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La dottrina del peccato originale nel pensiero di San Tommaso d’Aquino

La verità di fede sul peccato originale è un punto fondamentale dell’antropologia cristiana. Ne individuiamo i punti nodali, mettendoci alla scuola del Dottore Comune.

Il peccato originale è «il peccato commesso dal capostipite della famiglia umana (Adamo) e trasmesso ai suoi discendenti» (Mondin, 449). Questa sintetica definizione proposta dal Mondin ben sintetizza questa verità di fede. Essa costituisce un dogma ed è, quindi, da credersi per fede divina e cattolica. Questo dogma fondamentale fu definito già nel XV Concilio di Cartagine e nel II Concilio di Orange, entrambi indetti per rispondere all’eresia pelagiana, ma fu anche definitivamente ribadito dal Concilio di Trento, indetto per rispondere all’eresia protestante. Il nucleo centrale del dogma è che l’uomo fu creato in uno stato originale di giustizia, il quale fu infranto dal peccato dell’uomo con gravi conseguenze sia per i progenitori, che hanno commesso il peccato, sia per l’umanità intera, a cui furono trasmessi per discendenza gli effetti del peccato. San Tommaso tratta del peccato originale in più opere. In questo articolo terremo conto in particolare della Summa Theologiae e del Compendium Theologiae.

L’uomo fu creato in uno stato originario di armonia con se stesso, con gli altri e con Dio. Tale stato viene definito giustizia originale. Questo stato di giustizia «fu concesso al primo uomo non in quanto persona singola, ma in quanto principio della natura umana, per cui esso sarebbe stato trasmesso assieme alla natura ai posteri» (CompTh 187, 364). Nell’art. 1 della quaestio 95 della Pars prima della Summa Theologiae San Tommaso parla proprio di questo stato originale dell’uomo nell’ambito della più ampia trattazione sulla creazione dell’essere umano. Sintetizzando le opinioni dei dottori, San Tommaso afferma: «Alcuni ritengono che il primo uomo, pur non essendo stato creato in grazia, ne ebbe il conferimento prima del peccato. Invece, numerosi testi di Santi Dottori attribuiscono la grazia all’uomo nello stato di innocenza» (STh I, q.95 a.1).

Il Dottore Angelico sottolinea come questo stato originale fosse uno stato di grazia e non di natura, ovvero esso era stato donato da Dio all’uomo nell’atto creativo, ma non dipendeva dalla natura umana. Esso, infatti, «consisteva nella subordinazione della ragione a Dio, delle facoltà inferiori alla ragione, e del corpo all’anima» (ivi). Da ciò si evince che questo stato originario fosse uno stato di grazia e non semplicemente di natura, perché, osserva il Dottore Angelico, «è evidente che la subordinazione del corpo all’anima e delle facoltà inferiori alla ragione non era dovuta alla natura; altrimenti sarebbe rimasta anche dopo il peccato, poiché le doti naturali sono rimaste anche nei demoni dopo il peccato» (ivi). 

Di questo stato originario di giustizia, l’uomo fu privato in conseguenza del peccato dei progenitori, che viene definito originale, perché da esso ebbe origine la concupiscenza e la peccabilità dell’umanità intera. Nello stato di giustizia l’uomo fu messo alla prova, perché tramite la prova potesse crescere nell’obbedienza e nella fede. Scrive, infatti, San Tommaso: «Siccome il predetto stato dell’uomo dipendeva dall’obbedienza della volontà umana a Dio, affinché l’uomo fosse fin dal principio abituato a seguire la volontà di Dio, Dio propose all’uomo alcuni precetti, cioè di mangiare i frutti di tutti gli alberi del paradiso proibendo, con la minaccia della morte, di cibarsi dell’albero della scienza del bene e del male» (CompTh 188, 365). Non era il frutto in sé ad essere un male, né il mangiarne, ma fu un male disobbedire a Dio, mangiando del frutto di quell’unico albero proibito. Il nome dell’albero, poi, non deriva da un suo potere di dare la scienza a chi ne avesse mangiato i frutti, ma per ciò che implicava mangiarne i frutti: «l’uomo infatti mangiando di quell’albero avrebbe imparato la differenza che vi è fra il bene dell’obbedienza e il male della disobbedienza» (ivi). Tentato dal diavolo, l’uomo disobbedì a Dio e cadde nel peccato.

Questo fu il peccato di origine. Esso non ebbe come effetto solo la colpa e la pena dei progenitori, ma anche la corruzione dell’intera umanità. Per questo motivo viene definito originale. Come, infatti, è definita giustizia originale lo stato dell’uomo nella grazia della creazione, così si definisce peccato originale lo stato del primo uomo decaduto; e come la giustizia originale sarebbe stata trasmessa per generazione ai posteri, così il peccato originale fu trasmesso per generazione a tutta l’umanità, discendente dai progenitori. San Tommaso sintetizza questa verità di fede in una breve sentenza: il peccato originale è «quaedam inordinata dispositio proveniens ex dissolutione harmoniae in qua consistebat ratio originalis iustitiae» («una disposizione disordinata derivante dal turbamento di quell’armonia che costituiva la giustizia originale» STh I-II, q.82 a.1). Il peccato originale, infatti, è una qualità negativa, che non ha senso in se stessa, ma solo in rapporto alla qualità positiva che è venuta a mancare con il peccato, ovvero lo stato di giustizia originale.

