partecipazione alla liturgia. Magari non molti, ma saranno «praticanti» nel senso più autentico, partecipando alla messa e dimostrando carità. E tutto questo, in fondo, consentirà alla Chiesa di non soccombere e di ricavarsi un ruolo nuovo all’interno di una società moderna e pienamente secolarizzata».

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