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Gesù Cristo nelle carceri

Chi ha commesso un crimine è giusto che paghi ma il tempo del carcere è un tempo prezioso affinché il carcerato possa, in una visione cristiana, vedere la Luce di Cristo e rialzarsi.

“Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?” (Lc 15,4). Il carcere da molto tempo viene visto non più come luogo esclusivamente punitivo ma anche e soprattutto come luogo di rieducazione del condannato. Il fine della pena non è principalmente retributivo (al male si risponde con altro male) ma come dispone l’articolo 27 della costituzione: “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. Rieducare non deve essere interpretato come un “lavaggio del cervello” ma ha il significato di far comprendere alla persona l’errore per portarla a non commettere più reati. In sostanza significa dare una seconda possibilità di riprendere in mano la propria vita. Ma ora guardiamo a Cristo! Non c’è esempio migliore che racchiuda in sé i principi sopra esposti: sulla croce, dinnanzi a quel criminale crocifisso insieme a Lui, sentendone il sincero pentimento, se lo portò con sé in Cielo. Lo sottolineo nuovamente: Gesù, che morendo aprì le porte del paradiso, vi entrò con un criminale. Perché? Perché il ladrone, riconoscendo gli errori commessi, comprese che Cristo era Figlio di Dio. E venne così perdonato. Nel vangelo ci sono altri riferimenti all’argomento trattato, infatti, in Matteo 25,36 leggiamo: “[…] ero carcerato e siete venuti a trovarmi”. Questa parte lascia un lettore attento a bocca aperta perché Gesù, proseguendo nella lettura, condanna “nel fuoco eterno” chiamandoli “maledetti” (Mt 25, 41) coloro i quali di fronte ad un bisognoso, che seguendo il testo evangelico possono essere anche i carcerati, preferiscono lavarsene le mani. San Paolo nella lettera agli Ebrei, in riferimento agli aspetti della vita cristiana afferma: “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere” (Eb 13,3). Vediamo allora come la cura e l’assistenza anche dei carcerati costituiscano la natura del cristiano. Quanto amore e tenerezza Cristo riserva anche a questi ultimi che, a seguito di un periodo di prigionia, ne usciranno macchiati indelebilmente. Anche una volta che viene scontata la pena il carcerato viene per sempre considerato come un qualcosa che genera vergogna, qualcosa da cui e meglio starne lontano. A causa di questa mentalità propria della nostra società molto spesso queste persone diventano figure vaganti, incapaci di ricostruire relazioni e di reinserirsi nella società. Per cui accade che il condannato uscendo dal carcere, perché ha scontato la pena, si ritroverà attorno una gabbia, una nuova prigione che la società stessa gli ha costruito. Deve essere compreso però che il carcerato prima di tutto è una persona a cui va riconosciuta la dignità che le spetta, anche qualora abbia compiuto crimini efferati.  Nessuno di noi deve essere considerato solo per le sue azioni perché, prima di ogni cosa, siamo Figli di Dio. Chi ha commesso un crimine è giusto che paghi ma il tempo del carcere è, e deve essere, un tempo prezioso affinché il carcerato possa, in una visione cristiana, vedere la Luce di Cristo e rialzarsi. Nell’oscurità del peccato in cui è caduto, è necessario che trovi chi sappia mostragli quel Gesù pronto ad avvicinarsi per tendergli la mano facendolo uscire dalla spirale di vendetta, dolore e solitudine in cui si è trovato. Non c’è cuore che possa resistere all’amore di Dio. Molto spesso è proprio il tempo della prigionia che porta il detenuto, essendo lontano dall’ambiente criminogeno, a riflettere su sé stesso e sulle sue azioni e, con l’aiuto di un sacerdote, a poter sentire la carezza di Gesù consolatore che, nella fredda cella, di fronte ad un uomo che ha perso tutto, non lo abbandona. No, Dio non lo abbandona e chiede a noi battezzati di essere portatori della Sua presenza. La vita anche del più violento criminale può cambiare incontrando Dio perché realmente solo Lui può togliere il cuore di pietra per darci un cuore di carne. Ecco perché è necessaria e fondamentale la prossimità della Chiesa cattolica nelle carceri italiane. Dove non arrivano i percorsi di rieducazione, il lavoro fuori dal carcere ed altri istituti simili può arrivare Dio che però rispetterà sempre il nostro libero arbitrio. “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime!” (Mt 11,29). Cristo purifica e lenisce le ferite dell’anima affinché, guadagnata la libertà, si possa guardare al mondo con occhi nuovi e vivere come Figli di Dio. Ogni persona, se incontra un cristiano capace di essere realmente tabernacolo del Suo amore, può essere investito del calore di Cristo che, avvicinandosi al volto come fece con il sordomuto, gli sussurri “Effatà” cioè apriti. Così anche quell’uomo, incapace di vivere di “Gioia piena” (Gv 15,11), perché reso ceco e muto dal peccato vedendo la “lux mundi”, diventerà un uomo nuovo, testimone dell’amore di Dio. Carcerati non siete soli! Fidatevi del Signore che ci ha promesso: «Io sono con te e ti proteggerò dovunque andrai, non ti abbandonerò» (Gn 28,15).

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