Nella quaestio 81 della Prima Secundae della Summa Theologiae, affrontando il tema della causa del peccato nell’uomo, il Dottore Angelico si sofferma sulla trasmissione del peccato originale. Afferma a riguardo: «Secondo la fede cattolica, bisogna ritenere che il primo peccato del primo uomo si trasmette ai posteri attraverso la generazione» (STh I-II, q.81, a.1). La causa di tale trasmissione è difficile a spiegarsi per lo stesso San Tommaso, che dopo aver elencato alcune teorie, afferma: «tutte queste spiegazioni sono insufficienti. Perché, pur ammettendo che certi difetti fisici passano per generazione nella prole: e indirettamente passano così anche dei difetti psichici, data la cattiva disposizione del corpo, come quando da un demente nasce un demente: tuttavia il contrarre un difetto per generazione esclude la colpa, che è essenzialmente volontaria. Perciò, anche ammesso che l’anima razionale si trasmetta, per il fatto che la macchia spirituale della prole non è nella volontà di essa perderebbe l’aspetto di colpa che è essenzialmente volontaria» (ivi).

La soluzione sta, invece, nel considerare che gli uomini sono parte di una sola umanità, «si possono considerare come un uomo solo, in quanto possiedono la stessa natura ricevuta dal capostipite» (ivi). L’intera umanità è come se fosse costituita dalle membra di un unico corpo, il cui motore è il capostipite, il progenitore Adamo. Di conseguenza, «il disordine, esistente in quest’uomo generato da Adamo, non è volontario per la volontà di questo individuo, ma per la volontà del progenitore, il quale muove mediante la generazione tutti quelli che hanno origine da lui, come la volontà dell’anima muove all’operazione tutte le membra» (ivi). Il peccato originale, quindi, si trasmette per natura a tutti gli uomini, in quanto essi per natura appartengono ad un’unica umanità. Per questo motivo il peccato originale «è anche denominato peccato di natura, secondo il passo di Ef 2,3: “Eravamo per natura figli dell’ira”» (ivi).

La successiva quaestio 82, di cui abbiamo già citato la definizione di peccato originale, è dedicata all’essenza del peccato originale, inteso non come il peccato commesso dai progenitori, ma come il peccato trasmesso ad ogni uomo. Esso -abbiamo detto- si può definire come «una disposizione disordinata» (STh I-II, q.82, a.1). Il peccato originale, quindi, formalmente è la privazione della giustizia originale, persa a causa dell’atto di disobbedienza commesso dai progenitori. Materialmente, tuttavia, esso è la concupiscenza, cioè la tendenza al male a causa del disordine delle potenze dell’anima, che rende la natura umana debole. Scrive, infatti, San Tommaso che «la privazione della giustizia originale, che assicurava la sottomissione della volontà a Dio, è la parte formale del peccato originale, mentre tutto il disordine delle altre facoltà ne è come l’elemento materiale. Quest’ultimo disordine consiste soprattutto nel fatto che queste facoltà si volgano disordinatamente ai beni transitori: e tale disordine con nome generico si può chiamare concupiscenza» (ivi, a.3). La conseguenza del peccato dei progenitori è il permanere nell’umanità di uno stato di disordine, che la dottrina cattolica definisce concupiscenza. Essa è comune a tutti gli uomini e permane anche dopo il Battesimo. Infatti, questo sacramento elimina la colpa del peccato originale, ma non elimina le sue conseguenze, che condizionano le facoltà dell’anima di tutti gli esseri umani. 

È importante a questo punto comprendere a pieno come il peccato originale e in particolare la concupiscenza influenzino le facoltà dell’anima. San Tommaso ne tratta nella quaestio 83 della Prima Secundae. Innanzitutto, va detto che la sede primaria del peccato originale è l’anima più che il corpo (a.1), perché è nell’anima che risiede il peccato. Nell’intaccare l’anima esso intacca innanzitutto la sua essenza e solo successivamente le sue potenze (a.2). Parlando della contaminazione dovuta al peccato originale, infatti, San Tommaso afferma che bisogna considerare due punti di vista. Guardando alle conseguenze che essa ha in un soggetto, «il peccato colpisce principalmente l’essenza dell’anima» (a. 3), mentre guardando alla sua inclinazione all’atto, esso «colpisce le potenze dell’anima» (ivi). In particolare colpisce quella potenza da cui nell’anima normalmente nasce l’inclinazione a peccare, ovvero la volontà. Conclude il Dottore Angelico che «è chiaro che il peccato originale colpisce principalmente la volontà» (ivi). Si può dire, quindi, che la conseguenza principale e più evidente del peccato originale sull’anima umana è la debolezza della sua volontà.


Bibliografia

  • Tommaso d’Aquino, Summa theologica (nel testo: STh).
  • Id., Compendium theologiae (nel testo CompTh).
  • R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede e cultura, Verona 2017.
  • B. Mondin, «Peccato originale», in Id., Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d’Aquino, ESD, Bologna 20002, 449-452.

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